#cèpocodaridere

Grazie a loro ridiamo e viviamo meglio, ma a ben pensarci c’è poco da ridere

Zero tutele, pochissimi diritti, instabilità, precarietà: torna a galla la condizione di chi allieta e riempie di senso le nostre giornate.
11 Maggio 2020
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Sono i lavoratori e le lavoratrici del mondo dello spettacolo: sanno farci emozionare, regalarci momenti di piacere o di riflessione, raccontarci la società che viviamo o altri mondi, dare forma alle sensazioni che proviamo, smascherarci attraverso la maschera.

Spesso ci fanno ridere, anche, ma c’è un “ma”: si scopre ora -o si fa finta di scoprire solo ora- che c’è veramente poco da ridere quando si osserva la loro condizione. Zero tutele, instabilità, precarietà; letteralmente appesi/e a un filo. Basterebbe immergersi un poco sotto la superficie dell’acqua per prendere e portare a galla l’assurdità della loro situazione lavorativa.

La preoccupazione, cresciuta negli anni dietro le quinte, oggi è allarme. Attrici e attori, musicisti, danzatori, artisti e creativi, non solo allietano le nostre giornate, ma le riempiono di senso. Sono soprattutto loro che negli ultimi mesi ci hanno “intrattenuto” e fatto svagare nonostante la paralisi sociale, da dietro gli schermi. Molti di noi hanno probabilmente percepito questa condivisione gratuita e generosa come un fatto naturale.

Intrattenere significa far trascorrere piacevolmente il tempo ed è quello che questi costruttori di emozioni e di condivisione fanno abitualmente; la loro presenza ci consola, ci aiuta, accende mille lucine nello stomaco, liberandoci e distraendoci dalla banalità e dalla piattezza della routine.

Ora che i teatri e i palcoscenici sono vuoti per davvero e minacciano di riaprire tra molti mesi, ora che la distanza fisica dal pubblico si allunga pericolosamente, è lecito chiedersi che ne sarà, di qui a poco, di una società costretta ad accontentarsi di uno spettacolo sempre meno “dal vivo” e sempre più mediato, che ne sarà del nostro esperire insieme, ora che la fruizione si trasforma, e cosa ne sarà di certe indimenticabili, impagabili e insostituibili atmosfere piene di fiati e odori.

Ma il punto, ora, non è neanche questo, nel senso che la Cultura è capace di riadattarsi e di reinventarsi in molte forme e può forse -ammetto di essere scettica- sopravvivere in universi comunicativi alternativi. Quello che invece, con urgenza e senza esitazione alcuna, deve farci tremare, è la scoperta, salita a galla come un rifiuto di plastica, che questi lavoratori e queste lavoratrici sono sostanzialmente invisibili sul piano dei diritti.

E allora parliamoci chiaro: vi aspettate che un muratore sconosciuto venga a costruirvi gratuitamente il muro di casa, che un bancario vi offra le sue competenze senza nulla in cambio, che un idraulico vi aggiusti il rubinetto per pura passione o che un dentista vi faccia la gentilezza di sistemarvi i denti per amore del suo lavoro?

Non serve rispondere, credo. Dagli addetti alla Cultura e dagli artisti in senso ampio, invece, ci aspettiamo atti naturali di condivisione. E questo perché sovrapponiamo il nostro godimento, piacere, passatempo, hobby, con il loro lavoro, con il loro sacrificio, il loro talento e la loro professionalità. Un fraintendimento quasi inevitabile che forse sta alla base della noncuranza con cui certe categorie vengono trattate -o perfino non trattate- dalla nostra società.

E vien da porsi un’altra domanda, allora:

Qua in Italia, dove ci vantiamo fieramente di conoscere e amare la nostra ricca Cultura, siamo davvero pronti a tutelarla, ad averne cura, a sostenerla?

Perché di sola passione, per quanto grande essa sia, non si campa. E pure con un’esistenza priva di arte, almeno nel mio caso, non si campa bene. Ce lo ripetiamo infinite volte, ma facciamo fatica a mobilitarci per cambiare le cose.

Nei giorni bui del lockdown non sono mancate le dirette streaming dei musicisti, i video degli attori, i laboratori creativi, i corsi in remoto. Attività importanti per la salute mentale di molti di noi, che però non rispondono, chiaramente, al bisogno di sostentamento dei loro autori e che comunque fanno fatica a sostituire l’esperienza del contatto diretto con il pubblico.  

Ebbene sì, tra tutte, è proprio la categoria dello Spettacolo la più traballante, quella maggiormente a rischio: ora che vengono garantiti o quantomeno promessi aiuti e sostegno a tutte le professionalità, le Arti tornano di fatto a sembrare accessorie, legate al tempo del piacere e dello svago ma evitabili e sicuramente non fondamentali quanto i negozi di toelettatura per cani.

Niente di più falso, lo direbbe qualsiasi filosofo, studioso della mente e della salute umana. Eppure…Non vale per me, ma è tendenza comune intendere le Arti e la Cultura come “passioni”, associarle al concetto di dono o di istintiva necessità; di conseguenza è prassi ritenere che chi le pratica, anche se professionalmente, lo fa per puro piacere e a prescindere da quello che può o non può ricavarne in termini economici.

In parte è vero; è infatti innegabile che la creatività nasca da un bisogno spontaneo e che le Arti debbano consegnarsi libere al mondo e accessibili al loro pubblico interagente, vivendo esse soprattutto di relazioni e diffusioni aperte.

È vero anche, però, che il processo di affinamento di questo “slancio naturale”, fatto di impegno e costanza, deve essere sempre riconosciuto, retribuito, tutelato, garantito. E insomma, sarà una banalità dirlo, ma c’è un motivo se non tutti siamo in grado di salire su un palco e interpretare un personaggio o di metterci al pianoforte e tenere un concerto in un locale (anche se il lockdown ha chiamato all’improvvisazione/esibizionismo di massa sui balconi e sui social network).

Parliamo di professionisti e professioniste che praticano l’arte per una sorta di necessità vitale -e aggiungo con un certo coraggio, vista la considerazione ricevuta sul piano giuridico- ma che di tale “necessità” hanno anche fatto un mestiere; parliamo di lavoratori e lavoratrici che vuoi per esperienza sul campo, vuoi attraverso corsi e studi, si sono formati, investendo tempo, sforzi e denaro sui loro sogni, capaci di diventare anche i nostri.  

Sebbene le Arti, e ancor di più quelle dell’intrattenimento, si costituiscano di un dialogo incessante tra chi le realizza e chi ne gode, è chiaro che per tutti/e arrivi poi il momento di fare letteralmente i conti con la realtà quotidiana. Insomma, chiariamolo una volta per tutte:

Quello che è per molti di noi più o meno vitale passatempo e goduriosa distrazione dalla nostra quotidianità, per i “fabbricanti di intrattenimento” è anche un lavoro e una fonte di guadagno.

Esibirsi, creare, è un lavoro. Più appassionante di altri, forse, ma pur sempre lavoro. Minimizzare il ruolo e la dignità della Cultura, dimenticarla, abbandonarla, lasciarla rotolare lungo un inevitabile e rapido processo di indebolimento è un fatto molto grave di per sé. In Italia lo è perfino di più. 

Cosa fare, a questo punto, per sensibilizzare Istituzioni e pubblico rispetto al problema? Ma soprattutto: come è possibile che le prime, in questi mesi di paure diffuse e posti a rischio, non abbiano minimamente pensato a fornire rassicurazioni, indicazioni e strategie di sopravvivenza utili a questo oceano di invisibili che pure sono motore delle nostre anime?

Si spengono i riflettori sui palchi per accendersi sulla loro allarmante condizione. Ed era l’ora, aggiungo. Ultimamente hanno fatto così la comparsa una serie di iniziative volte a creare mobilitazione e pensate non solo allo scopo di trovare soluzioni momentanee (niente reddito, niente cassa integrazione, niente misure) ma anche al fine di riprogettare il dialogo della categoria con i piani alti e fare in modo che anche in futuro, con l’auspicato ritorno alla normalità, le cose possano andare meglio.

Perché la crisi del settore, sul piano dei diritti, è ora accentuata e assume carattere d’urgenza, ma è in atto da diversi anni, nel silenzio e nell’indifferenza generali.

Penso allora a “Tiriamo fuori la voce”, la campagna virale del collettivo Attrici Attori Uniti (nato proprio nei giorni dell’emergenza sanitaria) che ha visto la partecipazione di numerosissime persone dello spettacolo impegnate nel girare e condividere un breve video in cui viene letto l’Infinito di Leopardi senza voce.

Vengono poi mostrati dei fogli che recano la seguente frase:

Non c’è un problema di audio, noi lavoratrici e lavoratori del mondo dello spettacolo siamo senza voce, perché il Ministero non ci ascolta. E tu? Sei con noi?

“Tiriamo fuori la voce”. L’UnioneSarda.it

In attesa di risposte concrete da parte dell’AGIS (L’Associazione Generale Italiana dello spettacolo) cha ha presentato nei giorni scorsi un documento per la ripartenza delle attività e del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, cerchiamo di comprendere meglio le ragioni e gli obiettivi di un’altra giovane campagna social, promossa attraverso i canali del network di comunità Goodmorning Genova e che per questo ci riguarda ancora più da vicino: #cèpocodaridere.

Per conoscerla meglio, ecco le parole dell’attrice Valeria Angelozzi (*ringrazio per la mediazione un’altra attiva promotrice dell’iniziativa, l’attrice Cristina Cavalli):


#Cèpocodaridere nasce perché al posto di un video comico che avrei dovuto realizzare per la pagina Goodmorning Genova con cui collaboro da circa un mese, ho deciso di fare un video per cercare di mettere a conoscenza le persone di ciò che la mia categoria, e in generale tutta la categoria dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo, sta subendo.

Così ho pensato di fare questo video e di lanciare questo hashtag: #cèpocodaridere. Devo ringraziare la sensibilità e la vicinanza della pagina Goodmorning Genova che ha deciso di trasformare questa mia iniziativa personale in una vera e propria campagna di sensibilizzazione a cui hanno aderito diverse attrici, diversi attori e diversi comici.

Credo che questa campagna, ovviamente unita a tutte le altre lanciate in questo periodo dai vari coordinamenti del settore, sia un modo per rendere pubblica la situazione di crisi e di perenne abbandono in cui versano i lavoratori dello Spettacolo e di conseguenza tutta la cultura italiana, in generale.

#Cèpocodaridere è appunto solo un’iniziativa che si inserisce tra le tante che sono nate in questi giorni. Gli attori e i lavoratori dello spettacolo si sono uniti in diversi coordinamenti come Attrici Attori Uniti, l’Attore visibile, Lavoratori dello spettacolo per il sostegno al reddito, Professionisti dello spettacolo-emergenza continua, Movimento lavoratori dello spettacolo e molti altri…abbiamo creato un mare di persone unite che chiedono ascolto, chiedono di partecipare ai tavoli in cui si decide del loro destino e chiedono di riformare completamente il mondo del lavoro dei lavoratori dello spettacolo.

Chiediamo di costituire una categoria e un riconoscimento a livello giuridico per le attrici e gli attori e chiediamo di essere trattati come dei lavoratori: di poter partecipare ai vari ammortizzatori sociali e di avere finalmente le tutele e i diritti che fino ad oggi ci sono stati negati.

La cultura in Italia è importante, è fondamentale, e chi fa questo lavoro, chi offre il proprio tempo e la propria competenza per fare Cultura in Italia, deve essere giustamente remunerato, deve essere pagato e deve essere riconosciuto come un lavoratore con tutti i diritti e le tutele annessi.

Ovviamente la campagna #cèpocodaridere continua, sempre sulla pagina Facebook e sul canale YouTube di Goodmorning Genova. Ci piacerebbe che partecipassero non solo altri attori e altri comici, ma anche gli spettatori, perché senza di loro, ovviamente, il nostro lavoro non ha senso.

Questo è un messaggio che lanciamo non solo alle Istituzioni, al Ministro, all’AGIS e a tutti coloro che gestiscono dall’alto questo settore, ma che è rivolto soprattutto alle persone che godono del nostro lavoro. E quindi invitiamo a una partecipazione collettiva chiunque abbia voglia di essere solidale con noi e abbia voglia di vedere finalmente un teatro rinascere a partire dai lavoratori  


A #cèpocodaridere hanno già aderito molti volti noti a Genova: i comici Andrea Di Marco e Maurizio Lastrico, il cantautore e intrattenitore Lorenzo Malvezzi, gli attori Marco Vergani, Andrea Nicolini e Fabio Fiori, le attrici Lisa Galantini, Beatrice Schiros e Marcella Silvestri, solo per fare qualche nome. Supportiamoli/e, allora, e facciamolo anche e soprattutto oltre il tempo dell’emergenza Covid19. Perché? Riflettiamoci insieme, leggendo questo estratto del contributo-video dell’attore Alessandro Bergallo

Tutti coloro che col loro mestiere trasferiscono emozioni e racconti, che fanno sognare le persone, che le fanno ridere, le fanno piangere, che raccontano, vanno tutelate perché sono una ricchezza. Sono una ricchezza per tutti noi perché riempiono e danno più senso alla nostra esistenza e alla nostra vita. La cultura non fa mangiare, anche se molti di noi ci mangiano, però sicuramente ha il pregio di rendere meno banale, meno ovvia, meno scontata, meno noiosa, la nostra esistenza. Quindi ricordatevi di noi

Immagine di copertina:
Illustrazione di lagattapigra


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Storica dell’arte specializzata in storia dell’arte contemporanea e curatrice indipendente, scrive per la rivista d’arte “Juliet”, lavora nel settore comunicazione della Coop. Il Ce.Sto e dei Giardini Luzzati-Spazio Comune, è social media manager di diversi progetti in corso, lavora nella redazione del network di comunità “Goodmorning Genova”. Co-fondatrice di Progetto A (associazione che ha realizzato progetti di curatela e promozione artistica). Sempre attenta all’attualità, con una forte vocazione per il sociale, attivista delle cause perse, mente aperta e curiosa, appassionata di cinema e accanita lettrice. Femminista. Viaggia spesso, vive di arti, di relazioni sociali, di incontri. Scrive, scrive, scrive -sempre, ovunque, specie di notte.

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