Genere

Al di là del genere

Intervista ad Alice Schivardi, Ambra Castagnetti e Silvia Mazzella. Una ricerca che si muove a ritroso e che supera la distinzione di genere.
14 Marzo 2021
6 min
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A conclusione di una settimana di approfondimenti e riflessioni doverose su un complesso tema di cui, sappiamo, si dovrebbe discorrere tutto l’anno, ecco allɜ lettorɜ di wall:out uno spunto finale per trovare un nuovo respiro e rinnovata energia. Abbiamo chiacchierato con tre artiste donne, autrici delle opere che vi hanno accompagnato fin qui: Alice Schivardi, Ambra Castagnetti e Silvia Mazzella. Tre artiste molto diverse, ma con alcuni aspetti in comune.

Ciao ragazze, rompiamo subito il ghiaccio con la domanda più tosta, e cioè: qual è la figura femminile che amate delineare con il vostro lavoro?

SM: Sinceramente non cerco di delineare un modello generale di donna, ma mi occupo del tema del femminile perché io sono donna e ho bisogno di trovare una mia auto-definizione che sia il più possibile libera dalle sovrastrutture. Delineare una figura nel modo più naturale, riappropriarmi di rappresentazioni e definizioni. Mi interessa indagare la natura delle definizioni già date, che sono insite nel nostro linguaggio e che noi utilizziamo anche inconsapevolmente. Cerco di indagare la distanza che possono creare le parole, i riscontri pratici che il linguaggio comune e popolare provoca nella mia vita e in quella delle altre donne.  

Genere Silvia Mazzella
Silvia Mazzella, Parlami di lei. Lei è perfetta, ma non sei tu. 2018, Gualdo Tadino, courtesy l’artista.
Genere Ambra Castagnetti
Ambra Castagnetti, HUNTRESS, 2021, courtesy l’artista.

AC: Nel mio lavoro non sento di delineare realtà esplicite, sento piuttosto l’esigenza di far risuonare delle sensazioni o degli stati emotivi che poi si traducono in immagini mute. Il carattere femminile emerge come corpo, corpo senziente che accoglie o che divora, ma che finisce per fondersi a corpi animali o vegetali. La sua natura fragile e mortale è protetta da materiali duri come bronzo e ferro.

AS: Non desidero delineare il profilo “dell’essere donna”, ma desidero che la mia persona, almeno nel mio lavoro artistico, possa essere indifferenziata, “a disposizione di …”.

La famiglia è un tema che ricorre nei vostri lavori: quanto è importante la famiglia per una donna? E per un’artista?

AC: Il mio nucleo famigliare è da sempre frammentato: mia madre è polacca e la sua famiglia vive in Polonia, mio padre è stato adottato e non conosce le sue origini con certezza. Io sono cresciuta tra una città e l’altra con dentro di me la sensazione di non trovarmi mai a casa, e la necessità di dover tornare da qualche parte. La famiglia è la prima istituzione, e in quanto istituzione è già una corruzione. C’è questa forte ambivalenza tra l’amore che puoi ricevere e dare allɜ tuɜ familiari fin da bambinə e l’impossibilità di svincolarsi da certe leggi di strutture sociali imposte.

AS: Da piccola ho passato molto tempo con i miei nonni e le mie nonne. L’ambiente familiare, se sei fortunatə, è un luogo dove vivi amore incondizionato, incoraggiante, solidale, ma è anche  un luogo che, al contrario, ti mette a dura prova.

SM: Ho passato la mia infanzia e prima adolescenza vivendo in casa con mia nonna, nell’appartamento di fianco a quello dove stava la mia famiglia. Mi sono sempre interrogata sul suo sistema di valori e non l’ho mai accettato fin da bambina: non trovavo senso in quel concentrato di buon senso cattolico e preoccupazione costante per il futuro, sebbene certamente non vi fosse nessuna malignità. Quando mia nonna è mancata, nel 2016, ho sentito una mancanza forte e un bisogno di raggiungere un dato intimo, forse ancestrale, che fosse al di là di ogni sovrastruttura e mi permettesse di trovare nuove definizioni per me e le mie relazioni. Come se in un certo senso l’improvvisa mancanza di un pezzo di famiglia mi avesse liberata da una forte influenza. La famiglia è la prima istituzione amorosa, che ti condiziona sempre, nel bene e nel male.

Artista e bambina, nella vostra esperienza questi due stati sono collegati?

AC: Prima dicevo che sento sempre di dover “tornare a casa”, ecco, nella mia esperienza tornare a casa è esattamente tornare bambina, ritornare in contatto con quella sensibilità che mi permette di essere spontanea e provare inquietudine senza vergognarmene. È molto importante per me questo aspetto, tanto che la domanda che mi pongo più spesso di fronte a un’opera conclusa è: “la me bambina approverebbe?” La me bambina non si fa troppi problemi concettuali o teorici, e non perché ancora non sa pensare, ma piuttosto perché sa vivere molto meglio di quanto sappiano vivere lɜ adultɜ.

AS: Sì, sono collegati. Amo la semplicità e la spontaneità dellɜ bambinɜ e mi ispirano moltissimo.  Quando penso alla forza comunicativa di un’ opera mi domando, come termine di paragone massimo, se anche unə bambinə dall’altra parte del mondo potrebbe coglierne quelle qualità universali che un’artista cerca. 

Ambra Castagnetti
Ambra Castagnetti, BALALAJKA, 2021, ceramica, courtesy l’artista.

Lɜ bambinɜ tanto più sono piccolɜ e inconsapevoli delle strutture del mondo, tanto più sono modelli utili per pensare a nuove rivoluzioni. L’azione artistica vostra e di moltɜ artistɜ si pone in parte come ricerca di quel che viene prima della cultura, per immaginare nuove possibilità e realtà. La differenza di genere, le strutture di potere e la stessa istituzione famigliare altro non sono che prodotti culturali. Certamente sono fatti con cui fare i conti e nei quali trovare il proprio posto anche al prezzo, a volte, di imbracciare le armi. Ma restano fatti culturali, e figurarceli in quanto tali ci permette di immaginare che potrebbe essere altrimenti, con la spontaneità dellɜ bambinɜ.

Un fattore importante in questo senso è l’amore. Credete che ci sia ancora un po’ di natura nel nostro vivere l’amore, o che sia definitivamente un fatto politico, di rapporti di potere?

SM: Sappiamo che l’amore viene spesso strumentalizzato e politicizzato, questo è un fatto di notevole importanza, ma non è al centro del mio lavoro. L’amore di cui tratto nel mio lavoro è sempre un impulso sincero, uno stato emotivo naturale verso sé o verso lɜ altrɜ. Per me è importante ricercare questa purezza del sentimento, il grado zero dell’emozione prima che venga corrotto da alcuna sovrastruttura: indago questo stato nelle mie relazioni e tento di riappropriarmene.

AC: Nel caso del mio lavoro, il modo di trattare la materia e la relazione che si crea tra una scultura e l’altra, o un fotogramma e l’altro, spesso è un fatto d’amore, dato dalla convivenza degli elementi e dalla loro co-presenza, quasi come se l’amore fosse una questione di un sentirsi reciproco, come avviene tra le persone. Questo sentimento di reciprocità ha molte variabili, e non credo esista il fatto naturale puro, penso ci sia sempre una contaminazione tra diversi livelli. Detto questo, l’amore si sviluppa in molte forme, dall’istituzione familiare a un sentimento più ampio, ma secondo me è veicolato da un viversi quotidianamente, senza troppe sovrastrutture. Penso che il sentimento amoroso si manifesti nel momento in cui ci rendiamo conto di ricevere qualcosa di cui non ci eravamo accortɜ di esser statɜ privatɜ. 

AS: Il mio lavoro parte sempre dall’amore. Ogni mio progetto comincia con un innamoramento di qualcosa o di qualcuno, che perciò sono spinta a tentare di conoscere meglio e/o approfondire. L’amore è desiderio, è spinta, è energia!

Alice Schivardi
Alice Schivardi, il cuore sta nel cervello, disegno a ricamo su carta da lucido / embroidery drawing on vellum, courtesy l’artista.

Ultima domanda, tornando alla nostra cultura: le tecniche che utilizzate (ricamo, fusione, ma anche la fotografia) hanno una loro storia legata alla differenza di genere, quanto tenete conto di questo aspetto?

AC: La mia produzione è svincolata dall’appartenenza a un genere. Per meglio dire: porto il mio lavoro volontariamente al di là del mio genere. A noi donne non viene richiesto di saper usare una saldatrice, una fresa o banalmente un trapano, però io ho bisogno di seguire il processo artistico di produzione delle mie sculture fin dall’inizio, o per lo meno fin da quando posso comporre io i materiali. È un atteggiamento che non incontra il pensiero dominante non solo perché comporta determinate azioni che non si addicono a una donna nella nostra cultura, ma anche perché siamo abituatɜ tuttɜ, sia uomini sia donne, ad acquistare e utilizzare materiale già parzialmente preparato. Ma un*artista che desidera essere padronə dell’intero processo talvolta non può scendere al compromesso del materiale anonimo già pronto, e sente l’esigenza di fare da sé. Come se le opere fossero a tutti gli effetti miei figli, io ho bisogno di sentirle mie fino in fondo.

AS: Penso a come il ricamo venga ad essere  considerato prettamente come tecnica femminile. Ad esempio, mi vengono in mente le panchine in marmo, situate vicino alle grandi finestre, all’interno dei castelli che ci ricordano come le donne pazientemente, cucendo,  aspettavano i propri mariti tornare. In Perù, invece, mi ha molto colpito sapere che anche  gli uomini, in alcune località, ricamano la loro “posizione sociale” che viene  così condivisa con lɜ altrɜ. Non sono interessata  particolarmente, quindi, alla connotazione femminile della tecnica, quanto all’aspetto spirituale e antropologico che le appartiene.

In conclusione, ragazze, la ricerca ci porta lontano. Al di là di quel che sappiamo, al di là delle strutture che ci limitano.

In quello spazio di possibilità che c’era nella nostra primissima infanzia e che ora cerchiamo, o meglio, che voi cercate di riattualizzare: la connessione con altro, con qualcosa di nuovo, di cui non si può parlare ma forse si può mostrare. Anzi sì, sicuramente si può mostrare.

E grazie per avercelo mostrato.

Immagine di copertina:
wall:in media agency su foto ritratti di Alice Schivardi, Ambra Castagnetti e Silvia Mazzella.


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Membro del duo curatoriale Mixta con il quale si occupa di progetti artistici che siano attivatori sociali. Ha curato mostre, rassegne e festival negli spazi pubblici, nelle periferie e nei luoghi istituzionali della città di Genova. È anche fondatrice e CEO di Wanda, associazione per la trasformazione culturale, che accorcia le distanze tra le nuove generazioni e la cultura.

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