Cessate il fuoco e liberazione degli ostaggi: questo l’accordo tra Israele e Hamas entrato in vigore il 19 gennaio 2025, 15 mesi dopo il 7 ottobre 2023.
470 giorni di violazione dei diritti umani che hanno portato a cifre di distruzione e morte senza precedenti, basi per le accuse di genocidio contro Israele avanzate da Stati davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, organizzazioni internazionali e dalla stessa commissione speciale delle Nazioni Unite, in attesa che il procedimento di giurisprudenza internazionale faccia il suo corso.
Ma la tregua ha tutt’altro sapore di quello previsto.
Le fasi dell’accordo
Dopo settimane di negoziazioni avvenute nella capitale del Qatar, Doha, e probabilmente accelerate dalla pressione statunitense su Israele da parte del neo-eletto presidente Donald Trump per arrivare a un accordo, la notte di mercoledì 15 gennaio, il primo ministro del Qatar Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani annuncia che Israele e Hamas hanno trovato un accordo sul cessate il fuoco con liberazione degli ostaggi da entrambe le parti.
Dopo due giorni di esitazione da parte di Israele, con accuse e minacce mosse dagli esponenti del governo di estrema destra, la firma ufficiale sull’accordo arriva nelle prime ore di sabato 18 gennaio.
L’inizio emblematico dell’entrata in vigore dello stesso si racchiude nelle immagini dei primi ostaggi liberati da entrambi i fronti, nello specifico 90 prigionieri palestinesi, a seguito di tre ostaggi israeliani rilasciati da Hamas.
Uno dei primi punti chiavi iniziale dell’accordo, che si sostanzia in tre fasi temporalmente e programmaticamente sequenziali.
La prima fase di 42 giorni prevede il rilascio di 33 ostaggi dichiarati vivi e ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, seppur mantenendo un perimetro di sicurezza, oltre che il rilascio di 1.000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
La seconda fase, come definita da Francesco Rocchetti (ISPI), è di consolidamento, mentre la terza prevede il rilascio di tutti gli ostaggi ancora sotto detenzione e/o sequestro.
Nel frattempo, dopo la conferma del cessate il fuoco, l’accesso per gli aiuti umanitari nella Striscia è immediatamente ripreso, come testimoniato dai primi camion del Programma Alimentare Mondiale (WFP, World Food Programme) che nelle prime ore di domenica sono entrati a Gaza per portare aiuti alimentari a una popolazione dove l’insicurezza alimentare è stimata al 91%.
Un accordo che porta speranza e una boccata di ossigeno per le famiglie degli ostaggi e per la popolazione di Gaza, ma che non fa alcun riferimento ad altri territori palestinesi occupati ancora sotto bersaglio israeliano, nonché agli strascichi di un conflitto secolare, che ha subito un acutizzazione senza precedenti da ottobre 2023.
Una tregua senza diplomazia ad ampio raggio, la questione aperta di una pace senza giustizia.
Da ottobre 2023 a gennaio 2025: una sintesi della distruzione fisica e umana a Gaza
Il resoconto della più lunga offensiva portata avanti da Israele dalla nascita dello Stato nel 1948 delinea uno stato di distruzione fisica e umana che rende il ritorno dei palestinesi precedentemente residenti nella Striscia ancora più tragico.
Più di 46.000 palestinesi risultano essere stati uccisi durante i 15 mesi di attacchi, più di 109.000 le persone ferite. Ma le stime aggiuntive parlano di circa 10.000 persone uccise da attacchi aerei i cui corpi sono ancora sepolti sotto gli edifici collassati.
A livello infrastrutturale, più del 69% degli edifici risulta distrutto o gravemente danneggiato, con strutture pubbliche e di ‘vita quotidiana’ come scuole, ospedali, cimiteri e moschee tra i target principali; nove case su dieci sono state ugualmente rese impraticabili da droni, bombardamenti e intensi attacchi aerei, con il numero di sfollati interni salito a quasi due milioni.
In riferimento a ciò, nel gergo della giurisprudenza internazionale, si è iniziato a diffondere il concetto di ‘domicidio’ come nuovo crimine di guerra, ovvero la distruzione di massa di abitazioni per rendere il territorio inabitabile.
Quasi due milioni gli sfollati interni nella Striscia.
L’ondata di violenze non si arresta
E proprio quando a Gaza i palestinesi si rimettono in cammino a cielo aperto, alla ricerca di una strada verso casa, gli scontri in Cisgiordania e in altri territori occupati rilanciano quell’ombra scura di un cessate il fuoco che sa molto di facciata.
‘Grande operazione militare’, così Israele ha definito l’attacco effettuato a Jenin, in Cisgiordania, il 21 gennaio: nove palestinesi uccisi, 35 feriti.
La sera prima, l’assalto al villaggio palestinese di Al Funduq da parte di coloni armati si inserisce nel piano di colonizzazione che non è stato mai accontonato, e che forse trova nella temporanea sosta degli scontri a Gaza una via per il governo israeliano di proseguirne gli obiettivi sotto l’usuale giustificazione di lotta al terrorismo per la sicurezza di Israele.
Come sottolineato da Pierre Haski, l’accordo di cessate il fuoco non condurrà ad alcuna soluzione politica, né sarà strumento di deterrenza rispetto alla strategia di Israele contro la Palestina e il popolo palestinese.
Una tregua che sa di respiro a mezzi polmoni.
Articolo di
Chiara Sinigaglia
Immagine di copertina:
Foto di Christina Watkins
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