LABIBA | Bias mediatico: il doppio standard su Gaza

LABIBA | Bias mediatico: il doppio standard su Gaza

La copertura della guerra su Gaza ha mostrato bias e distorsioni. Un report del Centro per il monitoraggio dei media rivela come ciò influenzi l'opinione pubblica.
2 Agosto 2024
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Per decenni, la propaganda politica ha operato attraverso i media e il loro controllo, nonostante il mondo occidentale rivendichi una crescente libertà di espressione e si vanti di una società tecnologicamente avanzata in cui l’informazione è facilmente accessibile e generata.

Tuttavia, a questa utopia si contrappone una dura realtà in cui l’informazione appare sempre più corrotta e meno affidabile.

Questa tesi è supportata dai più autorevoli centri studi che si occupano della libertà di espressione, come Global Expression Report, che afferma: 

“nell’ultimo decennio (2013-2023), 6,2 miliardi di persone in 78 Paesi hanno subito un peggioramento della libertà di espressione; solo 303 milioni di persone in 18 Paesi hanno visto un miglioramento”

Questo trend introduce una crescente incertezza sulle sempre più numerose fonti che abbiamo a disposizione, e richiede che chi consulta le notizie si doti di un bagaglio di strumenti per leggerele in modo corretto e informato.

Il declino della libertà di espressione negli ultimi anni, infatti, va a impattare sulla qualità e autenticità delle informazioni e costringe allo sviluppo di un netto discernimento critico quando si legge una notizia.

I bias delle testate

Questo articolo vuole aprire una piccola finestra su come sia stato trattato dai giornali, in particolare, il conflitto Israelo-Palestinese negli ultimi mesi, mettendo in luce i principali bias delle testate, in modo da rendere consapevole chi legge delle tecniche utilizzate e poterle riconoscere in futuro.

Un interessante report rilasciato dal CL “Insistenza sul “diritto di Israele”” (a difendersi) è stata riscontrata in 1.482 occasioni tra i canali televisivi, mentre sul diritto dei palestinesi ha presentato solo 278 risultati.

Il centro per il monitoraggio dei media (CFMM) ha analizzato l’imparzialità dei media su Gaza nel periodo 2023-24. Lo studio ha esaminato oltre 1.500 articoli e trasmissioni di importanti fonti di notizie internazionali, tra cui BBC, CNN, Al Jazeera e altre.

I risultati del rapporto rivelano diffusi pregiudizi e squilibri nel modo in cui il conflitto Israele-Gaza viene raccontato. 

“Questo rapporto devastante dovrebbe essere discusso in parlamento, studiato nelle scuole di giornalismo, reso lettura obbligatoria per i direttori dei giornali, e letto da chiunque sia minimamente interessato ai terribili eventi che stanno avendo luogo a Gaza” – Peter Oborne, Giornalista e autore pluripremiato

Tra i principali bias citati nel report, troviamo le seguenti:

Mancanza di contesto

  • Solo il 24% delle notizie che parla di Israele, Hamas o Gaza menziona le parole “Palestina/palestinese”
  • In un mese, su oltre 98.500 menzioni del termine Gaza, ci sono stati solo 28 casi di “Gaza occupata”. Il canale di notizie inglese Al Jazeera (che riporta notizie dal punto di vista del Sud globale) ha menzionato i “territori occupati” più di tutti i canali di notizie britannici e americani messi insieme
  • Molte testate giornalistiche hanno fatto ricorso a eventi e discussioni solo a partire dal 7 ottobre, come se quella fosse la data di inizio del conflitto.

Presa di posizione sul conflitto, disparità, interpretazione deviata degli eventi

  • La maggior parte dei canali televisivi ha promosso il “diritto di Israele” a difendersi rispetto ai diritti dei palestinesi con un rapporto di 5 a 1. 
  • Gli israeliani sono descritti come “uccisi”, mentre i palestinesi sono spesso descritti come “morti”, senza alcun riferimento agli assassini.
  • Quando si usa un linguaggio emotivo, gli israeliani hanno circa 11 volte più probabilità di essere indicati come vittime di attacchi, rispetto ai palestinesi: 
  • Nelle clip televisive trasmesse, 2 termini emotivi su 3 si riferivano a morti israeliane. Solo 1 su 10 sono stati utilizzati per i morti palestinesi.
  • Oltre il 70% dei termini “atrocità”, “massacro” e “strage” sono stati usati in riferimento agli attacchi contro gli israeliani.

Generalizzazione

“I manifestanti pro-Palestina sono spesso stati inquadrati negli articoli come violenti, sostenitori del terrorismo e antisemiti che rappresentano un pericolo per gli ebrei.”

L’articolo mette in luce come la narrazione giornalistica del conflitto sia mediamente deviata, ed evidenzia l’importanza di fornire una spiegazione del contesto storico per informare il pubblico sulla natura di lunga data del conflitto israelo-palestinese, e per evitare che chi non conosca gli avvenimenti si crei un’idea incompleta sulla sola base degli accadimenti odierni.  

I resoconti degli accadimenti devono essere equilibrati e non favorire una particolare narrazione, devono dare il giusto peso a entrambe le parti, e gli stili giornalistici non devono adattarsi a seconda della parte in oggetto, cosa che al momento sembra non avvenire.

Allo stesso modo, i media non dovrebbero dare priorità al diritto di Israele di difendersi rispetto al diritto del popolo palestinese di autodeterminarsi e di resistere legalmente all’occupazione secondo il diritto internazionale.

Articolo di
Silvia Pizzigoni

Immagine di copertina:
Foto di Bank Phrom


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