H2: The Occupation Lab. Mondovisioni – I documentari di Internazionale

LABIBA | H2 Occupation Lab

H2: Occupation Lab un docufilm che tutti noi dovremmo vedere per comprendere cosa significa occupazione e apartheid.
3 Febbraio 2023
di
5 min
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Dal 16 gennaio al 20 marzo 2023 il cinema Sivori, a Genova, ospiterà la rassegna Mondovisioni – I documentari di Internazionale. CineAgenzia insieme al settimanale “Internazionale” hanno selezionato i migliori documentari prodotti in tutto il mondo nella stagione precedente. Il primo appuntamento è stato dedicato al docufilm “H2: Occupation Lab” di Idit Abvrahami e Noam Sheizaf (in ebraico, arabo e inglese con i sottotitoli in italiano), preceduto dall’intervento dello storico Luca Borzani, del centro studi Medì – Migrazioni nel Mediterraneo. 

H2 una formula per l’occupazione

H sta per Hebron, 2 per la metà di città destinata al controllo israeliano dopo il protocollo di Hebron del 1997. H1, d’altra parte, resta controllato dalla autorità palestinese.

Il titolo dato dai registi al docufilm è, invece, “Occupation lab”, con il quale si definisce perfettamente e in modo inequivocabile la situazione attuale della città di Hebron, dei suoi cittadini e di come, da una città ricca e prosperosa, si è passati, nel corso di diversi decenni, a una città fantasma, sotto occupazione e scandita da violenze fisiche, psicologiche ed economiche quotidiane.

Ciò che emerge più di qualsiasi altra cosa è stata l’organizzazione di un’occupazione invisibile – come definita dai registri – per rafforzare la presenza dei coloni ebrei nella città, il loro potere militare ed economico, per togliere a poco a poco libertà, diritti e giustizia al popolo natio. Si è passati poi ad un’occupazione visibile, fondata sulla violenza, il controllo assoluto, violazioni di privacy, di libertà, di lavoro, di esistere.

Una sperimentazione che ha dato il via a dei copioni in altre città dove la convivenza forzata di entrambi i popoli è necessaria. 

H2: The Occupation Lab. Mondovisioni – I documentari di Internazionale
Locandina del documentario. Fonte Findthecure

I massacri di Hebron 

1929 e 1994 sono le due date storiche che hanno segnato il destino della città. Nell’agosto del 1929 Hebron era una città di 17000 abitanti, al cui interno viveva una comunità di circa 750 ebrei. Questi ultimi non erano sionisti, bensì ebrei orientali che vivevano nella città di Abramo da generazioni, poiché Hebron era una delle quattro città della Terra Santa mai abbandonate del tutto, nemmeno durante la diaspora.

Il 20 agosto, avvertendo la tensione che saliva a Gerusalemme, i leader dell’Haganah – la forza di autodifesa che i sionisti avevano iniziato a organizzare – contattarono la comunità ebraica di Hebron, offrendo protezione.

Una protezione che agli occhi degli ebrei era inutile in quanto si sentivano al sicuro nella città di Abramo, con i loro vicini arabi. Invece, appena tre giorni dopo si consumò il massacro del 1929: famiglie trucidate, assalti anche contro i bambini, donne violentate, per un totale di 67 ebrei uccisi senza una reale motivazione.

Le loro case furono prima saccheggiate e poi occupate. Gli inglesi, incapaci di gestire la situazione, fecero evacuare gli ebrei da Hebron per una questione di sicurezza. Questa vicenda segnò uno spartiacque.

Dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, infatti, molti coloni si insediarono a Hebron e alle porte della città, subito fuori dalla attuale zona H2, dove si trovano altre tre colonie e dove vivono in totale 7000 persone. Tra queste, la più rilevante per grandezza e fama è Kyriat Arba, la prima colonia fondata in Cisgiordania.

Il secondo evento decisivo fu il massacro del 1994: una strage, come fu del resto quella del 1929, che contò la morte di 29 arabi durante la preghiera nella moschea Ibrahimi, per mano del colono ebreo Baruch Goldstein.

Questo evento ci porta alla definitiva divisione della città.

Al Khalil Tomba dei Patriarchi 

Quella che noi tutti conosciamo come Hebron, in realtà è chiamata in arabo Al Khalil. La sua storia, come tutte quelle che riguardano la questione israelo-palestinese, è complessa e intrinseca di simboli religiosi, sacri ad entrambi i popoli.

Al Khalil, si trova nel sud della Cisgiordania, nei Territori Palestinesi Occupati. Una linea virtuale e barriere fisiche spaccano a metà la città nel cuore del suo mercato principale, separando il nuovo distretto commerciale – zona H1 – dalla città vecchia – zona H2 – sede dell’antico souq e dei luoghi religiosi sacri a ebrei e arabi, tra cui le tombe dei patriarchi. 

Con il protocollo di Hebron – che confermava di fatto la divisione della città secondo gli Accordi di Oslo – separarono la città in due parti: una dove vivono circa 160000 palestinesi, controllata dall’autorità palestinese (H1), l’altra sotto giurisdizione militare e amministrativa israeliana (H2), abitata da 40000 palestinesi e circa 700 coloni ebrei. 

La tensione all’interno delle due città è ogni giorno sempre più alta, soprattutto in prossimità di quel confine invisibile, teatro di intolleranze da entrambe le parti.

Come viene anche evidenziato durante il film da uno degli interlocutori:

“come si poteva pensare che coloni e palestinesi vivessero in armonia tra loro, quando entrambi si considerano nemici? Come dormiresti tu al pensiero di avere come vicino il tuo peggior nemico?”. 

Dopo il 1997, anno della divisione della città, per i cittadini palestinesi di H2 l’esistenza cambiò radicalmente. Come effetto della presenza dei coloni, per consentire a poche centinaia di ebrei di condurre una routine quotidiana, l’esercito israeliano sottopone migliaia di palestinesi a rigidissime restrizioni delle principali libertà.

Il movimento è severamente limitato dal sistema di “closure” che in un’area di 2-3 kmq conta 122 checkpoint e vieta ai veicoli palestinesi (inclusi mezzi pubblici e ambulanze) di circolare nelle strade e in quelle più centrali, è proibito loro anche di camminare.

Come ad esempio in Shuhada Street, l’arteria centrale che una volta connetteva il souk ai luoghi di culto, che oggi è una strada spettrale dove si affacciano centinaia di edifici palestinesi con porte e finestre sbarrate, imbrattate di insulti e minacce, dove campeggia come unico e ripetuto simbolo, la stella di Davide.

In tutte le attività quotidiane, i palestinesi sono quindi costretti ad evitare il passaggio su Shuhada street ed effettuare lunghe deviazioni, anche di chilometri, per raggiungere luoghi che distano pochi metri in linea d’aria.

Le immagini del film sono chiare, nitide, ma sono le raccapriccianti testimonianze di Yehuda Shaul a segnare nel profondo.

Il fondatore e veterano israeliano dell’organizzazione Breaking the Silence ha deciso di raccontare quello che è stato fatto dal punto di vista militare. Il 2000 segna il punto di non ritorno per l’ex soldato, durante la seconda Intifada (articolo di wall:out Cap. 3.2. Intifada verde e limitazioni), dove era in servizio militare ad Hebron.

«Durante gli scontri, sparavamo sui civili con granate – racconta il fondatore di Breaking the Silence – ma il peggio è stato quando ci hanno ordinato di sigillare le porte degli arabi dall’esterno, letteralmente sono state saldate in modo che non potessero più uscire di casa. È qui che ho preso la mia decisione e ho chiesto alla mia unità militare di filmare e fotografare tutto, dovevamo testimoniare cosa stava succedendo, il nostro popolo doveva sapere cosa stava accadendo qui».

Nello stesso anno sono state chiuse per ordinanza militare 1829 attività commerciali palestinesi privando la popolazione della principale fonte di reddito.

La stessa Croce Rossa Internazionale ha denunciato queste “estenuanti misure di sicurezza” come la causa di quell’86% della popolazione palestinese che vive sotto la soglia di povertà.  

H2 Occupation Lab documenta quello che è l’occupazione israeliana, la sua ferocia, ma anche la resistenza palestinese e israeliana capace di opporsi a tanta brutalità con infinito coraggio.

Immagine di copertina:
Locandina del documentario. Fonte Findthecure


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