Dall’esplosione dell’ultima guerra in Ucraina, nel febbraio 2022, non sono mancati i parallelismi con altri conflitti in corso nel resto del mondo, tra cui la pluridecennale guerra israelo-palestinese. Confronti che, molto spesso, hanno suscitato una lunga serie di polemiche e che, allo stesso tempo, hanno sollevato l’applicazione di doppi standard nel trattamento delle varie comunità globali colpite dagli scontri armati.
In effetti, negli ultimi mesi abbiamo osservato i Paesi europei esibire il drappo blu e giallo, segno di solidarietà con un popolo devastato da una guerra svoltasi alle porte dell’UE.
Assieme alle varie offerte di beneficenza per incrementare l’aiuto umanitario, l’accoglienza di chi ha ospitato i bambini, donne, anziani in fuga dal territorio occupato, le azioni e reazioni del popolo europeo hanno suscitato giubilo e riconoscenza da parte degli ucraini.
A ciò si è però affiancata la critica di chi ha notato come le conseguenze del conflitto odierno su popoli come la Palestina, lungamente oppressi dall’occupazione armata, siano state di contro ignorate dalla comunità occidentale.
Se la crisi mondiale causata dalla guerra in Ucraina ha inasprito la recessione economica dei Paesi UE, la Palestina non è esente dall’assaggiarne le amare ripercussioni; un’altra prova che ci indica come, in fondo, l’Europa non sia così distante dal resto del mondo.
Infatti, i territori palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, sotto l’autoritarismo delle autorità israeliane, fronteggiano la crisi alimentare già da tempo.
Allo stremo del declino, la povertà si è via via acuita a seguito della scarsità di beni e risorse provocata dalla guerra in Ucraina, che ha causato oltretutto un aumento non indifferente del prezzo della farina di frumento, pari al 18% in Cisgiordania e al 24% nella Striscia di Gaza.
Inoltre, secondo le valutazioni del Ministero dell’Agricoltura palestinese, le perdite nel settore agricolo avevano già superato i 200 milioni di dollari durante l’ultimo attacco israeliano del maggio 2021. Secondo un sondaggio condotto dal Programma alimentare mondiale (WFP) nel marzo 2022, vi sono ben 1,8 milioni di persone in Palestina che attualmente devono fronteggiare l’insicurezza alimentare. Tra questi, il 50% non ha accesso alle risorse essenziali.
A tal proposito, l’Ong internazionale Oxfam ha segnalato, in un comunicato dello scorso 11 aprile, che le famiglie palestinesi appaiono duramente colpite dall’aumento dei prezzi alimentari globali e molte continuano a lottare per i loro bisogni primari; nello stesso comunicato, Oxfam addirittura sottolineava il pericolo che le scorte di frumento in Palestina potessero esaurirsi nell’arco delle successive tre settimane. Un duro colpo per un territorio costretto a importare quasi il 95% delle scorte di grano.
Secondo Oxfam, l’attuale crisi provvede a falcidiare ancor di più il potere di acquisto delle famiglie palestinesi.
Proprio nella Striscia di Gaza, un numero crescente di nuclei familiari acquista ora alimenti a credito. Come anche affermato dal Palestine Economic Policy Research Institute (MAS), il governo dovrebbe ora attuare delle politiche effettive e sostanziali, affinché si possano trovare delle alternative efficaci alle importazioni di grano e farina provenienti da Ucraina e Russia in Palestina.
Ancora una volta poi, Oxfam ha esortato la comunità internazionale ad adottare un fronte comune sul piano diplomatico ed economico, affinché si sfidino quelle politiche di Israele che impediscono particolarmente ai palestinesi di investire nella produzione alimentare locale, così come nel settore infrastrutturale.
Articolo di
Federica Sammali
Immagine di copertina:
Foto di Alice Kotlyarenko
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