State Of - Aretè Showroom , Interno, 2019 – Installation view at Aretè Showroom – Courtesy State Of – Milano IT.

Una genovese a Milano: di State Of e di come coniugare moda e arte contemporanea

Oggi intervistiamo Manuela Nobile, coordinatrice del progetto State Of a Milano.
31 Agosto 2020
7 min
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Graphic designer, nasce a Genova e si trasferisce presto a Milano. Frequenta il triennio di Progettazione Artistica per l’Impresa all’Accademia di Belle Arti di Brera, per proseguire con il biennio in Design della Comunicazione alla Nuova Accademia di Belle Arti, NABA. Oggi lavora nel mondo dell’arte per fondere i suoi molteplici interessi in un’unica direzione. Siamo con Manuela che ci racconta della sua esperienza nel mondo dell’arte milanese con il progetto State Of.

Per cominciare ti chiedo subito qualche parola su State Of, progetto davvero interessante che coniuga arte e moda, e qual è il tuo ruolo al suo interno

Ciao e grazie per l’invito! Benissimo, cominciamo: State Of è uno spazio espositivo ospitato in uno show-room di moda e si trova a Milano in zona Porta Romana (esattamente in via Seneca 4). Nasce appunto dalla collaborazione con Areté Showroom, con il cui proprietario siamo amici da tempo: il progetto è nato molto spontaneamente, perché lui già conosceva il mio lavoro nel campo della grafica e si è per così dire avvicinato a me perché sapeva della passione che ho per l’arte.

Aveva in mente di realizzare un progetto espositivo e cercava un collaboratore a cui affidarne la coordinazione; quindi sono stata anche fortunata, che nella vita mi è capitato di incontrarlo. È successo quindi che ho fondato State Of: ho deciso il nome, la grafica e la “brand identity” – come la chiamano in gergo – e adesso mi occupo della direzione artistica insieme a Luca Zuccala che è vice direttore di Artslife, e abbiamo Dario Moalli come curatore interno.

Chiaro. E il tuo background qual è? Cioè, che percorso hai fatto prima di arrivare a State Of?

Diciamo che è stato tutto molto casuale nella mia vita se posso dire la verità. Ad esempio mi ricordo delle scuole medie – noi due eravamo compagne di classe (si può dire?!) – ti ricorderai che ero una ragazzina con pochi interessi, poi mia madre mi ha spinta contro la mia volontà a fare il liceo artistico. Ha visto qualcosa in me anche se io stessa non me ne rendevo conto: col senno di poi riconosco che ha visto bene, perché l’arte ha effettivamente costituito il mio percorso.

Quindi dopo il liceo mi sono diplomata all’Accademia di Brera di Milano in indirizzo design, eppure mi piaceva più il contesto della gestione, cioè il mondo della produzione artistica da dietro le quinte, e ho scoperto poi il mio interesse nel campo della grafica; alla fine ho scelto di specializzarmi in Design della comunicazione alla NABA, sempre a Milano.

Nel frattempo ho lavorato a Brera nello studio grafico dell’Accademia, ma io non ho mai scelto niente, cioè, in un modo o nell’altro tutte queste situazioni, e anche le scelte, sono successe un po’ per caso, come se fossero capitate. Si capisce cosa intendo?

Credo di capire, e penso che questo tuo sentire sia condiviso da moltissimi ragazzi della nostra generazione.. sarebbe bello affrontare il discorso in un articolo dedicato e parlare un po’ di filosofia contemporanea. Ma, ora, tornando a bomba: un po’ più precisamente, qual è il concept del progetto State Of? Manifesto, obiettivi, economia e tutto il resto.

Come dicevamo, State Of collabora con il mondo della moda. Il fatto di essere all’interno di uno show-room è importante per noi perché determina il progetto come una piattaforma multidisciplinare proprio a livello fattivo.

Il nostro intento è diventare una realtà unita in cui l’arte non solo comunica con la moda ma vi si integra: un luogo in cui i due linguaggi si impastano così bene da non essere più divisibili. Abbiamo fatto mostre sia con lo show-room vuoto che pieno di abiti, e a settembre uscirà un evento per la fashion week nel quale naturalmente gli artisti che ospitiamo interagiranno con lo spazio pieno.

Per quanto riguarda l’aspetto economico, siamo molto legati agli sponsor: ogni volta ne troviamo di nuovi, e questa ricerca ci permette di interagire con molte persone e sempre nuove. A ben guardare l’aspetto della comunicazione con le persone è uno dei più entusiasmanti del mio lavoro: la relazione e la collaborazione sono sempre alla base di un lavoro fatto bene che porta ricchezza a tutti. Parlo di ricchezza intellettuale, comunque, perché vorrei sottolineare – di questi tempi è necessario farlo – che noi non ci guadagniamo, e che quello che entra va agli artisti.

In generale cerchiamo la sperimentazione: già la natura dello spazio è ibrida, e la comunicazione tra arte e moda non è così tradizionale, ma va tenuto conto che l’arte – la contemporanea soprattuto – è un grande contenitore di linguaggi anche molto diversi tra loro, e ci piace giocare, anche qui, con i blending.

A installazioni, allestimenti multimediali e pittura si è aggiunta di recente per forza di cose la dimensione virtuale: abbiamo appena realizzato una mostra digitale un po’ per colpa e un po’ grazie alla pandemia, che ci ha permesso di scoprire nuove potenzialità del linguaggio espositivo (sempre di esposizione si parla). Io, Luca e Dario siamo tre persone molto diverse e sono convinta che questo fatto sia un valore per il progetto, perché le esposizioni non sono mai lineari ma spesso imprevedibili, il che secondo noi è interessante.

Tu ti occupi solo delle grafiche e della comunicazione con gli artisti, o fai anche altre cose dentro a State Of?

Proprio perché io Luca e Dario siamo persone molto aperte e perché il progetto ricerca il più possibile la fluidità, è molto difficile – purtroppo – dividerci precisamente i compiti. In poche parole, tutti ci occupiamo di tutto: è importante che l’organizzazione sia costantemente affidata a tutti e tre, che ci confrontiamo e ci stimoliamo sempre.

Nel dettaglio della pratica, poi, io mi occupo di realizzare tutte le grafiche e gestisco la comunicazione sui social. I ragazzi si occupano più della redazione dei testi e della ricerca delle media partnership, ad esempio lavoriamo molto con testate giornalistiche come Forme UnicheATP DiaryMade in Mind e Artslife.

E comunque la cosa bella del progetto è sempre, come dicevo, il rapporto con le persone: ad esempio è nata una bella amicizia con una ragazza di ATP Diary che chiama Marta Orsola Sironi, i suoi testi critici sono qualcosa di super!

Aretè Showroom, Giardino, 2019 – Installation view at Aretè Showroom – Courtesy State Of–Milano IT
Aretè Showroom, Giardino, 2019 – Installation view at Aretè Showroom – Courtesy State Of–Milano IT

Poi in generale io mi occupo fisicamente dello spazio: tutti i riti di accensione e spegnimento della mostra, sai, accendi il monitor, regola le luci, la musica e tutto il resto; e forse la responsabilità più grande che ho è di controllare che gli abiti dello show-room non si danneggino o vengano trafugati durante le mostre. Compito arduo di cui farei volentieri a meno!

Veramente bello, anche se non ti invidio per il compito arduo. Ti chiedo ancora qualche informazione in più proprio in merito alle mostre che avete organizzato, e quelle che che farete. 

Sì, per il momento ne abbiamo fatte tre: due fisiche e una digitale, come dicevo prima.

Nella prima, Estate, autunno, hanno esposto dodici artisti con tre curatori (proprio per partire in bellezza!), è stata fatta lo scorso dicembre e gli artisti venivano da BoCS Art, residenza artistica a Cosenza.

La seconda invece è stata a gennaio con Edoardo Manzoni: una personale in questo caso, in cui lo show-room era in parte pieno di abiti, il titolo della mostra è stato Fame, e io ho comprato un suo lavoro perché sono follemente innamorata della sua poetica!

Edoardo Manzoni, Senza Titolo (Trap) – Installation view at Aretè Showroom – FAME, 2020 –Courtesy the artist and State Of–Milano IT – ph. Credits Francesco Spallacci
Edoardo Manzoni, Senza Titolo (Trap) – Installation view at Aretè Showroom – FAME, 2020 –Courtesy the artist and State Of–Milano IT – ph. Credits Francesco Spallacci

Non ho detto che organizziamo anche spesso dei Talk collaborando con magazine indipendenti, ne abbiamo fatti diversi a proposito delle residenze con ospiti anche importanti come Giacinto di Pietrantonio. Abbiamo anche invitato Leonardo Caffo, professore e filosofo.

La terza mostra, Digital C(ode) affronta il tema della cyber security: la sicurezza nel mondo digitale e il modo in cui viviamo i social oggi sono temi caldi, e siamo consapevoli che coniugati all’esposizione online, costituiscano un azzardo che rischia di cadere nel banale. Ma devo dire che siamo molto soddisfatti del lavoro degli artisti e il risultato è stato positivo.

Per quanto riguarda le prossime mostre, invece, abbiamo una programmazione fitta.

La prima è a settembre con Jacopo Rinaldi, artista romano, e sarà una sorta di archivio digitale online – che si concluderà con una mostra vera e propria a gennaio.

Verso fine ottobre invece è in programma una mostra fisica interamente di pittura con ventitré artisti figurativi, tutti italiani, tra cui Chiara Sorgato, Giuliano Sale e Dario Maglionico. Sarà molto entusiasmante, ci sarà il catalogo e sarà un evento grande: avremo sponsor importanti quindi non ci resta che sperare in un buon decorso della situazione Covid per un’ottima fruizione della mostra.

S// Salomé Chatriot and Samuel Fasse, Inflatable skin, Z.2 (Zoom) – 3D – Digital (c)ode, 2020 –Courtesy the artists and State Of – Milano IT
S// Salomé Chatriot and Samuel Fasse, Inflatable skin, Z.2 (Zoom) – 3D – Digital (c)ode, 2020 –Courtesy the artists and State Of – Milano IT

Meraviglioso. Verremo sicuramente a curiosare! Prima di chiudere, ultima domanda: dato che sei genovese (non rinnegare mai le tue origini!), pensi che in un contesto come Genova, che ha le problematiche che conosciamo, si possa realizzare uno progetto come State Of, oppure no? 

Bella domanda. Il rapporto tra moda e arte presuppone che ci sia una buona base culturale in grado di apprezzare sia l’una che l’altra. A Genova, per quanto ne so, mancano un po’ delle basi solide sia nel campo della moda che in quello dell’arte contemporanea. Ma penso che comunque il terreno ci sia per inventare qualcosa che possa funzionare qui: voglio dire, la moda a Milano è un valore che fa parte della tradizione, qui abbiamo altre cose (e per fortuna!).

Penso che si potrebbe pensare a qualche collaborazione con i palazzi storici, magari con le fondazioni o anche negozi che seguono una linea originale, insomma, trovare una chiave che possa far comunicare la città con l’arte contemporanea; perché come dicevamo è la collaborazione che porta ricchezza, e la stessa espressione artistica – che a Genova sta comunque timidamente riemergendo – si rafforza quando comunica con qualcos’altro, questa è la mia opinione e me ne rendo conto mettendo insieme arte e moda a Milano.

Quindi penso che un progetto simile, qui a Genova, sia possibile cercando quella chiave che mette in relazione tradizione e innovazione. E qualcosa si muove, mi pare.

Se ti riferisci ai nostri progetti come Wall:out, Code War e Mixta, ci lusinghi! Bene, allora incrociamo le dita e diamoci da fare. Quando tornerai fissa a Genova sono certa che darai anche tu il tuo contributo! Ti ringrazio per l’intervista e ti auguro buona vita.

Molto volentieri, credo in questa città e ne sarò felice. Grazie a te e a Wall:out!

Immagine di copertina:
Aretè Showroom , Interno, 2019 – Installation view at Aretè Showroom – Courtesy State Of – Milano IT.


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Membro del duo curatoriale Mixta con il quale si occupa di progetti artistici che siano attivatori sociali. Ha curato mostre, rassegne e festival negli spazi pubblici, nelle periferie e nei luoghi istituzionali della città di Genova. È anche fondatrice e CEO di Wanda, associazione per la trasformazione culturale, che accorcia le distanze tra le nuove generazioni e la cultura.

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