LABIBA: Mandati Fuori. 1948 Mandato Britannico israele e palestina

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Gli anni del Mandato hanno generato una duplice narrazione che da allora continua a modellarsi sui calchi di memorie collettive opposte.
1 Marzo 2024
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La linearità della Storia non è sempre garanzia di chiarezza. Alcune verità storiche sono di difficile accessibilità e la concatenazione progressiva degli eventi non assicura un resoconto privo di ambiguità. 

La questione israelo-palestinese ne è la dimostrazione. Le vicende che ne delineano il racconto si susseguono su una time-line incontestabile. Tuttavia, le esperienze diverse (in alcuni casi diametralmente opposte) degli attori in gioco generano una duplice narrazione. 

Il 1948 è l’anno che più di tutti mette in risalto questa duplicità.

Nel 1948 gli ebrei vedono il sogno di uno Stato di Israele realizzarsi. Lo stesso anno centinaia di migliaia di palestinesi subiscono l’espulsione forzata e la fuga in massa dalla propria terra, l’orrore, la catastrofe, la Nakba.

Gli eventi del 1948 servono da spartiacque per indicare il prima e il dopo di una storia dalla natura dicotomica e tracciano due percorsi storici distinti che continuano a modellarsi sui calchi di memorie collettive opposte.

Considerare il 1948 il punto nevralgico della storia israelo-palestinese vuole dire dover analizzare con eguale interesse e diligenza le conseguenze di quegli eventi e la strada che ha portato a essi.  

Un punto di partenza, due strade parallele

Al termine della prima guerra mondiale lo smantellamento dell’Impero Ottomano e la spartizione delle province arabe tra Francia e Gran Bretagna comportano mutamenti considerevoli nella regione mediorientale. La creazione di regimi mandatari nell’ambito della Società delle Nazioni innesca una serie di eventi tuttora considerati cruciali per la comprensione del Medio Oriente coloniale e postcoloniale. 

Il 1920, l’anno in cui viene creato il Mandato Britannico della Palestina, è quindi il principio della strada verso il 1948.

Il documento del Mandato Britannico della Palestina (1920 – 1948) risulta fondamentale per la futura creazione dello Stato di Israele e al contempo allontana la possibilità di creazione di uno stato palestinese.

Incorporando nel suo testo la Dichiarazione di Balfour del 1917, il Mandato si poneva a favore della fondazione in Palestina di una national home per il popolo ebraico, riconoscendo delle organizzazioni sioniste come sue rappresentanti dalla struttura autonoma e quasi statale.

Le sorti degli arabi palestinesi finiscono, invece, per essere gestite a livello internazionale, dapprima dalla Società delle Nazioni, poi dalle autorità britanniche. Privi di organizzazioni statali riconosciute dal Mandato, i palestinesi si ritrovano svantaggiati all’interno della realtà geografica palestinese dai nuovi confini (Sykes-Picot Agreement, 1916). 

La Gabbia di Ferro e una narrazione oscurata

Da una parte i sionisti e il sogno dell’autodeterminazione, dall’altra i palestinesi, intrappolati in quella che il professore Rashid Khalidi descrive come una gabbia di ferro.

Nel suo libro The Iron Cage, Khalidi racconta come accettare il Mandato significava per i palestinesi vedere negati i propri diritti e la propria narrazione, in quanto la Palestina era un paese arabo appartenente solo a loro. 

La struttura stessa del documento del Mandato privava gli arabi della Palestina della loro identità e del loro diritto all’autodeterminazione e alla sovranità, riferendosi a loro semplicemente come comunità non ebraiche e non menzionando i loro diritti politici, ma solo civili e religiosi.

Due popoli, due esperienze, due coscienze nazionali 

Nel suo libro Transnational Palestine: Migration and the Right of Return before 1948, lo storico Nadim Bawalsa sostiene che «la coscienza nazionale palestinese si è sviluppata transnazionalmente nel corso del periodo interbellico nonostante e in risposta alle politiche di esclusione Britanniche». 

Bisogna perciò sottolineare come la coscienza nazionale israeliana si sia sviluppata sull’onda del movimento sionista e non troppo tempo addietro rispetto alla nascita di quella palestinese. 

Gli ebrei nativi della regione, quasi interamente sefarditi, non avevano grandi aspirazioni nazionalistiche. Durante i secoli di dominio ottomano, in Palestina la popolazione a maggioranza musulmana coesisteva con piccole comunità cristiane ed ebraiche.

All’inizio del XX secolo, tuttavia, il panorama geopolitico regionale si modifica. 

Come descritto dalla giornalista Emily Bazelon in una discussione del New York Times, l’arrivo in Palestina di numerosi ebrei in fuga dalle persecuzioni nell’Europa orientale e in Russia, plasma le dinamiche della regione e introduce il sionismo come «risposta all’afflizione globale dell’antisemitismo».

Ma le promesse britanniche al popolo ebraico, la successiva fondazione del Mandato Britannico della Palestina e l’immigrazione di massa nella regione hanno favorito un popolo e intensificato la lotta per l’esistenza di un altro, creando uno squilibrio sostanziale ancor prima del 1948. 

Si è formata così una narrazione duplice delle memorie collettive di israeliani e palestinesi, solidificata nel 1948 e protratta fino ai nostri giorni. 

Gli anni del Mandato hanno rappresentato un periodo cruciale in cui Israele e Palestina si sono confrontati con destini divergenti, tra dominio coloniale, fervore nazionalista e i semi di un conflitto che si sarebbe sviluppato nei decenni successivi.

Immagine di copertina:
Foto copyright free Canva Pro.


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