Obiezioni
Nei film giudiziari americani, i due topici più ricorrenti sono il verdetto finale che ribalta le aspettative e l’avvocato di turno che con voce stentorea solleva un’obiezione. Con questo intervento non aspiro a ribaltare alcun verdetto su Euroflora 2022, ma intendo esprimere, appunto, alcune obiezioni; d’altronde queste di solito non servono a dimostrare l’innocenza dell’imputato, ma a porre alcune questioni di metodo.
Anzi, a dirla tutta, le osservazioni che formulerò di seguito proveranno in qualche modo a far deragliare il dibattito in corso dal binario processuale che ha imboccato per condurlo a toni più rilassati e costruttivi.
Procediamo con ordine, come forse direbbe un bravo legale.
Di recente wall:out ha pubblicato un reportage dedicato a Euroflora 2022. L’intervento, a firma di Massimiliano S. intendeva sin dal titolo – “Euroflora 2022, glorificazione di un successo inventato” – ridimensionare drasticamente le dichiarazioni, improntate a un’estrema positività, rilasciate all’indomani della chiusura dagli organizzatori della manifestazione e da altri soggetti coinvolti a vario titolo.
Il testo articolava le critiche a Euroflora su vari livelli, affiancando la polemica sugli aspetti economici e quella sull’inagibilità pubblica dei Parchi di Nervi dovuta all’allestimento e allo smontaggio della mostra – particolarmente sentita dagli abitanti locali – con alcune osservazioni piuttosto negative sulla qualità degli allestimenti, raccolte da alcuni “esperti”, come venivano definiti nel sottotitolo.
Confessione
Ho letto con estremo interesse quell’articolo, nel senso letterale del termine. Lo confesso subito: le parole che leggerete sono gravate da un conflitto di interesse, che al tempo stesso spero conferisca a quello che scriverò un minimo di credibilità riguardo all’oggetto del dibattere.
Insieme a mio padre Matteo e mia sorella Marta ho firmato il progetto generale di Euroflora 2022, di cui siamo stati incaricati a seguito di una selezione ad inviti; il nostro studio, nella persona di mio nonno Marco Lavarello (1921-2018), in seguito affiancato da mio padre, ha progettato sei edizioni della mostra, dal 1971 al 1996, tutte allestite nei padiglioni dell’allora Fiera di Genova; infine, di recente, ho curato insieme a Paola Sabbion, paesaggista e dottore di ricerca in architettura del paesaggio, il volume “Euroflora 1966-2022. Paesaggi in mostra”, dedicato alla storia della manifestazione e pubblicato da Genova University Press.
Sciûsciâ e sciorbî
La prima obiezione riguarda le contraddizioni che emergono dalla collezione di critiche raccolta nell’articolo.
Se il dottorando in architettura del paesaggio Stefano Melli cita gli studenti che lamentano la “mancanza di pensieri sui cambiamenti climatici” e “l’occasione persa per immaginare un nuovo modo di vivere il verde” e la professoressa Francesca Mazzino critica la mancanza di “innovazioni” e “sperimentazioni”, il presidente dell’Ordine degli Architetti Riccardo Miselli lamenta la mancanza dell’effetto wow e l’articolista stesso richiama la diffusa nostalgia per le “cascate con tanto di caimani” delle edizioni alla Fiera e Pietro Millefiore – artista e docente all’Accademia Ligustica – ricorda l’effetto “spiazzante e affascinante” prodotto dalla completa trasfigurazione dello spazio del Palasport.
A ben vedere però, l’artificiosa spettacolarità del grande padiglione circolare, ottenuta con la movimentazione di tonnellate di sabbia, mantenuta attraverso l’ingente profusione di acqua e il continuo consumo di energia elettrica per l’illuminazione e il ricambio d’aria nei padiglioni, raggiungibile prevalentemente con mezzi di trasporto su gomma (tra cui moltissime auto, accolte dai grandi piazzali alla foce del Bisagno) sembra andare poco d’accordo con le legittime preoccupazioni circa la sostenibilità ambientale espresse dagli studenti; così come la finzione delle cascate, dei caimani e delle ambientazioni tropicali mal si sposa con il desiderio di allestimenti più innovativi e sperimentali.
Raccogliere un ventaglio eterogeneo di critiche può essere utile al dibattito, ma queste non possono essere sommate l’una all’altra per dimostrare un fallimento; sarebbe invece più interessante individuare dove si sia collocata Euroflora 2022 rispetto a queste istanze di segno quasi contrario e in quale direzione si stia muovendo.
A metà del guado
Personalmente ritengo che lo spostamento di Euroflora dall’interno dei padiglioni ad un grande parco pubblico, abbia rappresentato un grande passo in avanti nella direzione di una manifestazione più sostenibile sotto diversi punti di vista, meno fondata sulla dissimulazione e più sulla concreta, per quanto ancora effimera, relazione con un luogo ed un paesaggio, più naturale – con tutte le cautele necessarie ad utilizzare un termine così ambiguo – anche nell’esperienza di visita, persino nelle forme apparentemente meno gradevoli come gli acquazzoni che hanno afflitto quest’ultima edizione.
Questa nuova condizione, con tutti i vincoli – stimolanti, come ogni costrizione – e le potenzialità che porta con sé, ha avvicinato la mostra ad altre esperienze europee, come le tedesche IGA e BUGA e l’olandese Floriade, peraltro citate a modello dai detrattori di Euroflora, portandola a superare – secondo i criteri che ho sinteticamente esposto – le floralie di Gent e Nantes, che nelle edizioni rispettivamente del 2022 e del 2019 si sono ancora svolte all’interno di grandi padiglioni.
Proprio il caso di Nantes, che nel 2024 abbandonerà la tradizionale sede fieristica per spostarsi in un domaine del XIV secolo, dimostra come l’intero mondo delle mostre floreali sia in movimento, con i tempi lunghi che necessariamente caratterizzano manifestazioni dalle radici lontane; un movimento in cui noi italiani non siamo i primi a prendere l’iniziativa, ma neppure, per una volta, neanche gli ultimi, avendo invece costituito, mi piace pensare, il modello e lo stimolo per qualcun altro.
Euroflora ha fatto un passo importante e probabilmente dovrà farne altri in futuro, se vorrà continuare ad esistere, seppur in forme diverse. Si trova a metà del guado, come si suole dire: tacciarla ora di insuccesso temo significhi spingerla ad annegare.
Con il progetto generale di Euroflora 2022, abbiamo provato a contribuire a questo processo di trasformazione esercitando la virtù della prudenza e provando a infondere coraggio assicurando il confortante sostegno della continuità: una corda tesa tra una riva e l’altra a cui aggrapparsi attraversando il fiume del cambiamento.
La continuità ha forse permesso di evitare di spiazzare ulteriormente un pubblico tendenzialmente nostalgico – e come non potrebbe esserlo, con il ricordo ormai quasi mitico del Palasport trasformato in una serra gigantesca e strabiliante? – già messo alla prova dal cambio di sede e dall’edizione del 2018, miracolosamente organizzata in soli quattro mesi.
In questo senso va letto l’uso coreografico dell’acqua, che ha provato a rievocare un elemento ricorrente nelle edizioni organizzate alla Fiera e il classicismo, se mi è consentito definirlo così, del disegno planimetrico impostato su ampie sequenze assiali di forme curve.
Accanto alla continuità con la storia della manifestazione, non sono mancati, forse sottotraccia, gli stimoli proposti dal progetto generale per contribuire a un ripensamento di Euroflora.
Sotto questo profilo si può intendere la scelta di legare il progetto per un evento effimero all’assetto paesaggistico consolidatosi storicamente del luogo che lo accoglie, valorizzando con il disegno delle fontane e dei percorsi gli assi prospettici e compositivi che uniscono il litorale con le tre ville da cui i Parchi nacquero e costruendo un equilibrio armonico tra le aree espositive e quelle che hanno conservato la propria conformazione permanente, senza saturare completamente i Parchi.
Inoltre, attraverso il regolamento espositivo e suggerimenti diretti ai singoli espositori, sono state promosse modalità di allestimento che rinunciassero ad una posticcia trasfigurazione dei Parchi per sottolineare la distinzione tra la conformazione originaria dei luoghi e i contenuti in mostra.
Come è evidente il complesso di queste scelte procede – prudentemente – abbandonando la finzione spettacolare che si realizzava nei padiglioni fieristici per orientarsi verso un’Euroflora più autentica, naturale, sostenibile.
Mosaico
“I floricoltori genovesi guardavano a Euroflora come a un momento per mostrare al pubblico – che si riteneva sarebbe stato notevole – quanto erano in grado di fare, i risultati cioè che con la tradizione dei propri vecchi, con il sudore di intere generazioni profuso nella floricoltura, erano stati raggiunti”: così Giuseppino Roberto, per decenni direttore generale della Fiera di Genova e soprattutto uno tra gli ideatori della manifestazione, scriveva a proposito della prima edizione del 1966, nel volume “Floricoltura in Liguria, dagli inizi ad Euroflora”.
Pur rifiutando programmaticamente di assumere un carattere commerciale – è una mostra, non una fiera! –, i contenuti della manifestazione sono sostanzialmente quelli portati dagli espositori, in particolare da floricoltori e vivaisti, presenti attraverso partecipazioni individuali o collettive insieme a enti locali, Paesi esteri e istituzioni varie.
Paradossalmente, quelli che vengono pronunciati come giudizi un po’ sprezzanti dalla professoressa Mazzino “tante piante che troviamo nei vivai e nei supermercati” o, come riportato dal dottorando Melli, da qualche studente (“vetrina di piante”), in realtà catturano l’essenza di Euroflora sin dalla sua nascita; anche se verrebbe da chiedersi se nei “supermercati” frequentati da Francesca Mazzino si trovino ulivi centenari come quelli portati in mostra da I Giardini di Maggi, i bonsai giganti del vivaista toscano Romiti e Giusti, le grandi succulente della collezione “da viaggio” del Jardin Exotique di Monaco, le meravigliose azalee del Comune di Roma e della Compagnia del Lago Maggiore (uno dei migliori vivai italiani in questo settore), o la collezione di agrumi esposta dalla collettiva siciliana.
En passant accenno al fatto che qualsiasi ipotesi sul futuro della manifestazione non può prescindere dalla centralità dei produttori, pena un vero fallimento e la perdita definitiva dell’identità storica dell’esposizione.
Poiché la mostra è stata pensata soprattutto per dare visibilità ai produttori, a questi viene lasciata ampia autonomia riguardo all’allestimento dell’area assegnata, lasciando che il mosaico complessivo si componga di tessere non del tutto controllabili.
Così anche nel 2022 i principi generali che ho provato a delineare sono stati declinati da ciascun espositore in autonomia, pur nell’ambito di un tentativo – che forse poteva essere più incisivo – da parte dei progettisti e dell’ente organizzatore di una complessiva armonizzazione; qualcuno ha fatto proprie con convinzione queste linee guida, qualcuno le ha interpretate con libertà, qualcuno – inutile negarlo – le ha sostanzialmente ignorate.
Qualcuno, insomma, si è messo in cammino insieme a questa Euroflora in movimento, magari persino mostrando la via agli altri, qualcuno ha fatto fatica a tenere il passo, qualcuno ha preferito non allontanarsi troppo dalla riva del passato, così rassicurante.
La parola all’esperto
È questa complessità, questo irriducibile – qualche volta scomodo – pluralismo che sembrano sfuggire ai giudizi sbrigativi degli “esperti”, improntati all’illusione che Euroflora possa essere riassunta in una battuta.
Si tratta di un’illusione forse ancora viziata dalle vecchie immagini del Palasport, che al tempo stesso rappresentava il cuore e la porta di Euroflora, della quale forniva al visitatore fin dall’inizio un’immagine rappresentativa; anche allora però, girando tra le gallerie e i padiglioni secondari, si assisteva ad un’alternanza di allestimenti interessanti o noiosi, raffinati o kitsch, conservatori o innovativi, piante rare e piante banali.
Forse per meritarsi la qualifica di esperti di Eurolfora, occorrerebbe saper decifrare i diversi segnali immersi nel grande, festoso, chiasso di insieme.
Siamo sicuri che, come sostiene Francesca Mazzino, “non ci sono stati elementi di spicco, né innovazioni, né sperimentazioni”?
Penso, per esempio, all’area assegnata all’Associazione Nazionale Vivaisti Esportatori (ANVE) allestita, a seguito di un concorso organizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio (AIAPP) dalle giovani paesaggiste Giulia Sasso e Cecilia Galli Passerini con il progetto “Trame migranti”, dedicato ai processi migratori delle piante; penso anche alla partecipazione dei Paesi Bassi, progettata da Niek Roozen che ha firmato anche il disegno degli spazi verdi di Floriade 2022, proprio una delle manifestazioni europee a cui i più innovatori tra i critici di Euroflora vorrebbero che questa si ispirasse; penso al “campione” del Parco del Ponte che verrà realizzato in val Polcevera, realizzato dal Comune di Genova attraverso Aster su progetto dell’olandese Petra Blaisse, paesaggista di rilevanza internazionale; o ancora, per citare l’ultimo esempio, penso allo spazio destinato alla collettiva sarda e curato con grande eleganza e gusto contemporaneo da Sgaravatti Group, un’importante azienda dalla lunga storia nel campo della progettazione e realizzazione di giardini.
Sarebbe interessante sapere come la professoressa Mazzino giudichi l’area da lei stessa allestita insieme agli studenti e i docenti del corso di Architettura del paesaggio di Genova. Anche nel suo caso Euroflora è stata “banalizzata e impoverita”? Restiamo con la curiosità.
Mi permetto di provare a rispondere alle osservazioni degli studenti turbati dalla visita: fuori dalle aule universitarie il mondo è vario come Euroflora, con vivaisti bravissimi nel proprio lavoro ma magari un po’ restii a farsi convincere dai progettisti, amministratori locali cronicamente a corto di soldi, visitatori dagli interessi e dai gusti spesso lontani dai nostri, tempi rapidi, restrizioni burocratiche e problemi logistici.
Certo è importante che in Euroflora la cultura del progetto e del paesaggio, in particolare quello contemporaneo, sia sempre più importante, e probabilmente in futuro si potrà fare ancor più.
In questo senso, una buona occasione per “avvicinarsi al mondo” e al tempo stesso comprendere il valore di un buon progetto, viene dal concorso “Micropaesaggi”, organizzato da Euroflora con la collaborazione di AIAPP, Ordine degli Architetti, Soprintendenza e Ordine dei dottori Agronomi e Forestali, che ha portato dieci gruppi di paesaggisti, giovani e meno giovani – tra gli altri anche alcuni studenti, parte dei quali allievi proprio della professoressa Mazzino – a misurarsi con le grandi difficoltà di allestire piccoli spazi.
Talvolta la distanza dal mondo di chi esprime critiche superficiali assume le forme di un velato disprezzo per il mondo stesso: secondo la professoressa Mazzino “il generale apprezzamento è legato alla percezione di un pubblico abituato a spazi verdi non curati”. “Vedendo fiori e colori si entusiasma”, prosegue la docente, “ma questa manifestazione ha una scarsa considerazione di un pubblico non esperto che ignora l’esistenza di altre possibilità di esposizione”.
Mi pare che la “scarsa considerazione del pubblico” sia quella di chi dipinge il pubblico di una grande floralie europea come un gregge di pecore che non ha mai visto un giardino ben tenuto, quando invece Euroflora è storicamente frequentata da un pubblico ampio ed eterogeneo, dai professionisti del settore ai più alti livelli ai grandi amateur sino ai semplici appassionati, che però, anche senza un dottorato di ricerca, sanno valutare – ed esigere – allestimenti di contenuto e qualità, al di là dei gusti personali.
Di questo pubblico variegato in due settimane di esposizione ho potuto vedere decine e decine di migliaia di volti e ascoltare altrettante conversazioni; per quel che vale una testimonianza personale gravata da conflitto di interessi, vi posso assicurare che la maggior parte erano volti curiosi, interessati, ammirati, felici, e così le loro parole.
Contestazioni e contesto
Come ho già fatto notare, molte delle critiche non tanto a Euroflora 2022, ma più in generale a Euroflora ai Parchi di Nervi, vertono su un impietoso confronto con le edizioni al Palasport; questo non solo tra le voci che compongono l’articolo su wall:out ma anche, occorre riconoscerlo, tra ampie porzioni del pubblico.
Nel caso di questa seconda edizione nerviese, nostalgia e scetticismo (strettamente correlati) hanno probabilmente trattenuto molte persone persino dall’acquistare il biglietto.
Personalmente credo che si chi avventura a parlare pubblicamente come esperto, dovrebbe sentirsi la responsabilità, prima di emettere giudizi, di fornire gli strumenti per la comprensione del problema, che poi ciascuno potrà valutare autonomamente; tra questi strumenti c’è sicuramente un uso intelligente della storia.
Il confronto tra le “nuove” e le “vecchie” edizioni di Euroflora è innanzitutto un confronto tra condizioni al contorno radicalmente diverse.
È cambiato il contesto economico, sia locale che nazionale, con l’incidenza negativa di alcune grandi crisi globali (in ultimo quella dovuta alla pandemia di covid-19) e il progressivo ma inesorabile declino della città di Genova.
È cambiato il contesto demografico: dal 1971, l’anno della seconda edizione di Euroflora, al 2021, Genova ha perso circa 250.000 abitanti. Sono cambiate la cultura e la società, i gusti, gli interessi, la sensibilità nei confronti della questione della sostenibilità ambientale. È cambiato il comparto florovivaistico italiano, tra crisi e nuove opportunità di mercato.
È cambiata la gestione del verde urbano da parte del Comune di Genova, la cui Divisione Giardini e Foreste, che concorreva attraverso le proprie competenze, il proprio lavoro e le proprie collezioni di piante all’allestimento di alcune delle aree più pregiate del Palasport, non esiste più nelle forme di un tempo, in parte sostituita dalla società partecipata Aster.
È cambiato il soggetto organizzatore della mostra, da una società attiva esclusivamente in campo fieristico, Fiera di Genova Spa, a una con un più ampio spettro di interessi, ovvero Porto Antico di Genova Spa.
Queste variazioni del contesto riguardano appunto ciò che sta attorno a Euroflora e sfuggono dunque al controllo di chi organizza la manifestazione; peraltro, in gran parte si tratta di cambiamenti sostanzialmente irreversibili.
L’ultimo, forzato, per certi versi drammatico, cambiamento è rappresentato dall’impossibilità di utilizzare i Padiglioni della Fiera, un’impossibilità che nel suo palesarsi concretamente precede di almeno un anno la decisione di realizzare Euroflora a Nervi (fine 2017) e che discende da un insieme complicato di cause tecniche, politiche ed economiche anche molto risalenti nel tempo.
La scelta che rimaneva, e che tuttora resta sul tavolo, è quella tra prendere atto che non esistono più le condizioni per organizzare un’Euroflora ispirata a un modello ormai insostenibile e anacronistico, o individuare luoghi e modalità rinnovati per realizzarla nell’ambito delle mutate condizioni al contorno.
L’undicesima edizione avrebbe dovuto svolgersi nel 2016, secondo la tradizionale cadenza quinquennale; l’amministrazione comunale allora in carica de facto sembrò propendere per la prima ipotesi, e l’esposizione non si tenne nel 2016 e neppure nel 2017 (val la pena ricordare che la città di Firenze nel 2015 aveva provato, in modo sostanzialmente fallimentare, a sottrarre la manifestazione a Genova, organizzando un evento analogo).
La giunta eletta nel giugno del 2017 decise invece di realizzare Euroflora nella primavera del 2018 temendo, non senza ragioni, che ulteriori rinvii avrebbero minato la credibilità di un marchio dalla storia prestigiosa ma dal presente molto incerto; il tempo di preparazione era ridottissimo rispetto a quanto avveniva in passato e agli oggettivi tempi di preparazione.
La scelta del luogo cadde sui Parchi di Nervi, che a ben vedere rappresentavano l’unica opzione realisticamente disponibile e che si offrivano come una sorta di prêt à porter: un parco pubblico di grande valore paesaggistico e sicuro impatto scenografico, con ampie superfici disponibili ad una provvisoria occupazione e trasformazione, discretamente infrastrutturato grazie all’adiacente stazione ferroviaria di Nervi e all’arteria automobilistica di corso Europa; credo che sarebbe stato difficile trovare un luogo con caratteristiche migliori, o meglio con le caratteristiche necessarie a organizzare Euroflora in quattro mesi.
Al di là delle molte difficoltà e di alcune, inevitabili, debolezze, Euroflora 2018 ebbe un discreto successo di pubblico e critica, dimostrando che si poteva non solo pensare, ma anche realizzare, un’Euroflora “nuova”, magari con più tempo a disposizione.
La decisione, presa a fine 2018, di allestire Euroflora 2021 (successivamente rinviata di un anno a causa della pandemia) nuovamente ai Parchi di Nervi, al di là della difficoltà a trovare altre collocazioni altrettanto convincenti, è stata motivata dall’intenzione, comprensibile, di sfruttare ancor meglio l’esperienza e il lavoro organizzativo maturati per l’allestimento e la gestione ai Parchi di Nervi, risorse difficilmente spendibili scegliendo un altro sito, che avrebbe costretto a ripartire, di corsa, da capo.
Penso – ovviamente, al lordo del mio conflitto di interesse – che anche in questo caso il risultato abbia dato ragione alla scelta: il progetto generale ha potuto guadagnare un respiro paesaggistico più ampio, uno sguardo più unitario, una più stretta relazione con l’assetto storico dei Parchi, logistica e organizzazione sono state affinate, è aumentato il numero e la rilevanza degli espositori e la qualità dei contenuti espositivi; sul numero dei visitatori dirò qualcosa in conclusione dell’articolo.
Lo spostamento ai Parchi di Nervi, un complesso di parchi pubblici di origine storica sottoposti a tutela monumentale, ha determinato alcune differenze fondamentali nelle modalità di allestimento della mostra:
La reversibilità e non invasività degli interventi imposta dalla Soprintendenza – in particolare il divieto di modificare il profilo esistente del terreno con scavi o grandi riporti di inerti non adeguatamente contenuti –, le difficoltà logistiche, soprattutto nella movimentazione di esemplari arborei di grandi dimensioni, i problemi di ambientazione e manutenzione di alcuni tipi di piante.
Inoltre, la nuova collocazione impone un radicale cambio del paradigma estetico in relazione all’immagine paesaggistica storicamente consolidata dei Parchi: se i padiglioni fieristici potevano essere sfruttati per le loro caratteristiche intrinseche ma andavano occultati, i Parchi di Nervi vanno intesi come una cornice capace di valorizzare i contenuti espositivi e da questi, a sua volta, essere valorizzata.
Sono proprio questi i vincoli che ritengo abbiano spinto Euroflora a muoversi e che possono aprire nuovi orizzonti.
Prospettiva storica
In questo senso può essere utile pensare alla manifestazione in prospettiva storica. Guardando alle vecchie edizioni di Euroflora, appare chiaro che chi ha organizzato e progettato la mostra ha compreso gradualmente le possibilità spettacolari insite negli allestimenti all’interno del Palasport, mettendo progressivamente a punto gli strumenti per sfruttarle al meglio; se le edizioni del 1966 e del 1971 possono apparire vagamente ingenue, nel tempo i progetti si sono fatti più articolati e spettacolari.
Perché non può accadere lo stesso con Euroflora all’aperto?
In fondo siamo ancora nell’età dell’innocenza di questa nuova fase della manifestazione.
Qualcuno, come Riccardo Miselli, ritiene che dopo la prima edizione a Nervi, anche in ragione delle difficoltà di allestimento riscontrate ai Parchi, ci si sarebbe potuti orientare più decisamente verso il modello tedesco-olandese – molto diverso dalla tradizione delle floralie come Gent e Nantes, in cui finora si è inscritta Euroflora – di un’esposizione pensata come uno strumento urbanistico itinerante, capace di contribuire al rinnovamento di aree destinate a trasformazioni radicali.
Personalmente, perlomeno su un piano generale, condivido così tanto l’opinione di Miselli da aver espresso gli stessi dubbi nei confronti della collocazione a Nervi e gli stessi suggerimenti per un’Euroflora ispirata all’IGA tedesca, nel primo paragrafo della relazione che accompagnava il progetto consegnato dal nostro Studio per la selezione a inviti svoltasi gennaio 2019.
Ciononostante, ho avuto modo, lavorando al progetto di Euroflora 2022, di ricredermi sulla scelta di Nervi, per le caratteristiche oggettivamente vantaggiose già elencate e per l’altrettanto oggettiva mancanza di un’alternativa concretamente percorribile considerando gli aspetti logistici, economici, gestionali e culturali di Euroflora. Tra l’altro, come ha sottolineato Paola Sabbion nel saggio scritto per il già citato volume “Euroflora 1966-2022”:
“lo svolgimento dell’ultima edizione presso i Parchi di Nervi si inserisce in una narrazione coerente. Un discorso che si pone in continuità sia con la tradizione del florovivaismo genovese che con l’origine della sperimentazione botanica e l’introduzione di nuove specie che proprio a Nervi ha avuto luogo fin dal secolo XIX”.
Inoltre, vale la pena di precisare qualcosa anche riguardo alle conseguenze negative dell’allestimento sullo stato di conservazione dei Parchi, a cui si accenna nell’articolo pubblicato da wall:out ed espresse anche in altre sedi.
Al di là dell’inevitabile impedimento all’uso pubblico dei Parchi per qualche mese (ogni tre anni), l’unica reale conseguenza è il degrado di ampie porzioni dei parterre erbosi.
Si tratta di un fenomeno previsto nell’ambito dell’organizzazione della mostra in termini economici e tecnici, il cui ripristino consiste in alcuni cicli di seminagione che portano i prati a tornare nelle (ottime) condizioni precedenti alla manifestazione, come sperimentato già nel 2018.
Al tempo stesso i Parchi godono, grazie ad Euroflora, di manutenzioni straordinarie altrimenti (purtroppo) impensabili, oltre che di visibilità nazionale e internazionale (la quale può riverberarsi su aspetti anche concreti); a mio modesto parere il saldo per i Parchi è sostanzialmente positivo.
Va aggiunto che i Parchi di Nervi, sin dall’acquisizione dello status di spazi pubblici, hanno spesso accolto funzioni di per sé invasive: dallo zoo di parco Serra negli anni Trenta, al teatro per quasi duemila persone per il Festival Internazionale del Balletto a partire dagli anni Cinquanta, dal cinema all’aperto alle esposizioni canine.
L’ipotesi, di per sé interessante, di una mostra itinerante che di volta in volta si collochi in aree oggetto di una successiva riqualificazione, con cui essa coordini i propri interventi convogliando così risorse maggiori e disponendo di una maggiore libertà di azione, si scontra con le difficoltà di intersezione tra i tempi e le modalità decisionali, molto diversi, dell’esposizione e delle trasformazioni urbane, con la complessità della messa a sistema di due fasi di progettazione diverse in un contesto in cui la complicazione burocratica è già estrema, e con la concreta disponibilità di aree del genere.
Miselli fa riferimento alla suggestiva ipotesi di collocare l’edizione 2022 (in origine programmata per il 2021, ricordiamolo) nelle aree interessate dal futuro Parco del Ponte al di sotto del nuovo viadotto Genova San Giorgio; la decisione di (ri)collocare Euroflora a Nervi, a cui seguì l’immediata messa in moto di una complessa (e difficilmente deviabile) macchina progettuale, commerciale, organizzativa, comunicativa, è stata presa a fine del 2018 e sancita nei primi mesi del 2019, quando il ponte era appena crollato e il futuro delle aree in val Polcevera molto incerto, questo ancor prima di tenere in conto, per esempio, i problemi legati alle difficoltà logistiche, oltre che l’opportunità di realizzare una mostra festosa nel luogo di una tragedia collettiva.
Forse nel prossimo futuro sarà possibile prendere in considerazione un’ipotesi di questo tipo. Prima però di rivolgersi con troppo entusiasmo alle esperienze tedesche o olandesi – come anche io sarei tentato di fare – occorre sapere che l’IGA e la Floriade hanno cadenza decennale. BUGA ha cadenza biennale, ma tutte e tre vengono pianificate scegliendo di volta in volta aree collocate su tutto il territorio nazionale; va anche considerato che – ahimé – i contesti urbanistico-amministrativi (leggi e prassi) sono molto diversi da quello italiano.
Ciò non per sostenere che sia impossibile un futuro del genere per Euroflora, ma che si tratterebbe di una trasformazione radicale, che andrebbe soppesata con attenzione e probabilmente definita a un livello decisionale che superi quello cittadino.
Numeri e bilanci
Certamente gli aspetti economici, in particolare quelli contabili – sui quali non sono in grado di esprimermi – hanno un peso determinante in una valutazione generale su Euroflora, che però andrebbe formulata superando le categorie binarie di successo o flop.
D’altronde va tenuto presente che il numero dei biglietti venduti è molto rilevante proprio in ragione della natura non-commerciale e della serietà dell’impostazione della mostra; questa, infatti, al di là di eventuali sponsor, vede come introito principale, a fronte di importanti spese di produzione, la vendita dei biglietti al pubblico, in quanto agli espositori per regolamento internazionale non è chiesta alcuna somma per la concessione delle aree; anzi, ad essi sono dedicati molti concorsi a premi con un cospicuo montepremi complessivo.
Se però è vero che gli espositori non pagano, è anche vero che, senza ottenere ritorni commerciali diretti, affrontano spese rilevanti per la partecipazione: aver quindi convinto a partecipare 300 espositori è un primo segno di successo della manifestazione.
Il secondo elemento che vorrei sottolineare è che, al di là del numero dei biglietti effettivamente venduti, non ricordo molti altri eventi nel recente passato della città capaci di muovere 240.000 persone. Molte di queste persone (probabilmente un intorno di 200.000), hanno pagato circa 25 euro di biglietto, oltre ad eventuali spese di viaggio; mi pare che questo, in tempi di crisi economica e inflazione galoppante, sia un dato rilevante sull’attrattività della manifestazione.
Va inoltre considerato che il numero complessivo di visitatori è stato penalizzato sia dalle condizioni atmosferiche, sia dal persistere del covid, che può aver influito sulla decisione di passare qualche ora in pullman o in treno con altre decine di viaggiatori per raggiungere la mostra.
Infine è forse opportuno inserire nel bilancio complessivo di Euroflora ricadute collaterali di vario genere, oltre a quella più scontata (e forse anche più discussa) dei flussi turistici: dalla promozione territoriale della città e del quartiere a livello nazionale e internazionale alla frequentazione del polo museale di Nervi, dall’indotto a livello locale nei confronti di molti operatori del verde all’esperienza di lavoro e conoscenza offerta agli studenti dell’Istituto Agrario Marsano, dalla promozione dell’immagine delle aziende florovivaistiche liguri all’accrescimento culturale prodotto con il fitto programma di incontri e convegni, fino all’intrattenimento (stimolante sotto il profilo culturale) offerto alla popolazione locale e ai visitatori temporanei.
Articolo di Antonio Lavarello
Immagine di copertina:
Euroflora 2022, vista aerea di Parco Gropallo, Andrea Bosio. Fonte: Studio Lavarello
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