Consuetudine

La consuetudine che divenne legge

Sapevi che la perpetua ripetizione nel tempo degli usi li porta a essere anch'essi fonte del diritto?
8 Dicembre 2020
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La nostra tradizione giuridica da sempre si posa su due pilastri fondamentali, che regolano la produzione del diritto. Da una parte si erge il colosso della legge scritta, racchiusa nella Costituzione in primis e a suo seguito nei codici delle varie discipline, dall’altra invece abbiamo quella che si suole chiamare consuetudine, ma che nel gergo giuridico viene indicata maggiormente come “usi”.

Non vi è una società organizzata in cui questi due metodi di produzione giuridica non siano, in misura maggiore o minore, presenti. 

Il diritto consuetudinario da sempre ha ricevuto meno attenzione, ma non si può non notare un suo richiamo in molte materie disciplinate dal codice civile.

Esso deve quindi essere inteso nella sua forma più semplice? Come un diritto che colma le lacune delle dimenticanze del nostro legislatore?

Ebbene no, la consuetudine è tradizione! Nel “Manuale di Diritto Privato” (Torrente-Schlesinger, Giuffré Editore, 2015) viene definita come: “una ripetizione generale e costante in un certo ambiente, per un tempo adeguatamente protratto, di un certo tipo di comportamento osservabile che diviene, nell’ambiente in cui esso è osservato, doveroso”. Questa caratteristica di doverosità che assume evidenzia la sua natura giuridica come fonte del diritto.

Se l’uso non è scritto, ciò che più può preoccupare è come esso possa essere portato davanti ad un giudice come prova, magari per giustificare un proprio comportamento.

Sebbene la consuetudine sia soggetta al principio iura novit curia, secondo il quale la conoscenza del giudice sulle norme di legge è presupposta – e ciò ci porterebbe a ritenere che soltanto gli usi di cui ne sia a conoscenza il giudice possano essere tenuti in considerazione durante un processo – in realtà la consuetudine gode di prova libera, indi per cui sarà possibile per la parte sostenerne l’esistenza fornendo la prova con ogni mezzo consentito: documenti, testimonianze o precedenti applicazioni.

La consuetudine si ritrova a volte anche in alcune procedure, decisamente di interesse nazionale, si pensi all’iter di consultazione per la formazione del Governo, secondo il quale il nostro Presidente della Repubblica riceve e consulta le diverse personalità politiche prima di scegliere la persona a cui conferirà l’incarico di formare il Governo.

Non si rinviene questa procedura in nessuna legge, è semplicemente un’usanza costante che nel tempo si è ritenuta doverosa. 

Curioso è invece sapere che esistono delle raccolte ufficiali di usi, come quella tenuta dalla Camera di Commercio di Genovala quale dovrebbe essere aggiornata e approvata ogni cinque anni dalla Giunta regionale. Essa racchiude diversi usi nelle materie più varie: per esempio, nella parte dedicata agli scambi agrari, all’Art. 22 troviamo l’uso di quello che è comunemente e storicamente conosciuto come “baratto”. Come funziona questo baratto tra animali? Io ti do un tacchino e tu mi dai una mucca?

Ebbene, anche se l’idea di fondo è questa, lo scambio di bestiame avviene puramente a scopo lavorativo, il “prezzo” corrisponde a un equivalente numero di capi di bestiame e di ore lavorative; questa tipologia di compravendita si verifica ormai limitatamente nelle zone della Valle Scrivia. 

Ritroviamo questa usanza presso l’azienda agricola Autra, nel comune di Savignone, dove il titolare, il signor Alfredo, mi ha spiegato che il baratto di animali tra fattorie non solo è una tradizione, ma anche un favore reciproco che si prestano a fare le aziende agricole per limitare anche le spese nell’acquisto di bestiame.

Ancora più interessante per tutti gli appassionati frequentatori di cantine vinicole che amano fare degustazioni e pranzi con prodotti tipici può essere la sezione dedicata alla compravendita sul vino locale, dove l’art. 339 “Vendita vini di produzione locale” prevede che l’acquisto del prodotto venga fatto su assaggio. Si può dire che questa consuetudine possa essere usata come una scusa in più per bersi un bicchiere di vino a gratis, come piace tanto a noi genovesi.

Vi sono sicuramente dei limiti imposti nell’uso delle consuetudini, infatti esse non si rivengono nel diritto penale, in quanto è un diritto che necessita di certezza più che mai, ed è infatti da escludere che una consuetudine possa valere a configurare un fatto come reato, e questo è affermato intensamente dalla Costituzione nell’Art. 25, comma 2 in cui si sancisce l’inviolabilità del principio della legalità. Gli usi dunque operano nei limiti tracciati dalla legge, si va dunque ad escludere la possibilità di fare uso di consuetudini contra legem.

Le curiosità nel nostro diritto sono molte e la consuetudine è sicuramente una di queste. La famosa legge non scritta ha da sempre caratterizzato tutte le civiltà: si pensi al periodo storico prima dell’invenzione della scrittura, le regole su cui si fondava una comunità venivano tramandate di generazione in generazione, non vi erano né codici né costituzioni. Si rimane infatti stupiti quando si viene a conoscenza che ad oggi sono sopravvissute un gran numero di consuetudini, istituti così antichi ma ancora in grado di essere fonti del nostro diritto.  

Immagine di copertina:
Foto di Thomas Bormans


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Sostenitrice dei diritti umani, appassionata allo studio della legge, prossima alla laurea in Giurisprudenza. Amante di tutti gli animali, in particolare del suo cane, di nome Zik, lo considera come il suo fedele destriero nelle battaglie della vita. Le piace vedere il mondo dall’alto, magari su un tacco 10 cm. Conquista le persone per la sua determinazione e l’eleganza nei modi di essere, ma la puoi facilmente corrompere con una barretta Kinder.

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