Danzare è un verbo molto evocativo. Chiunque nel leggerlo sentirà risuonare una miriade di immagini, ricordi e sensazioni, anche se non ha mai assistito a uno spettacolo o non ha mai desiderato diventare un danzatore. Il movimento è talmente importante per l’espressione di ciò che siamo e vogliamo comunicare che tutti hanno avuto, prima o poi, una qualche esperienza con la danza.
Una sorta di sfondo condiviso che, tuttavia, resta piuttosto confuso se non si provano a definire meglio i termini del discorso. O della questione.
Perché la danza, ultimamente, si è fatta questione, e tanto più problematica quanto più vagamente se ne è parlato, deciso e legiferato.
La danza come disciplina, nella varietà delle sue forme, prevede infatti un percorso di apprendimento, che si svolge all’interno di apposite scuole. Scuole e non centri di danza, perché la danza si studia e non “si fa”. Inevitabile allora che, durante la cosiddetta prima ondata di contagi del febbraio scorso, anche l’insegnamento della danza passasse alla tanto discussa didattica a distanza.
Una faticosa parentesi che sembrava poter essere archiviata già a maggio e che invece si è ripresentata come un pasto mal digerito, certo provocando ben altro che un bruciore di stomaco, a poco più di un mese dall’inizio dell’anno scolastico. Il DCPM entrato in vigore il 24 ottobre scorso ne ha infatti disposto la chiusura almeno fino al 24 novembre, poi prorogata al 3 dicembre e, ormai, al 15 gennaio 2021.
Pur conoscendo molto bene questa realtà, ho deciso di chiedere alle direttrici artistiche di diverse scuole di danza genovesi se volessero condividere la loro esperienza.
Me ne hanno restituito un racconto vivido e ricco, che, come ogni parola pronunciata da un Maestro, insegna molto più che una lezione.
Dopo una primavera di lezioni sporadiche e il campus estivo all’aperto in luglio, a settembre tutti gli allievi avevano voglia di riprendere le lezioni, di tornare a sentire il corpo muoversi e a riprendere lo studio dove lo si era lasciato, riportano le Maestre Isabella Ruzzier e Paola Pallotti (Spaziodanza).
La loro voce lucida è emozionata quando ricordano il momento del rientro in sala, l’entusiasmo e la progettualità che ha accompagnato le prime lezioni. La speranza era quella, dice la Maestra Ruzzier, che si potesse giungere presto ad una normalizzazione sanitaria e dell’insegnamento. Non che la seconda ondata le avesse colte alla sprovvista, ma certo impreparate allo scenario che si è aperto dopo il 24 ottobre, in cui gli allievi più giovani continuano a frequentare in presenza le lezioni scolastiche e a trascorrere il pomeriggio in compagnia, dedicandosi in sicurezza a quasi qualsiasi attività, meno la danza.
Le lezioni si svolgono ora regolarmente online, tentando di mantenere saldi gli obiettivi didattici e di combattere il timore di restare in questa situazione per un tempo indefinito.
Allievi anche promettenti devono essere presi per mano, racconta la Maestra Pallotti, e supportati in una transizione al digitale che rischia di annullare qualsiasi margine di progresso nell’apprendimento, nonostante l’incremento dell’offerta formativa che questa nuova sistemazione ha permesso. Se pur ci sono state delle opportunità anche in questo periodo cupo – come quella fornita da AssoDanza per la tutela della categoria professionale –, la perdita è però grande. Non solo in termini di stabilità economica, per le direttrici e i numerosi insegnanti della scuola, sottolinea Pallotti, ma soprattutto in relazione all’incertezza futura che non permette, chiude Ruzzier, di immaginare quando si potrà tornare a lavorare in vista del rientro sul palco, forte elemento di motivazione per le fatiche dello studio tecnico.
Tenere la brace accesa.
È questo il motto che, secondo la Maestra Maria Grazia Sulpizi (Formazione Danzarte Genova) meglio racchiude il senso e il travaglio del suo lavoro in questo momento.
La brace cui è stata appunto ridotta l’appassionata determinazione dei suoi allievi, dopo che il loro intero percorso di apprendimento è stato ufficialmente mortificato da una definizione lacerante: la danza non è essenziale.
Dichiarazioni che non la sorprendono, perché ben rappresentano la percezione ormai diffusa della danza come di un passatempo disimpegnato, e che tuttavia rischiano di mettere a tacere la voce con cui gli insegnanti di questa disciplina, rigorosa e meravigliosa, provano a esprimere la propria importanza. Perché, nel corso del tempo, le scuole di danza sono diventate sempre più degli autentici presìdi educativi e culturali, in cui le molte esigenze e fragilità degli allievi trovano un porto sicuro.
Come quello che la Maestra Sulpizi ha deciso di costruire con le sue collaboratrici, decidendo di tenere aperta la scuola dal mattino alla sera, per ospitare chi, in attesa della lezione di danza, avesse dei compiti da svolgere o un pranzo da consumare. E ora è proprio la preoccupazione per il futuro che i giovani hanno e sono a dannarla, più di ogni, pur grave, difficoltà economica.
Una difficoltà che colpisce in maniera anche più atroce le famiglie che si sono interamente dedicate all’insegnamento della danza, come nel caso dei Maestri Giovanna La Vecchia e Dario Greco (Kaleido Danse) condividono gli effetti di questa chiusura forzata fin dentro le mura domestiche, pur senza perdere la determinazione a preservare ciò che conta.
Perché, in fondo, le difficoltà non sono estranee a chi dell’insegnamento della danza ha fatto il proprio mestiere.
Non solo perché ha deciso di condividere quanto ha avuto la fortuna di vivere in prima persona, con gratitudine e senza illusione di lucro, ma soprattutto perché di sacrifici e disciplina è costellato il percorso di chi, prima di insegnarla, la danza l’ha appresa e continua a farlo.
La forza con cui nemmeno ora la formazione degli insegnanti si ferma ha le sue radici proprio nelle emozioni che questo mondo ha saputo regalare e che restano, più forti di tutto.
Come l’odore delle prime scarpette di pelle nera, che la Maestra Roberta Conte (Il gatto danzante) ricorda ancora con immutata meraviglia. Quella magia, quella tenacia è ciò che si è impegnata a trasmettere ai propri allievi, giovani e giovanissimi di una periferia, quella di Bolzaneto, spesso bistrattata e a cui, con la sua scuola, ha voluto invece garantire un’opportunità formativa unica, quale lo studio della danza può essere.
Studio rigoroso, disciplinato, in un ambiente che non smette per questo di essere accogliente e familiare, capace di costituire una casa in cui gli allievi vogliano trascorrere il loro tempo libero, anziché andarlo a perdere altrove. Un altro baluardo di resistenza culturale che, messo in pericolo da una certa inflazione d’offerta nel settore e dallo svilimento della disciplina, rischia di soccombere ai colpi che questo periodo gli infligge.
Faticoso allora restare concentrati sulla meta, che non è mai sembrata così lontana come nella settimana antecedente alla chiusura, quando si è richiesto alle scuole un ulteriore sforzo per garantire la sicurezza sanitaria, vanificato poi dalle disposizioni del DCPM.
“La tenuta delle strutture e della solidità emotiva attualmente è fortemente a rischio; il deficit economico e l’impossibilità di sostenere attraverso la didattica online i contatti per un tempo così prolungato, sono diventati uno spettro che mette in discussione l’intero settore. – mi scrive la Maestra Alessandra Gabbi (Danza3 Insoliti Movimenti) – Siamo in un momento di stallo decisamente mortificante”.
Eppure questo non ha impedito di cercare nuove forme di resistenza, sia adattando l’insegnamento a queste nuove modalità, provando a modificare la pratica didattica senza cedere sui principi, sia, soprattutto, ritrovando nella sopravvivenza un orizzonte comune.
“Il valore dell’unione ha portato una grande ricchezza in termini umani, un settore spesso caratterizzato da individualismi e rivalità sterili ha saputo trovare un nuovo vocabolario fatto di interazioni e condivisioni”.
Anche con altre realtà, come testimonia la nascita dell’Associazione Sport Liguria, di cui la Maestra Gabbi è voce fondamentale, che con tenacia commenta il lavoro svolto finora:
“Abbiamo molta strada ancora da percorrere insieme, e barriere da superare, ma aver realizzato dal niente una identità di settore, credo sia la vittoria più grande”.
Un settore che, tuttavia, gode di scarso riconoscimento ufficiale, non perché non sia contemplato nei diversi piani economici di sostegno elaborati in questi mesi, ma perché non se ne conosce la specificità.
Lo chiarisce molto bene la Maestra Simona Boninsegni (Obiettivo Danza), da diciotto anni anche mia insegnante:
“La scuola di danza […] ha un progetto didattico che, se interrotto, non può essere ripreso, non, perlomeno, per tutti quei ragazzi che, dopo aver dedicato alla danza ogni minuto del tempo libero della loro esistenza, si trovano impossibilitati a presentarsi ad audizioni e appuntamenti importanti che sarebbero stati decisivi per il loro futuro”.
Ancora una volta, il divieto di poter proseguire quel percorso a cui si sono dedicati anni di lavoro è fonte di un’angoscia grande, perfino più della rabbia per l’ingiustizia subita da un settore intero, la cui riapertura a maggio non aveva portato un significativo aumento dei contagi. E se per tutti lo studio a casa, con le sue massicce limitazioni, costituisce fonte di frustrazione, per gli allievi più promettenti può rappresentare un ostacolo insormontabile.
“Una diciassettenne perderà definitivamente l’opportunità di entrare in accademia o in un progetto professionale. Ed è questo che non mi fa dormire di notte”, mi scrive ancora la Maestra Boninsegni. Eppure, nella lotta contro il desiderio di abbandonare questa situazione continua a vincere l’impegno per il proprio progetto didattico, anche quando comporta rimettersi ogni giorno davanti a uno schermo per dare “odiosissime lezioni online”.
Tali per chi le prende e per chi le dà.
La Maestra Angela Galli (Danza Luccoli 23) trova che gli allievi siano come intossicati dal contatto con lo schermo, situazione che li rende meno partecipi nelle lezioni online rispetto a quelle in presenza, anche al netto dei molti problemi tecnici che il passaggio al digitale ha portato con sé.
Tra connessioni instabili e inquadrature non proprio ottimali, è però proprio il tocco dell’insegnante che, già limitato negli ultimi tempi in sala, ora manca più di tutto.
Non si può correggere un allievo attraverso lo schermo, occorre ingegnarsi per garantire che l’apprendimento abbia luogo, suggerendo tutte quelle sensazioni, difficili a identificarsi, che dovranno essere incorporate per progredire nello studio della disciplina.
Forse davvero, ammette la Maestra Galli, la danza ora non sembra così essenziale come la lotta alla mera sopravvivenza contro il virus, ma anche questo mondo rischia di soccombere. E la sua caduta travolgerebbe proprio gli allievi, privati dell’allenamento quotidiano a trovare quell’equilibrio che solo permette di muovere un passo, nella danza come nella vita.
Perché quando i riferimenti e i programmi che sorreggono la nostra quotidianità vengono meno, sono ancora una volta gli insegnanti ad assumersi la responsabilità di recuperare una centratura, tenendosi saldi per reggere altrettanto saldamente chi a loro guarda in cerca di sostegno. E provare insieme a imparare, ancora e di nuovo, come ritrovare una posizione che possa dirsi umana.
In questo auspicio della Maestra Galli emerge limpida l’importanza del lavoro svolto da lei e dai suoi molti colleghi sul territorio, locale e nazionale. La loro è una lotta che non può essere persa senza che l’orizzonte del futuro si chiuda ancora un poco per i più giovani tra noi, senza che qualcosa di davvero essenziale vada per tutti irrimediabilmente perduto.
Immagine di copertina:
Illustrazione di Martina Spanu
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