Quando si parla di violenza ostetrica si usa un’espressione che sembra chiara, ma che in effetti non si presta a una comprensione immediata. Violento è infatti inteso dal senso comune solo quel comportamento che va a ledere l’integrità fisica della persona che la subisce. Allo stesso modo ostetricia è una branca ben definita della medicina, con una storia intrecciata alle questioni di genere che ne rende spesso complessa una lucida percezione.
Eppure la violenza non è mai soltanto quella agita sul corpo.
Esiste un modo violento di rapportarsi alla corporeità altrui che ha a che fare con il mancato consenso ad atti che non sono di per sé una forma di abuso, ma lo diventano stante questa assenza di rispetto nei confronti dell’autodeterminazione di ogni persona, vale a dire della capacità di ciascun soggetto di scegliere che fare di sé.
Non solo, la violenza può essere agita, in maniera non meno feroce, anche sulla psiche della persona che la subisce, privandola della fiducia in se stessa, insinuando un dubbio illegittimo sulla sua percezione di sé e del mondo, costringendone le decisioni sulla base di criteri che non corrispondono a ciò che tutela il suo benessere nel senso più ampio del termine. Riducendola a qualcosa meno di una soggettività, macinandola dentro meccanismi spesso del tutto dimentichi del suo insopprimibile valore di persona.
In che modo questa costellazione di significati, che sono pratiche reali ai danni di chi le subisce, si concretizzino nell’ambito ostetrico è un altro tassello che merita di essere chiarito.
Vulnerabilità
Anzitutto partendo dalla base: la violenza ostetrica non è quella agita solo dalle persone che praticano questa specifica professione, ma da qualunque membro del personale medico-sanitario che agisca violenza sul corpo di una persona con utero che si trovi a sottoporsi alle sue cure.
Questo chiarimento non restringe il campo, bensì lo allarga a tutta una serie di comportamenti che altrimenti avremmo difficoltà a riconoscere per ciò che sono: abusi, ai danni di chi si trova, comunque in virtù della sua posizione di paziente, in uno stato di vulnerabilità.
Appartengono a questo insieme tanto la disattenzione all’identità e all’orientamento sessuale quanto le visite inutilmente invasive, tanto il mancato accesso a un’interruzione volontaria di gravidanza quanto la scarsa cura della persona gestante, tanto l’invisibilizzazione delle malattie all’apparato riproduttivo quanto un mancato riconoscimento del ruolo attivo nella gestione della propria salute riproduttiva, tanto l’eccessiva medicalizzazione del parto quanto il rifiuto di procedure mediche, tanto l’ossessione per l’allattamento quanto il mancato supporto per le persone in puerperio che vogliano praticarlo.
Esempi parziali che forniscono un ancoraggio al reale di ciò che altrimenti suonerebbe come molto astratto. Finché non lo si vive in prima persona o finché gli esiti letali non assurgono agli onori della cronaca.
Vuoto legislativo criminale
Cosa che invece accade e accanto alle vicende che i media ci rendono note se ne nascondono moltissime altre nell’ombra dell’anonimato, del non detto, del non riconosciuto. Tutte cadono in un vuoto legislativo assordante, se non criminale.
Anche le proposte che sono state avanzate finora (ma ci sono grandi speranze, almeno per parte della scrivente, sul lavoro promosso da un gruppo di professioniste e attiviste che ha la sua promotrice in Francesca Bubba a livello nazionale e da molt3 altr3 sul piano locale) e tuttavia non ancora approvate veicolano una visione parziale di ciò che dovrebbe essere ritenuto atto violento ai danni delle persone con utero e in particolare delle persone partorienti.
Manca infatti un riconoscimento adeguato di quella che è la condizione di coloro che si trovano a vedersi negate o ritardate procedure mediche che tutelerebbero l’integrità psico-fisica di entrambi i soggetti coinvolti nell’evento del parto.
Una carenza che in parte si deve alla storia dell’iter sul riconoscimento della violenza ostetrica, avviata dai movimenti femministi sin a partire dagli anno Settanta, in un contesto cioè in cui l’ipermedicalizzazione stava deprivando le persone partorienti della possibilità di decidere in prima persona delle possibili strade da percorrere al momento del parto e del primo accudimento.
Battaglie niente meno che necessarie e che proprio per questo ci chiedono di essere allargate alle necessità effettive di tutt3 coloro che si trovino accudite da personale medico-sanitario inadeguato al ruolo quando non vessate da una violenza sistemica.
Osservatorio Salute
Stante questo contesto ci sembra urgente e necessaria l’iniziativa promossa da Non una di meno Genova sotto il nome di Osservatorio Salute. Una realtà che non si limita a registrare gli episodi accaduti a danno di chi si è trovat3 a fare i conti con un reparto di ostetricia, bensì promuove una visione anche più ampia di cui ci hanno parlato l3 stess3 promotor3.
Come nasce l’idea di promuovere un Osservatorio salute?
L’idea nasce all’interno dell’assemblea di Non Una Di Meno Genova, dove sempre più spesso ci siamo ritrovate a condividere tra noi storie personali negative rispetto alle nostre esperienze nell’ambito della salute sessuale e riproduttiva, e non solo.
Durante lo scorso anno abbiamo avuto anche occasione di confrontarci su questi temi nel corso di iniziative pubbliche, nell’ottobre 2021 abbiamo portato in piazza a Genova le voci di chi soffre delle cosiddette “malattie invisibili” come endometriosi e vulvodinia.
A settembre 2022 durante la giornata internazionale per il diritto all’aborto, ci siamo ritrovate in piazza a discutere delle esperienze di interruzione di gravidanza, degli ostacoli incontrati e delle violenze subite.
Quando siamo venute a conoscenza dell’episodio avvenuto all’Ospedale Pertini di Roma, poi, abbiamo visto quanto bisogno e desiderio ci fosse di condividere pubblicamente le storie di violenza ostetrica e quante persone abbiano deciso di denunciare pubblicamente gli episodi che hanno vissuto.
Abbiamo quindi sentito la necessità di aprire uno spazio che potesse essere un punto di riferimento nella città di Genova contro la violenza medica, ginecologica e ostetrica.
In che modo può fornire un supporto a chi subisca violenza ostetrica, che tipo di contributo pensiate si possa dare alla consapevolezza, alla sensibilizzazione, all’informazione e alla gestione di questo fenomeno?
L’Osservatorio Salute è innanzitutto uno spazio di condivisione, uno strumento per uscire dalla solitudine in cui spesso ci ritroviamo quando subiamo violenza all’interno delle istituzioni mediche e sanitarie. In questo senso l’obiettivo principale dell’Osservatorio è la costituzione di uno spazio in cui chiunque possa raccontare la violenza che subisce.
In secondo luogo, l’Osservatorio è uno strumento di visibilizzazione e denuncia pubblica. L’Osservatorio raccoglie le testimonianze e le ripubblica sui propri canali (Facebook e Instragram). L’obiettivo per noi è rendere visibile una violenza che spesso rimane invisibile e silente, e offrire una cassa di risonanza.
Inoltre, l’Osservatorio ha lo scopo di nominare la violenza.
Ci sembra infatti che molto spesso ci ritroviamo a vivere esperienze profondamente negative che noi stesse fatichiamo a riconoscere come espressioni di violenza, perché ci sentiamo in difetto, perché ci sentiamo giudicate, perché ci chiediamo se non sia stata colpa nostra. In questo senso, la pubblicazione delle testimonianze vuole essere un modo per far sì che sempre più persone, leggendo le esperienze di altrx, riconoscano che quel disagio che sentono è violenza.
Con l’Osservatorio vogliamo quindi mostrare le molte facce della violenza nell’ambito della salute. Come affermiamo nel nostro manifesto:
“È violenza unə ginecologə o unə medico che dia per scontata la tua eterosessualità, è violenza non fornirti le informazioni necessarie per scegliere, è violenza trovarti di fronte unə medicə obiettore quando vuoi interrompere una gravidanza, è violenza non ottenere una contraccezione d’emergenza, è violenza il giudizio sulle tue scelte, è violenza la discriminazione che subisci, è violenza la patologizzazione forzata per i percorsi di affermazione di genere, è violenza vedersi negare la presenza di unə accompagnatore/trice, è violenza subire pratiche invasive durante il parto, è violenza essere lasciatə solə dopo il parto, è violenza quando qualcunə sottovaluta il tuo dolore e lo sminuisce, è violenza il ritardo diagnostico, è violenza non essere credutə, è violenza non poter ottenere una visita gratuita in tempi consoni, è violenza essere costrettə a pagare per la propria salute, è violenza un sistema sanitario binario ed escludente, è violenza quando unə sanitariə parla di te in tua presenza come se non ci fossi, o esprime giudizi sul tuo corpo se questo non rientra nei canoni normativi etero patriarcali e grassofobici.”
In questa prima settimana di vita dell’Osservatorio Salute abbiamo ricevuto moltissime testimonianze, molte più di quante ci saremmo aspettate in così poco tempo.
Le testimonianze ci parlano di enormi difficoltà nell’accesso alla sanità pubblica, ci raccontano della gravissima situazione relativa al ritardo diagnostico di malattie quali endometriosi e vulvodinia, ci raccontano di donne che hanno vissuto esperienze profondamente negative durante il parto, di donne giudicate perché rimaste incinte.
Ci sembra che un velo si stia squarciando.
L’8 marzo porteremo queste testimonianze in piazza con noi, perché il nostro obiettivo è starci vicinə, sostenerci a vicenda e cambiare insieme le cose.
Per inviare una testimonianza all’Osservatorio può scrivere alla mail osservatoriosalutegenova@gmail.com, alla nostra pagina Facebook Osservatorio Salute Genova, alla pagina Instagram osservatoriosalutegenova oppure inviare una testimonianza anonima al link che si trova qui sotto e nella bio di Instagram e sulla pagina Facebook.
Immagine di copertina:
Osservatorio Salute. Fonte pagina Facebook
Scrivi all’Autorə
Vuoi contattare l’Autorə per parlare dell’articolo?
Clicca sul pulsante qui a destra.