La casa c’è ma è ancora da ristrutturare, il lavoro non è ancora quello che si sperava, non siamo coraggiosi, non siamo ingenui, né diversi da chi preferisce aspettare di avere tutto nel giusto ordine prima di avere un figlio. Non ci sembra di rinunciare a qualcosa, forse chi lo dice o pensa che i figli dividano non era pronto a diventare genitore. Semplicemente si sta parlando d’amore e di attitudine, entrambi desideravamo diventare genitori da giovani e quando Bianca è rimasta incinta abbiamo avuto la conferma di amarci, non c’è stata esitazione nonostante pressioni esterne ma soltanto lacrime di gioia.
Anna Margot ci ha scelto e noi siamo lieti, sereni, pieni di energia ma soprattutto felici.
Come molte delle gravidanze in periodo d’emergenza Covid-19, la nostra è stata particolare, da una parte ci ha fornito molto tempo libero per abituarci all’idea e per consolidare la convivenza e ha dato a Bianca la tranquillità necessaria per superare facilmente il primo trimestre; dall’altra ha limitato la possibilità di condividere tantissimi momenti con amici e persone care.
Abbiamo recuperato senza dubbio nell’ultimo periodo, quando le restrizioni sono diminuite, e per loro merito i nostri amici sono stati molto comprensivi. Già adesso che nostra figlia ha 12 giorni di vita, riusciamo ad incontrarli come prima, ci sono soltanto più amore e tenerezza nell’aria. Un neonato è un momento di dolcezza quotidiana che manca oggigiorno nella routine giornaliera delle persone, per questo a noi piace condividere questa fase della nostra vita, è stancante per certi versi ma è una stanchezza che riempie, il giorno dopo siamo ricaricati.
Siamo i primi nella nostra cerchia ad avere avuto un figlio, io ho 25 anni, Bianca quasi 23
Ci sentiamo in un certo senso responsabili di far comprendere anche alle coppie tra gli amici più stretti che un figlio è una situazione naturale, un amore naturale, nel momento in cui abbiamo scoperto che lei era incinta ogni pensiero o dubbio che fino ad un secondo prima ci aveva intimorito all’idea si è dissolto.
E’ stata una riflessione importante, anche in una realtà come Genova si è circondati da situazioni assurde in cui ci si sente a proprio agio ed altrettante naturali per l’essere umano in cui ci si trova in ansia. Un figlio è la cosa più naturale che esista, adesso ne sono sicuro. Un figlio è un’emozione di impulso all’inizio, crescente durante la gravidanza, realizzante e di nuovo d’impulso alla nascita, poi crescente e realizzante ogni minuto, ogni ora, ad ogni nuova scoperta.
Ovviamente bisogna essere pronti all’idea di diventare genitore, essere genitori è una sfida quotidiana, ma non come accade ogni giorno, è una sfida in cui si vince sempre, se si era pronti a scendere in pista. Sfida non è il termine giusto, passeggiata neanche, perché in questo paragone ci immagino nella consapevolezza di un traguardo ma per tutto il tragitto restando a guardare il panorama, guidati da un vento che non fa perdere la direzione verso quel traguardo; amo pensare che quel vento sia nostra figlia, nonostante anche lei sia in pista e con i suoi mille traguardi.
Non penso sia utile raccontare l’esperienza personale del parto, anche confrontandolo con quelli delle compagne di stanza, ognuno è stato diverso. Per informazione posso ammettere che le restrizioni ospedaliere, a causa dell’emergenza, si sono attenuate, vi è ancora qualche piccolo vincolo di orario ma tutto nel rispetto dei futuri genitori e del personale.
Mi sento di dire ai futuri papà che la loro presenza e disponibilità è fondamentale
La calma, anzi non calma, la pace, il papà deve essere in pace come se il figlio fosse già tra le sue braccia; gli infermieri, i dottori, le ostetriche stanno lavorando, bisogna comprenderli in tutte le loro sfumature; le situazioni durante il parto possono essere le più disparate, il papà è il punto fermo, il sostegno, il compagno di viaggio, l’isola con le palme e le noci di cocco, non per caso.
Nonostante alcuni, data la mia età, sospettassero che non sarei riuscito ad affrontare il parto nel modo più corretto, ho dato il mio aiuto, per tre ore ho massaggiato durante le contrazioni mentre si intensificavano; in sala parto ho tenuto su gambe, braccia, alzato ed abbassato il lettino secondo gli ordini delle ostetriche, dato una mano a Bianca a tenere il tempo per la respirazione, in sinergia con le indicazioni dei professionisti presenti. E’ capitato anche entrassero studenti e specializzando a contribuire al parto o semplicemente per imparare, notavo che lei si stava agitando per l’aumento di persone nella stanza. Ammetto che stavo per agitarmi e per gridare di uscire fuori a tutti ma poi mi sono proiettato in avanti, chi era lì un domani poteva essere chi avrebbe aiutato mia figlia a partorire a sua volta. Allora le ho detto pacatamente: Queste persone sono qui per aiutarti, più persone ci sono più aiuto avrai, manca poco.
Bisogna sempre proiettarsi in avanti, talvolta di lato, nelle situazioni emozionanti, in certe fasi è meglio chiudere gli occhi e lasciare l’immaginazione scorrere, guidata da quelle stesse emozioni. Infatti in tre ore di travaglio, mi sono accovacciato per un attimo, ho dedicato un minuto a me stesso, a concepire le mie emozioni, dieci minuti prima che nascesse mia figlia, proprio quando mi sembrava una situazione difficile per l’accrescersi delle persone che stavano entrando, ho immaginato quelle persone tra 20 anni a fare lo stesso mestiere di chi ci stava aiutando a farci incontrare la nostra Anna Margot; ho pensato a Bianca che se avessi dato di matto le avrei aggiunto un ostacolo in più; un minuto dopo sono tornato a dare il massimo e poco dopo è nata mia figlia.
La degenza è durata qualche giorno e poi siamo finalmente tornati a casa. Lì ho capito di essere pronto a quel che verrà, pensavo che, una volta solcato il portone dell’ospedale, mi sarebbe sembrato tutto strano, diverso, vertiginoso, invece ero lo stesso di prima, soltanto con un velo di coscienza in più. Con un amore in più. Con delle responsabilità ma altrettante gioie in più.
Per le prime giornate ci siamo organizzati, durante il giorno badavamo entrambi alla piccola, più lei, mentre di notte stavo sveglio fino alle 6 e poi ci davamo nuovamente il cambio. Dopo la prima settimana ci siamo tranquillizzati maggiormente ed adesso dormiamo agli stessi orari e al massimo quando si sveglia, insieme ci occupiamo di lei, magari lei allatta ed io cambio il pannolino, a volte invece fa tutto lei, senza discussioni, è naturale, non è uno stress, né una gara di rese; anche per questo capisco che eravamo pronti. In realtà, come vedete, sottolineo ogni piccola conferma, a testimoniare che essere padre è una cosa completamente diverso dall’essere pronto a diventarlo.
Come detto in precedenza, i nostri amici sono molto comprensivi, non ci pesa il fatto di avere un figlio in termini di amicizia nonostante la giovane età, siamo gli unici ad averne uno tra di noi, ovviamente in questo primo periodo sono loro che vengono a trovarci ma riusciamo a svolgere le stesse attività di un tempo; è rassicurante avere intorno delle persone così. Nei prossimi giorni riusciremo a vederci anche non per forza con tutti e tre insieme; siamo genitori ma anche coppia e nondimeno persone distinte, abbiamo scelto di non chiuderci in un atomo opaco di famiglia. Certo, dipende dal tipo di persona, c’è chi preferisce stare più tempo distante per consolidare la famiglia, però l’importante è non perdere l’obbiettivo: la felicità di tutti e tre (o quattro, cinque).
Vorrei rendere più poetica questa sorta di racconto ma come dicevo, almeno per me, è naturale. Non c’è bisogno di gonfiare esperienze o emozioni, tutto sembra com’è. Ogni giorno guardo mia figlia e la cosa più straordinaria è poterle dire: Ciao Anna Margot, sono papà.
Immagine di copertina.
Foto di Simone B.
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