Ciao Ilaria, ci ritroviamo dopo un paio di mesi dalla nostra chiacchierata sul femminismo. Innanzitutto, bentornata su Wall:out. Ilaria ed io abbiamo deciso di organizzare un paio di chiacchierate su alcuni argomenti toccati nell’ultima chiacchierata “sul femminismo” e che non hanno, per ovvie ragioni di tempo, avuto tutto il tempo che meritano.
Ciao a tutti. Grazie mille per avermi dato l’opportunità di parlare di tematiche che mi stanno tanto a cuore. Dopo l’ultima chiacchierata che abbiamo fatto, ho ricevuto tantissimi complimenti e sono felice di poter approfondire i tanti temi toccati l’ultima volta.
E questo è il motivo per cui siamo qui oggi. Oggi ce n’è uno in particolare che vorrei approfondire e portare ai giorni nostri. Abbiamo parlato tanto di modelli di donna e di uomo trasmessi tramite media e pubblicità.
Vogliamo riprendere un po’ questo discorso?
Abbiamo affermato come questi modelli hanno un ruolo fondamentale nei giovani. I media, tramite cui questi modelli vengono diffusi, hanno un potere enorme: quello di educarti. L’educazione non è vista in senso lato, ma piuttosto è figlia di una scelta, di uno studio dettagliato.
Questa scelta nasce per ragioni sociali, politiche ed economiche; nasce dalla domanda: che ruolo vogliamo che la donna e l’uomo abbiano all’interno della nostra società? Quale modello non altera gli equilibri economici, politici e sociali in cui viviamo?
Inoltre, entra in gioco la statistica. Troppo spesso, le posizioni di potere sono ricoperte da uomini. Di conseguenza, le aziende capeggiate da uomini assumono una visione, come abbiamo detto l’altra volta “una lente”, maschile sul mondo.
Anche la televisione è una azienda che si comporta nella stessa maniera. La televisione è stato sicuramente il medium dominante sino alla fine della nostra infanzia. Poi sono entrati in gioco i social media, che hanno dato una visione “dal basso” del mondo. Ciò non ha portato però ad un cambio radicale di questi modelli.
Come ce lo spieghiamo?
I social media sono nella nostra quotidianità, e io stessa li uso con una disinvoltura disarmante. Come dici tu, i social sono media dal basso, al contrario della televisione e della radio che invece imponevano i propri modelli dall’alto.
Dici quindi tu che i social media potrebbero rappresentare un’opportunità di rivoluzionare questi modelli. I media, però, riportano le nostre idee, a loro volta createsi da altri modelli che ci circondano.
Potrebbe essere quindi solo una questione di tempo, dopo il quale il potenziale di questi nuovi mezzi viene utilizzato a pieno.
Sì. In più, i social media non rappresentano tutte le nostre idee, tutto quello che siamo. Spesso ritraggono quello che vorremmo essere, o quello che decidiamo di voler apparire, che include solo una piccola percentuale di quello che siamo o facciamo. Questa è la grande trappola di Instagram e di Facebook.
Ci illudiamo che i social siano una finestra sul mondo, quando sono invece un minuscolo spiraglio sulle narrazioni che diamo alle nostre vite.
Perché non avviene il cambiamento?
Beh, siamo ancora e comunque vittime di schemi sociali preordinati, dove i ruoli sociali dei due generi sono ancora fissi e distinti.
Come dicevamo già la scorsa volta, i canoni decisi per l’uomo sono quelli del successo lavorativo, del successo sessuale, del successo economico, mentre la donna subisce maggiormente canoni estetici e familiari. In entrambi i casi, modelli stretti e irrealistici.
Ciò che mi ha più colpito dell’avvento dei social, nell’ottica della standardizzazione dei generi, è che non sia cambiato il messaggio ma il mittente. Oggi, prendere una qualsiasi home Instagram come esempio, siamo ancora sottoposti a continui canoni di bellezza che, per quanto più inclusivi, rimangono ancora irreali, virtuali.
Come siamo passati da vittime del sistema a promotori dello stesso?
Quando si sente che qualcosa è più grande di noi, con la consapevolezza di non poterlo battere, se ne diventa amici. Fa paura, è difficile, ci si sente soli. Io non ho risposte, posso solo condividere quello che è il mio percorso.
Credo però che ci sia un cambiamento, e non tutto quello che viene dai social deve esser buttato via. Noto già una diversificazione di questi modelli in cui identificarsi. Mi fa piacere sostenere questo movimento in cui donne appoggiano altre donne, in cui ci si mostra anche nelle proprie debolezze e nei propri difetti.
Se il nemico di cui parlavo prima ci sembra impossibile da sconfiggere, possiamo quantomeno dargli il giusto peso. Possiamo cercare una nuova consapevolezza nei confronti dei social, riconoscendoli appunto come una vetrina, come un piccolo spiraglio delle nostre vite.
Un primo cambiamento può essere quindi non dargli troppa importanza.
Ci sono anche esempi recenti di diversificazione dei modelli, prendiamo per esempio il modello curvy.
Nasce sicuramente per includere nuovi canoni di bellezza a quelli esistenti, e qualche ragazza si sarà sentita sollevata dall’arrivo di questo nuovo modello. Rimane però un modello estetico, che quindi per definizione aumenta il senso di inadeguatezza rispetto al proprio fisico a chi non può soddisfare tale modello.
Hai ragione nel dire che qualunque modello include ed esclude allo stesso tempo. Una diversificazione dei modelli, proporre diverse immagini in cui specchiarsi, porterà sempre più donne a sentirsi accettate con quello che sono.
Apprezzo questo lento, ma rumoroso, movimento di donne che si accettano per quello che sono. Non sono le nostre caratteristiche estetiche a definirci per quello che siamo. Tutti noi sappiamo cosa ci definisce, al di là di quello che raccontiamo nella narrazione dei social media, e dobbiamo ricordarci di questo ogni qualvolta ci sentiamo esclusi.
Questi standard sono sempre localizzati, limitati al luogo in cui sei, alla cultura in cui nasci. Questo discorso si può estendere anche ai canoni estetici.
Ad esempio, in Inghilterra non riuscivano a concepire il ruolo della velina in televisione, che per contratto doveva ballare ma non poteva intervenire nella trasmissione, esprimere un’idea, semplicemente parlare.
Una rivoluzione più moderna segue il movimento “normalize your body”. Ce ne vuoi parlare?
È un movimento molto recente, che fa parte di quella rivoluzione lenta ma rumorosa accennata prima.
Sui social stanno nascendo molti post di donne, e non solo, che voglio normalizzare ciò che è di fatto normale. Con ciò si vuole superare le paure e le vergogne per ciò che fino a poco fa non si voleva mostrare al mondo, in questo caso virtuale.
Tutti abbiamo pensato di esser sbagliati, di non andar bene abbastanza. Vedendo un post simile, una ragazzina o un’adulta, possono sentirsi solidali l’una con l’altra, superare questo timore, sentirsi accettata socialmente anche con quel particolare difetto.
Questo movimento sembra una prima presa di consapevolezza del potere che abbiamo tramite i social dal basso. Ciò non toglie che rimaniamo ancorati ad un mondo in cui le pagine più seguite sono quelle di belle donne, o uomini di successo, e i detentori del potere mediatico sono ancora gli stessi.
Verso fine chiacchierata volevo chiederti se hai qualche consiglio per me e per i lettori che ci seguono.
Torniamo al discorso di modelli irraggiungibili. Sono davvero amareggiata nel pensare alla sofferenza individuale che sta dietro al mancato raggiungimento di standard non propri e imposti dall’esterno.
Su questo tema, ha svolto un lavoro interessantissimo Geena Davis, che è da anni in prima linea contro il sessismo e le discriminazioni di genere nei media e nel cinema, in particolare ad Hollywood. Geena Davis ha fondato il Geena Davis Institute on Gender in Media, che appunto promuove i personaggi femminili nelle sceneggiature cinematografiche e nei media.
Io ho avuto il piacere di conoscere Geena Davis quando è venuta alle Nazioni Unite a presentare il suo documentario, che appunto qui suggerisco a tutti e a tutte. “This changes everything” racconta di come grandi star del cinema come Natalie Portman, Meryl Streep e molte altre si siano sentite discriminate in quanto donne nella loro carriera.
Raccontano di episodi violenti nei dietro-scena dei film, di discriminazioni estetiche e di tanti altri argomenti che vi consiglio di approfondire con la visione di questo documentario.
Io mi sono commossa, in particolare nel comprendere che questi modelli di cui abbiamo parlato fino ad oggi ci vengono proposti sin dall’infanzia. Nel documentario vengono proposti spezzoni di cartoni, banalissimi e comunissimi, in cui la distinzione di genere porta la femmina ad essere sempre ammiccante ed attraente, e gli uomini sono in stragrande maggioranza i caratteri protagonisti della storia.
Interessante, lo guarderò anche io. Grazie per la bella chiacchierata, alla prossima!
Grazie a voi, alla prossima!
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Sguardi Altrove Film Festival
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