Pur con le difficoltà attuali, anche quest’anno, come accade da ormai 94 anni – incredibile, a pensarci – si è tenuta a Genova la tradizionale Fiera del Libro: come per quasi tutti i 93 passati, sotto le arcate di Galleria Mazzini.
Volendo stare ai fatti, quello che succede da quasi un secolo, in questa fiera, è, esattamente, questo: bancarelle di libri usati e non, affastellati in ordine per lo più casuale, mettono in vendita, a prezzi altrettanto fuori da ogni ordine di razionalità amazoniana, questi oggetti: in buona parte, non sono prime edizioni introvabili; raramente sono copie di editori minuscoli e di difficile reperimento; quasi mai si tratta di libri antichi. Volendo stare ai fatti, dicevo, sono solo vecchi libri. Spesso, libri vecchi.
Ma, allora: com’è che bancarelle di libri vecchi, senza una strategia di comunicazione, senza un finanziamento importante, senza politiche di innovazione, insomma, sulla carta senza nessuna possibilità di “resistere sul mercato”, ecco: com’è che stanno ancora lì da quasi un secolo? Come fanno dei libri vecchi a continuare ad essere venduti e comprati?
Come forse sarà chiaro ai lettori di Wall:out, la questione del libro ci sta abbastanza a cuore
Abbiamo raccontato, infatti, di libri che sarebbe utile non smettere mai di leggere e di scrittori genovesi; abbiamo raccontato di librerie in diversi angoli della città, che sono pensate per ampliare il concetto stesso di libreria e di libro; e, di recente, ci siamo fatti raccontare di Libriciclo.it, l’idea di due studenti genovesi di aprire una piattaforma gratuita finalizzata alla compravendita di libri scolastici usati. Come dicevo, il mondo dei libri ci sta abbastanza a cuore.
Tuttavia, mentre vagolavo anche quest’anno, ancora una volta, tra le bancarelle della Fiera del Libro in Galleria Mazzini, mi risuonava in testa quella domanda:
“com’è che questi sono ancora qui, dopo un secolo, a vendere vecchi libri?”
Non c’era verso, però, di trovare una buona risposta, seguendo i fili già tracciati: non era, certo, pensando al libro come qualcosa che può essere letto o scritto – come opera d’arte, diciamo – che si poteva spiegare quella specie di presenza paradossale che sono le bancarelle della Fiera.
Nemmeno aiutava pensare al libro come prodotto culturale inserito in luoghi storici e/o esteticamente apprezzabili come, appunto, le librerie.
Infine, neppure guardare al libro come pura merce di scambio era utile a spiegare la presenza di quelle bancarelle, dal momento che da questo punto di vista, semmai, il libro come merce è sempre più a suo agio su piattaforme digitali, come ben insegna l’esperienza di libriciclo.it.
Così, me ne stavo lì a scorrere con un dito della mano, uno dopo l’altro, i volumi appoggiati in verticale uno sull’altro – con una dinamica del gesto, in effetti, curiosamente simile a quella necessaria per scorrere le immagini sulle bacheche dei social – e continuavo a cercare una via d’uscita da quella trappola in cui mi ero infilato: “com’è che questi sono ancora qui, dopo un secolo?”. Che poi, a conti fatti, era un altro modo di chiedersi: perché io sono qui, da più di mezz’ora, a cercare vecchi libri che potrei, per esempio, trovare su Amazon o su altre piattaforme dedicate ai remainders, oppure andare a comprarli in una libreria molto più confortevole?
Ci sarebbero un sacco di risposte possibili, immagino, a questa domanda. Alcune più facili, immediate, altre di secondo o terzo livello.
Sarebbe anche bello, credo, provare a raccoglierle qui, e metterle tutte insieme. In effetti, tentare di formulare domande che invitino a raccogliere risposte, le più differenziate, vorrebbe essere esattamente uno degli obbiettivi di questa cosa che abbiamo chiamato Wall:out.
Per quanto mi riguarda, ve ne propongo una, che mi è arrivata mentre ero lì a scorrere libri vecchi. Non nel senso new age che dall’alto mi è arrivata l’illuminazione, ma nel senso che mentre ero lì, ho sentito per sbaglio uno stralcio di conversazione tra il responsabile della bancarella e una ragazza che stava comprando una manciata di libri.
Lei: Ma cosa è successo quest’anno? Non ho mai trovato così tanti libri fighi, tutti insieme?
Lui: Eh, è mancato il Signor [nome del signore che è mancato, che, da quanto si capiva, oltre a essere molto avanti con l’età, era anche molto famoso per la sua biblioteca, almeno tra il venditore e la compratrice].
Ora, si potrebbe stare qui per dei giorni a fare lunghissime glosse a questo micro-episodio. Ma di certo conserva, almeno in parte, una bellissima risposta alla domanda che si sta inseguendo qui. Perché dice che il libro è, senza dubbio, un’opera d’arte (più o meno riuscita), così come è un prodotto culturale (più o meno godibile) e non può certo rinunciare al suo essere una merce.
Tuttavia, se il libro non è mai solo queste cose, è anche grazie a queste bancarelle paradossali che permettono questi, altrimenti impensabili, passaggi di consegne. Infatti, quando una biblioteca privata, per motivi che qui non ci interessano, viene redistribuita in questo modo, accade che alcuni dei suoi pezzi più o meno grandi si sparpagliano, secondo traiettorie imprevedibili e spesso casuali, per ricollocarsi poi all’interno delle biblioteche dei diversi passanti.
Ma questi movimenti non sono (solo) circolazioni di opere d’arte, di prodotti culturali o di merci. Sono anche tutte queste cose ma, prima di tutto, sono passaggi di oggetti materiali. Come fossero pezzi dell’arredamento di quella casa, affastellati sul bancone e selezionati dai passanti di quel momento, secondo logiche affatto private e molteplici.
Allora, ecco qui: mentre ero lì, a fare la mia pesca, secondo criteri tutti miei, con accanto altri esseri umani che facevano la stessa cosa, pensavo questo:
Pensa un po’ riuscire a immaginarsela, tutta quella biblioteca privata raccolta per lunghissimo tempo in una casa genovese, che piano piano, pezzo a pezzo, si frastaglia e dissemina per decine di altre case, genovesi e non genovesi. È chiaro che non è una questione di essere interessati a quel libro di Calvino o a quell’edizione originale di Kafka; non si tratta nemmeno di acquistare volumi preziosi per collezioni o per rivenderli su e-bay.
Sì, d’accordo, potrà anche succedere, ma non è per quello che vai in Galleria Mazzini, in quei giorni. Ci vai perché, se sei fortunato, ti capita di trovare quel libro che è, prima di tutto, un oggetto la cui scoperta, in mezzo ad altri per te insignificanti, produce un’emozione. Riconoscere quel titolo, prendere in mano il libro e soppesarlo, sbirciare l’eventuale ex libris al suo interno, saggiarne le condizioni, riconoscere che come te, qualcuno prima di te, ha scelto quel libro, l’ha tenuto, forse a lungo, in casa sua e ora è lì, non selezionato fino a quel momento da nessuno che, ne sei convinto, non ne ha saputo riconoscere il vero valore.
Ecco, il valore: non artistico, non economico, neppure culturale in senso lato; bensì il valore dell’oggetto materiale. Proprio quel libro lì, con quella sua biografia. È quella biografia dell’oggetto – quella sua storia – molto più di quella raccontata nelle righe al suo interno, che vale.
Non so se tanto basta a fornire un inizio di risposta alla domanda sul perché da un secolo, questo tipo di bancarelle siano ancora lì, alla faccia del marketing, dell’innovazione strategica, della valorizzazione delle risorse o della pandemia. È probabile che sia appena più complesso di così. Ma la verità è che questo è solo quello che penserebbe chi non è mai stato lì, per più di 10 minuti, a scorrere libri in attesa di farsi sorprendere da una copertina che ti fa pensare:
Ma dai, ma figurati, ma vedi che c’era qualcuno là fuori così coglione come me da avere in casa un libro così.
Quel sorriso scemo che ti si apre per un secondo in viso, in quel momento, quello, non lo otterrai che in questi luoghi paradossali.
Assicurato.
Immagine di copertina:
Fiera del Libro di Genova in Galleria Mazzini. Foto di brickout
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