Il G8 di Genova, per chi è di Genova, rappresenta un evento spartiacque.
Sotto la Lanterna c’è stato un prima e un dopo luglio 2001, per restare ai tempi contemporanei. Io, come ho già avuto modo di spiegare in questo articolo: Il G8 di Genova. Quell’estate calda e quei missili a Sestri Ponente, all’epoca dei fatti avevo soltanto sei anni. Troppo piccolo per poter conservare nitidi ricordi.
Del resto mi trovavo in campagna, in un clima di ovattata tranquillità bucolica, assai lontana dagli incidenti che si stavano consumando per le strade della città.
Crescendo, tuttavia, ho più volte cercato di documentarmi a dovere su alcuni aspetti della vicenda, e una cosa che mi colpisce molto è che alcune circostanze di contorno meriterebbero più approfondimento di quanto non venga fatto.
Oggi provo a descriverne una.
Nella primavera precedente all’evento genovese che avrebbe ospitato i più influenti leader politici del mondo, i mezzi di informazione e le agenzie di stampa italiane fecero circolare una serie di ipotesi e di scenari piuttosto allarmanti su quanto si stava preparando.
Va preso in considerazione il fatto che il contesto internazionale stesse registrando un aumento della violenza sia retorica sia pratica della galassia no global.
Tra il 1998 e il 2001, infatti, una serie di manifestazioni avvenute in varie città del mondo si erano trasformate in episodi di guerriglia urbana. Da Seattle a Praga, fino ad arrivare a Göteborg.
Tutto questo attesta da un lato il clima di tensione crescente, dall’altro anche una ricerca morbosa di sensazionalismo.
Ed è proprio con quest’ultimo spirito che, senza effettuare le controverifiche del caso, venne pubblicata da più parti la notizia riguardante la minaccia del lancio di gavettoni un po’ particolari da parte dei facinorosi.
Secondo quanto venne fatto trapelare da alcuni dispacci del SISDE (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica), la celebre “zona rossa” sarebbe stata attaccata anche con dei palloncini pieni di sangue infetto da HIV. Sangue umano? O forse di maiale? Questo non si era capito bene.
Uno scenario senz’altro spaventoso ma irrealistico, data la difficoltà logistica di trasporto e conservazione di simili “oggetti di lancio”, oltre che per il fatto che dopo breve tempo sotto l’esposizione dell’aria la carica infettiva si esaurisce.
Eppure, può accadere che la paura in certi casi prenda il sopravvento, divenendo una variabile importante.
Del resto, come ha ampiamente illustrato la rivista di geopolitica Limes, nel numero intitolato “L’Italia dopo Genova” del 2001, sul capoluogo ligure nei mesi precedenti era stata messa in atto una vera e propria campagna di psywar (psycological war). Con questa opzione, nota anche come infowar, si cerca di far leva su un timore condiviso attraverso il rilancio mediatico, per orientare l’opinione pubblica.
Il fenomeno è stato descritto da David Lonsdale, che è professore in War and Security Studies presso l’Università di Hull, nel suo libro “The Nature of War in the Information Age: Clausewitzian Age” (edizione 2004).
Il risultato concreto che si è raggiunto al G8 di Genova, all’alba delle manifestazioni di piazza, è stato quello di aver generato una stigmatizzazione generalizzata del fronte popolare della protesta, compresa la grande maggioranza pacifica. Quest’ultima, a conti fatti, è risultata mediaticamente silenziosa, anche nella narrazione post-factum delle violenze di strada.
Inoltre, gli agenti di polizia hanno probabilmente dovuto far fronte a un sentimento di stress superiore al dovuto nelle settimane precedenti al summit, che può aver influito sull’effettivo e provato uso di violenza nei confronti dei manifestanti.
Postilla finale sul mondo attuale.
Si può attestare che, con la distorsione delle notizie e la propagazione di fake news sui social network, la società globale sia nettamente peggiorata sotto questo punto di vista rispetto al 2001. Le catene di passaparola sfuggenti e i canali di rabbia scarsamente repressa possono portare anche a conseguenze che facciamo fatica a razionalizzare.
Un esempio? È capitato assai di recente, quando a inizio gennaio guardavamo le immagini del Campidoglio di Washington, preso d’assalto da una folla piuttosto eterogenea. Senza entrare nel merito della questione, non siamo di fronte a qualcosa di nuovo da un punto di vista sociologico, semplicemente la velocità e la portata di propagazione possono essere fortemente maggiori.
Una bufala o (nel caso di QAnon) un’intera ideologia complottista possono risultare le micce di reazioni difficili da gestire.
Immagine di copertina:
Foto di Mika Baumeister
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