Vorrei provare ad essere un’altra persona per vedere me stesso come mi vedono gli altri. Vorrei sapere qual è l’impressione che prova chi non sa per nulla quello che faccio e che sono. Quando cammino pensando ai fatti miei, quando sorrido per chiedere qualcosa, la mia paura è che a vedere me come sono io potrei rimanere deluso.
LUIGI TENCO
E la più grande ambizione? “Far capire alla gente chi sono attraverso le mie canzoni. Cosa che non mi sembra stia accadendo”. Non è accaduto e non accadrà, se posso permettermi.
Benvenuti nel suo regno, quello di Luigi Tenco, un cavaliere della musica che quando si mostrava in pubblico lo faceva senza spada. “Quando canto lo faccio gratis, ma io canto pochissime volte” ci tenne a precisare in un’intervista a Sandro Ciotti, all’età di ventiquattro anni. Quattro anni dopo la sua voce fu spenta a Sanremo da un colpo di pistola.
Chierico e corsaro, vampiresco e fanciullesco, provò a scalare la montagna più alta del mondo fra la gente che sorride tra lo sfarzo, sugli schermi, a braccetto con il gioco d’azzardo, omologata al morbo del tutti sanno ma nessuno parla.
The Reason Why, murale musicale, proverà (senza pretese) ad appendere ogni settimana un post-it sulle porte di casa con un nome e tante citazioni collegate da salvare nelle storie. “Storie da non raccontare” ma semplicemente da ascoltare.
“Le persone sono di cristallo” e “l’amore è un colpo di pistola”. Lo scrivono Giovanni Truppi e Brunori Sas, due che negli anni hanno ricevuto premi e riconoscimenti che portano su scritto proprio il nome di Tenco. Lo raccontano quasi meglio gli altri, chi di proposito e chi di sfuggita. “È stato il Dracula della musica italiana” sostiene Morgan, che ne ha valorizzato sul palco il legame con De André. Fra le ballate più pungenti – alcune scritte in coppia proprio con Faber – ce n’è anche una contro la moda di leopardiana memoria.
“Provai ad essere qualcuno, ma sono rimasto nessuno. Provai a diventare un poeta, ma il mondo non ho capito ancora”. Altre considerazioni: “Il tempo se ne va: le strade sempre uguali, le stesse case. Un giorno dopo l’altro e tutto è come prima, un passo dopo l’altro la stessa vita”.
È sempre Tenco ma pare Pavese, che una decina d’anni prima, a qualche collina di distanza al confine tra Piemonte e Liguria, raccontava guerra e dopoguerra in disparte, con gli occhi di chi crede di “non saper far niente in un mondo che sa tutto”. Si può riassumere con i titoli di quattro canzoni, giustapposti uno dopo l’altro: com’è difficile vivere una vita inutile, una vita come le altre fra tanta gente.
Morto suicida in una camera d’albergo, lasciò un testamento letterario e un Premio Strega appena vinto accanto nel letto. Anche l’epilogo del cantautore sembrerebbe lo stesso, se non fosse che sulla sua morte si dibatte ancora oggi. Chiedetelo a Molteni, Ragone, Guarnieri. Fegatelli Colonna, solo alcuni fra gli scrittori e i giornalisti che hanno dedicato parte della vita alla notte fra il 26 e il 27 gennaio del 1967. Gli anni di Pasolini, proteste e propaganda per un mondo che – “non so dirti come e quando” – cambierà.
Un amore indissolubile per la madre li affratella, rabbuiati dalle ombre sulle vite dei padri, una morte difficile da ricostruire li accomuna. Mettere in maschera e poi a nudo la realtà da menestrello, sotto una finestra, o farlo da corsaro, fra le strade infangate e i campi polverosi nelle periferie di Roma? Cambia poco. La morte prematura li ha resi forze del passato, consegnando il loro amore alla tradizione. Dopo di loro, quanto altro cinema!
“Quando gli dissero di andare avanti, troppo lontano si spinse a cercare la verità. Ora che è morto, tutta la patria si gloria d’un altro eroe alla memoria”
La sua fine all’Hotel Savoy, così fu scritto su un biglietto, “atto di protesta” contro chi voleva mandare in finale una canzone su rose e fiori. “Ma sono mille papaveri rossi”, sembra volerci dire. La guerra di Tenco, combattuta senza armi contro spettri della musica e fantasmi della televisione, la racconta anche Francesco De Gregori.
“Lo portarono via in duecento, peccato fosse solo quando se ne andò la notte che presero il vino e ci lavarono la strada. Chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?”
Un colpo di pistola. Uno scherzo del destino: “La vita continuerà, il mondo non si fermerà” canta la canzone che vinse quel maledetto festival, melodramma legato indissolubilmente alla morte di Luigi Tenco. Quello che un bel giorno disse basta e se ne andò via senza dirci quasi nulla. Come nei migliori film d’autore. Ucciso o suicida nell’ombra. Lontano soltanto nel tempo.
I 5 brani consigliati:
1 Colpo Di Pistola
2 Preghiera in Gennaio
3 Scomparire
4 Festival
5 Ciao amore, ciao
Immagine di copertina:
Luigi Tenco
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