La tavola della Crocifissione di Giovanni Mazone (not. 1453-1510/12), realizzata attorno al 1480 per la chiesa di San Giuliano d’Albaro e conservata presso il Museo di Sant’Agostino, è uno fra i dipinti più pregiati della collezione di pittura su tavola quattrocentesca dei Musei civici di Genova.
L’interesse per quest’opera è da ricercarsi non solo nel pregio estetico e figurativo, ma anche nel profondo significato storico e filologico; la si può considerare emblematica per la storia della pittura ligure del Quattrocento, anche in relazione alla parziale dispersione di questo patrimonio.
Il fatto che l’opera sia conservata presso il Museo di Sant’Agostino è dovuto, come per altre opere coeve, alle vicissitudini seguite alle soppressioni napoleoniche e sabaude (1853 e 1866) di chiese e conventi.
Le spoliazioni che ne derivavano portarono alla drammatica dispersione di opere che erano state commissionate e realizzate per i suddetti edifici nei secoli precedenti. La faticosa ricostruzione di quello che doveva essere l’ingente patrimonio pittorico più antico delle chiese genovesi e liguri è oggetto di studio e fonte di interesse da più di un secolo.
Studiando quest’opera in particolare, ripercorrendone la storia, si può prendere coscienza di come tale ricchezza figurativa sia tuttora parte della vita cittadina, grazie all’operato dei Musei civici.
La Tavola di Crocifissione venne realizzata dal pittore alessandrino di cultura lombarda Giovanni Mazone (not. 1453-1510/12) che fu uno dei protagonisti della pittura genovese e ligure fra XV e inizio XVI secolo.
L’opera, proveniente dalla chiesa di San Giuliano d’Albaro, raffigura la Crocifissione di Cristo con la Madonna, San Giovanni Evangelista, Santo Stefano con un’altra santa e un monaco benedettino, ossia il committente.
È stato ipotizzato che quest’ultimo sia Stefano Adorno, in quanto a intercedere per lui è, appunto, Santo Stefano, e gli Adorno possedevano una cappella in San Giuliano.
Rimane comunque qualche dubbio sulla provenienza esatta dell’opera, poiché, nel corso degli espropri di beni ecclesiastici del XIX secolo, San Giuliano venne utilizzata come deposito di opere provenienti da altri luoghi di culto; anche se la corrispondenza – comunque ipotetica – fra Stefano Adorno e il suo santo eponimo sembra confermare l’appartenenza al sito in questione.
L’attribuzione fu controversa: già la si riteneva opera di Mazone o frutto di collaborazione ma nel 1942 Roberto Longhi la ricondusse all’artista alessandrino e le fotografie all’infrarosso, evidenziando il disegno preparatorio, mostrarono il tratto caratteristico del pittore nella composizione grafica delle figure.
Nelle parti paesaggistiche della tavola, delicatamente velate con successive pennellate di vernice trasparente, è stato ipotizzato l’intervento di Nicolò Corso (not. 1469-1513).
La collaborazione di quest’ultimo con Mazone è documentata in due atti datati rispettivamente 1484 e 1486, nei quali viene citato anche il pittore Galeotto Nebbia da Castellazzo (not. 1461-1495). Da questi atti si evince come questa collaborazione fosse già attiva nel 1483 in Alessandria, in quanto Galeotto Nebbia testimonia che Corso avesse realizzato in quegli anni, per conto di Mazone, alcune Maestà (“in certis maiestatibus”).
Questa collaborazione però potrebbe essere cominciata ben prima di quanto ufficialmente documentato, ed è probabile che si trattasse di collaborazioni temporanee e non continuative.
La presenza di un’opera di questo artista nel Museo rimanda, latamente, anche alla storia del complesso conventuale di Sant’Agostino, poiché nella chiesa si trovava una sua opera, commissionatagli, nel 1486, dall’Arte dei Berrettieri per la cappella della loro corporazione. Di questo polittico non restano tracce, se non quelle documentarie, in quanto la chiesa venne soppressa nel 1798 e le opere e gli arredi vennero dispersi.
La presenza di quest’opera, quindi, è da considerarsi significativa: offre al visitatore una ricostruzione di quello che doveva essere il patrimonio artistico di una delle chiese più importanti e care al popolo genovese nel passato. Occorre in ogni caso ringraziare la sorte che, nonostante le vicissitudini storiche, si sia comunque riusciti a conservare alla nostra nazione un patrimonio artistico ineguagliabile.
Immagine di copertina:
Foto archivio Lorenzo B.
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