La paralisi di una generazione che non riesce a ribellarsi

La paralisi di una generazione che non riesce a ribellarsi

La nostra generazione sembra essere diventata indifferente al dolore del mondo. Qui una serie di banalità che, se ripetute come un mantra, ci possono aiutare a rialzare la testa.
11 Dicembre 2024
4 min
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Dirò delle banalità, d’accordo. Ma il fatto stesso che ci sia la necessità di mettere nero su bianco queste banalità la dice lunga sullo stato delle cose.

Sono preoccupato dal torpore collettivo nel quale siamo immersi, e del quale si parla troppo poco. E tra l’altro, il fatto che se ne parli troppo poco non è altro che l’ennesimo sintomo del torpore stesso.

Penso che tutte le generazioni della storia, in un certo qual modo, abbiano pensato che il periodo storico che stavano vivendo rappresentasse un momento di svolte epocali. Noi non siamo esenti, e a ragione: guerre, genocidi, pandemie, il pianeta che soffoca.

La nostra generazione, però, a differenza delle precedenti, ha completamente perso la capacità di reagire a questi fenomeni.

Ma cosa dico? Reagire! Abbiamo perso la capacità anche solo di interagire con essi, di ragionarci, di provare dei sentimenti a riguardo, di individuarli. Facciamo persino fatica ad alzare la testa e ad accorgerci di quello che ci succede intorno. 

Un’ingloriosa cavalcata verso il nulla

Siamo diventati bravissimi a destreggiarci negli ingranaggi della vita neoliberista: un piccolo obiettivo dietro l’altro, un impegno dopo l’altro, un passo dopo l’altro.

Per non rischiare di accendere il cervello neanche un secondo, intervalliamo questi momenti con la fruizione di tonnellate di spazzatura su social network e affini. Un’ingloriosa cavalcata verso il nulla. 

Niente di nuovo: ci sono migliaia di film, canzoni, libri e poesie che ne parlano.

Il punto è che questo fenomeno è talmente radicato nell’organizzazione della nostra società e delle nostre individualità che non riusciamo a vivere diversamente, anche se riconosciamo il problema.

Io stesso, che eppure sto scrivendo un pezzo al riguardo, non riesco a vivere diversamente. È imbarazzante.

Dal mio punto di vista posso dire che due siano i fattori principali che contribuiscono a questa insopportabile atrofia: l’incapacità di leggere il presente e identificare le ingiustizie, e la mancanza di volontà di ribellarsi ad esse.

Mi sono reso conto che le nostre capacità di discernimento circa quello che ci circonda sono arrivate ai minimi storici: fatichiamo a capire l’impatto dei provvedimenti che limitano le nostre libertà, giustificati in nome di sicurezza e sanità, per esempio.

Non riusciamo a fare uno sforzo di astrazione e capire quello che significano in relazione alla storia dello stato liberale, e neanche a intuire che impatto possano avere sulla qualità della vita nostra e di chi ci sta intorno.

Siamo pronti a buttare via le conquiste dell’Illuminismo, i princìpi fondanti della nostra Costituzione senza neanche rendercene conto. 

Il nostro sconfinato egoismo

Le ragioni di questa lobotomia collettiva sono senza dubbio tantissime e probabilmente non ne conosco che una minima parte. Sicuramente la già menzionata sovrastruttura economica, il nostro stile di vita lavoro-centrico e la nostra dipendenza da Instagram e Tiktok giocano la loro parte.

Personalmente, penso che aver vissuto durante la cosiddetta ‘fine della Storia’ non ci abbia giovato affatto. Cullati da 80 anni di crescita economica, democrazia, liberismo e pace, abbiamo progressivamente abbassato il livello di guardia e tolto spazio alla nostra coscienza politica per lasciarlo alla montagna di sciocchezze di cui parlavamo sopra.

Così, ora che la Storia è venuta a bussare prepotentemente alla nostra porta, non abbiamo i mezzi per interpretarla e per empatizzare con il dolore che questa sprigiona.  

A volte, però, riconosciamo queste ingiustizie. E qui subentra l’atteggiamento più colpevole, più imbarazzante, più imperdonabile: il non reagire, il non ribellarsi.

Nonostante riusciamo a indignarci, riusciamo a provare disgusto, non arriviamo mai a dire: “no, io questo non lo ingoio. Questa lotta vale la pena di essere combattuta, a ogni costo”.

C’è sempre qualcosa di più importante, di più urgente, di più contingente. C’è, in ultima analisi, il nostro sconfinato egoismo.

E nell’egoismo, nell’individualismo, nell’assenza di mobilitazioni di massa, i potenti e i prepotenti del mondo prosperano. Non siamo in grado di metterli alla barra, di farli rispondere delle loro azioni, di punire i loro comportamenti ingiusti, di dettare la loro agenda. E loro agiscono indisturbati.

In questo momento, in Palestina ogni giorno centinaia di innocenti vengono trucidati barbaramente. Ogni giorno sui nostri smartphone arrivano immagini di bambini letteralmente fatti a pezzi, uomini e donne sotto le macerie, persone che bruciano.

Ci arrivano persino le testimonianze dei militari israeliani che documentano in diretta i propri crimini contro l’umanità, e ciononostante non riusciamo a intervenire.

Non riusciamo a chiamare il governo a risponderne. Andiamo alle manifestazioni, sì, ma a volte, solo quando non abbiamo impegni più importanti. 

Questo cortocircuito suscita in me un profondo senso di vergogna.

Spesso i sentimenti che subentrano sono la rabbia e l’impotenza, ma poi mi chiedo:

“Mi sono alzato alle 5 del mattino per bloccare il varco del porto di Genova? Mi sono fatto 6 ore di macchina per andare alla manifestazione a Roma? Faccio con costanza azioni di boicottaggio nei confronti delle aziende israeliane? Ho appeso in tutta la città i nomi delle persone morte in mare mentre cercavano di raggiungere il nostro paese?”

Semplice: no. E quindi forse qualcosa da fare prima di sentirmi rabbioso e impotente effettivamente ci sarebbe stato.

Dobbiamo smetterla di prenderci in giro: dobbiamo guardarci negli occhi e convenire che condividere generici appelli su Instagram e andare a piccole manifestazioni non basta.

La nostra generazione ha la sfortuna di aver maturato la propria coscienza civica anni dopo il G8 del 2001: non sappiamo come lottare. Non abbiamo una cultura della lotta, non siamo abituati a scioperare e scendere in piazza, non abbiamo alcuna idea di come si cambiano le cose.

Ed è per questo che vi deluderò se, giunto alla conclusione del pezzo, non vi esorto a qualche tipo di azione, o vi propongo una ricetta per riscattare la nostra vita da rammolliti. 

Questa ricetta la chiedo a voi: parliamone, riprendiamoci il diritto di reagire, usciamo dal torpore. Ne abbiamo un disperato bisogno.

Immagine di copertina:
Foto di Juan Pablo Serrano


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Abitazioni artificiali e mentali. Crediti Hanna Stijnen
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