Nell’autunno del 2013 sono stato invitato alla presentazione alla stampa di un nuovo locale che avrebbe aperto di lì a poco, in Piazza Campetto. Il locale si chiamava Les Rouges, e allora lo raccontavo così per Genova24:
“Quello che ti convince fino in fondo, nel caso dell’idea dei fratelli Abarbanel di un “Bar in Genova”, pensato con forza come parte attiva e propositiva di un quartiere, come centro attrattivo e luogo di incontro di persone e personaggi diversi, dietro e davanti al bancone, quello che ti convince fino in fondo, dicevo, è quella cura, attenzione e passione che intravedi.”
Sono passati quasi 7 anni e, nel frattempo, come era prevedibile date le premesse, il progetto Les Rouges ha funzionato più che bene e da poco è stato replicato anche a Milano. Oggi, però abbiamo alle spalle delle settimane che hanno reso l’attività di recensire o raccontare ristoranti qualcosa di gradevolmente irrilevante. E infatti non è di questo che vorrei dire, qui.
Nel mezzo della burrasca di queste settimane, infatti, un loro post su Facebook si è guadagnato un piccolo angolo di luce tra le migliaia di richiami all’ordine, inviti alla preghiera e consigli di esperti di vario calibro. Diceva 3 cose:
1. vorremmo non fermarci e trovare un modo utile di continuare a fare il nostro lavoro;
2. vorremmo farlo, prima di tutto, aiutando quelle categorie di persone che ora sono più utili per tutti noi (medici, infermieri, ecc.)
3. chiunque ci voglia aiutare lo può fare aiutandoci a fare meglio le prime due cose.
Fine.
Il giorno dopo, abbiamo assistito a due reazioni: la prima è che in molti hanno ripreso e condiviso quel post, ringraziando e dicendo molte cose belle su tutta la faccenda (La Repubblica). Evvabbè. La seconda cosa che è successa è che molte persone vicine e meno vicine al quartiere hanno scritto direttamente ai ragazzi di Les Rouges per dire cose tipo: “grazie e per favore, ditemi quando possiamo aiutarvi, davvero, è importante per noi aiutarvi”.
Ecco, volevo dire questo: ripartire, potrà essere una cosa difficile e faticosa. Per alcune categorie di persone più che per altre. Sarà difficile riorientarsi e capire quale potrà essere la direzione migliore. Orientarsi, quando bisogna ripartire dopo un arresto, è sempre il primo e più complesso obiettivo. Da dove si comincia? Verso dove possiamo puntare la barra?
Allora, ecco qui: un punto di riferimento. Ricominciamo da questo gesto. Io l’ho incrociato in questo post di Les Rouges, ma è chiaro che ce ne sono (stati) molti altri in giro. Ricominciamo dalle tre mosse custodite in quell’idea: andare avanti a fare quello che sappiamo fare meglio (non mille altre cose belle e giuste, ma quello che sappiamo fare bene, solo quello); farlo cominciando ad andare incontro a chi, vicino a noi, in quel momento ne ha più bisogno (perché se non ce la fanno quelli intorno a te, questo va capito, non ce la fa nessuno mai); essere disponibili a farsi aiutare, da chi ci sta intorno, a fare meglio e con più forza, le prime due mosse.
Se vogliamo ripartire, possiamo ripartire da qui.
Immagine di copertina:
Pexels
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