I lavori del 60° Salone Nautico di Genova si sono appena conclusi e ci scommetto che pochi di voi si sono accorti dell’evento, se non forse per qualche difficoltà aggiuntiva a trovare parcheggio vicino alla Fiera.
Viene da chiedersi come sia possibile che un evento cardine per Genova come il Nautico abbia un impatto così basso sulla cittadinanza. Fatto salvo il periodo favorevole per le strutture ricettive, che è ancora più remunerativo della classica alta stagione, generalmente la prima settimana di ottobre è vissuta dalla città come una settimana tutt’al più un po’ scomoda per l’aumentato traffico.
Sarebbe facile liquidare la questione con qualche considerazione di circostanza, come il fatto che si tratti sostanzialmente di una fiera di lusso, che i genovesi siano restii a confrontarsi con un pubblico internazionale o altre banalità legate al periodo post-Covid.
Il punto è che il Salone Nautico dovrebbe essere per Genova quello che il Salone del Mobile è per Milano: un evento fortemente identitario in cui tutta la città si riversa e si riconosce.
Ora, non è nello stile genovese rappresentarsi con quella tipica grandeur milanese e sebbene il Nautico sia la prima fiera del settore nel Mediterraneo, non è comunque una delle più importanti al mondo (se non LA più importante), come invece accade per il Salone del Mobile.
Eppure, nulla vieterebbe un coinvolgimento forte da parte di tutte quelle energie che concorrono alla vitalità di un settore di cui Genova continua, sebbene a fatica, a essere leader.
Qualcuno obietterà che in occasione del Salone Nautico si svolge un certo numero di eventi. Bene, andiamo a vedere: quest’anno abbiamo avuto talk e seminari di settore, dimostrazioni di sport nautici per ragazzi, un’unica intervista a tema organizzata dal Museo del Mare.
In città, gli anni scorsi erano stati tentati esperimenti a dire poco fallimentari, le dimenticabili settimane di “Genova in Blu” (ricordate la serata del DeeJay Time dell’anno scorso rimandata per maltempo al lunedì successivo? Ecco, era un evento legato al Nautico: alzi la mano chi lo sapeva o se lo ricordava!), riecheggiate dall’improbabile programma di mostre al Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce di quest’anno, dal fantasioso titolo: “Blu”.
Che dire, bisogna rassegnarsi a ospitare una fiera di settore che si vede sempre più in crisi ogni anno – la nostra cara Milano prova in continuazione a proporsi come alternativa, per fortuna finora invano – oppure possiamo permetterci di allargare gli orizzonti e concepire un evento che porti il Salone in città e la città nel Salone?
Abbiamo una facoltà di architettura con corsi specifici in ambito navale, un neonato Distretto del Design, associazioni che operano a favore della sostenibilità ambientale, associazioni che promuovono sport acquatici, una storia marinara da fare invidia – senza contare la possibilità di integrare con arti, musei, gastronomia e chi più ne ha più ne metta.
È già tutto qui, ma bisogna iniziare a elaborare una visione d’insieme. È impensabile che Genova perda tutti gli anni l’occasione di mettere in sinergia tutte le sue anime legate al mondo marino. Ed è ancora più incredibile che non si pensi di sfruttare fino in fondo un’occasione tanto ghiotta di richiamo internazionale per scopi di promozione territoriale e turismo sia interno sia estero.
Sia ben chiaro, non c’è tra queste righe alcun biasimo per quanto è stato fatto quest’anno, in mezzo alle numerose difficoltà e incertezze. Che sia altrettanto chiaro, tuttavia, che la sessantesima edizione è del tutto in linea con un trend in essere da anni e che non ha portato niente alla città se non un po’ di ritorno economico, per altro insufficiente (o mal gestito) visto il declino del prestigio del Salone stesso.
Nessuno dice sia una strada facile, ma ne varrebbe la pena anche solo per iniziare a riscrivere l’identità di Genova non più come città di porto, ma come città di mare. Oppure, non tarderà ad aggiungersi un tassello alla profezia autoavverante secondo cui saremo “il più bel sobborgo di Milano”.
Immagine di copertina:
Tama
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