Premessa: Questa rubrica è nata con l’idea di far conoscere ai lettori italiani Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina, nelle sue sfaccettature artistiche, urbane e culturali. Grazie alle conferenze di KUMA International è stato possibile ricercare, studiare ed espandere le basi che hanno portato alla scrittura di questi articoli. KUMA International è un’organizzazione senza scopo di lucro impegnata in diverse attività educative che lavora a stretto contatto con accademici e artisti. L’obiettivo principale del primo passo educativo di Kuma è sostenere la produzione artistica del dopoguerra dalla Bosnia ed Erzegovina. La serie di workshop organizzati da KUMA International per il mese dell’architettura sono volti a comprendere l’identità passata e contemporanea della Bosnia ed Erzegovina e della città di Sarajevo, offrendo un contesto sullo sviluppo storico, architettonico e urbano, fornendo anche spunti per sviluppare una prospettiva critica sulla città. Per sapere di più su come è nata e su quali principi si basa Kuma International trovate qui l’intervista a Claudia Zini, fondatrice e direttrice dell’organizzazione. * Titolo tratto dal libro “Sarajevo centro del mondo. Diario di un trasloco” di Dzevad Karahasan. |
Il capo del serpente
Sarajevo è oggi un agglomerato urbano unico nel suo genere. L’espansione della città lungo le rive del fiume Miljacka ha dato origine alla sua conformazione longitudinale, sviluppando una forma “a serpente”. Camminando lungo la riva destra del fiume, la montagna del Trebević si impone maestosa a salvaguardia della città.
Per i sarajevesi essa rappresenta la natura dietro casa, la gita domenicale, oppure il ricordo delle mitiche olimpiadi del ’84 e della pista di bob più veloce al mondo. Per noi stranieri, invece, il Trebevic è il belvedere per eccellenza, con la funivia che regala alcune delle viste più magiche sulla città.
Quando si raggiunge la cima, sotto di noi Sarajevo si srotola in tutta la sua lunghezza verso il monte Igman.
È da quelle alture che il patrimonio storico e architettonico può essere meglio apprezzato. Proprio da quei 1.600 metri di altezza, analizzando attentamente il tessuto urbano della città, è possibile notare come essa sia divisa in tre fasce, ognuna caratterizzata da un periodo storico specifico.
Il capo del serpente è rappresentato dalla Baščaršija, luogo di mercato e di scambio sin dai tempi dell’impero ottomano (fine XV secolo) e oggi anche luogo d’interesse turistico. Una piccola Istanbul d’estate e luogo senza tempo, immobile, con l’arrivo della prima neve, essa è caratterizzata dalla presenza della moschea di Gazi Husrev-beg, dell’Antica Chiesa Ortodossa e della vecchia sinagoga Stari Hram.
Circondata dai monti Trebevic e Treskavica, sui quali si espandono i quartieri (mahale) di origine ottomana, la Baščaršija racchiude in sé ciascuna delle culture etnico-religiose presenti nelle mahale che l’abbracciano intorno. Al contrario di queste ultime, il cui schema è disperso e irregolare, la čaršija si basa su una geometria regolare di strade disposte a valle.
Essa è l’area intima della città, il punto centrale da cui Sarajevo si è sviluppata e in cui si realizzano i valori umani universali che ognuna delle culture etnico-religiose della città contiene in sé.
Il Sarajevo Meeting of Cultures
Seguendo il corso della Miljacka, lungo la strada Ferhadija, l’estetica urbana cambia rapidamente: si abbandonano gli edifici bassi e le fitte reti di stradine e cortili della Baščaršija per dare spazio a edifici di architettura austro-ungarica, moderni e imponenti, che caratterizzarono l’inizio del processo urbano di occidentalizzazione della città.
Come risposta all’aumento della popolazione urbana, più multietnica e internazionale, la scala intima dell’urbanistica ottomana viene sostituita dalla griglia ortogonale significativamente più grande e dagli isolati di media e grande scala. Vi è un punto preciso, tra la moschea di Gazi Husrev-beg e l’inizio della strada Ferhadija, in cui l’impero ottomano e quello austro-ungarico si incontrano: è il “Sarajevo Meeting of Cultures”.
Da questa linea tracciata sulla strada, il periodo storico in cui ci si trova è tutta una questione di prospettiva. Dal lato orientale, spezie, aromi, tappeti, colori, odore di caffè. Dal lato occidentale, eleganti palazzi viennesi, negozi di moda, ristoranti moderni che guardano allo stile europeo.
La terza fase urbana
L’ultima parte del “serpente”, ovvero la terza fase urbana di Sarajevo, corrisponde all’inizio dell’era socialista jugoslava. L’area di Marijin Dvor rappresenta la soglia fisica e simbolica delle parti urbane austro-ungariche e quelle socialiste e moderne della città.
La particolarità che caratterizza molti degli edifici che si sviluppano da questo quartiere in poi è l’imparzialità etnico-architettonica. Sotto il periodo iugoslavo, l’urbanistica di Sarajevo assume l’identità multinazionale e moderna, corrispondente alle ideologie socio politiche della federazione. Qui i palazzi residenziali sono alti, grigi, indistinguibili. Per quanto lo stereotipo sull’architettura socialista veda in questi complessi urbani accezioni di oppressione e disillusione, la notte, questi giganti addolciscono le loro forme illuminandosi.
Dalle stradine di montagna che circondano Sarajevo, questi agglomerati grigi si trasformano in lucciole, rendendo ancora più suggestivo e magico il ricordo iugoslavo della città. Sulla strada di Safeta Hadžića, verso il quartiere di Otoka, i palazzi illuminati regalano illusioni ottiche uniche: le percezioni visive si alterano, la profondità diventa impercettibile.
Tutte queste fasi storico-architettoniche, che dividono in maniera regolare Sarajevo, potrebbero apparentemente non avere nulla in comune, o meglio, salvo i punti in cui si incontrano, non avere nessuna sfaccettatura urbana che le avvicini. In realtà non è così.
L’ultimo periodo storico che ingloba tutte le diverse evoluzioni urbane della città è l’assedio del 1992-1995 (di cui a questo trovate un racconto su Frammenti di Storia). L’oppressione, persecuzione e isolamento del popolo bosniaco ha influenzato anche lo sviluppo urbano di Sarajevo. Senza distinzioni, tutte le realtà architettoniche della città sono state danneggiate e distrutte. Chiese, moschee, palazzi amministrativi, zone residenziali.
Nessuno dei tre periodi storici è stato risparmiato. Ancora oggi, se si percorre la Miljacka da Alipašino fino alla Baščaršija, gli edifici, le case, le strade portano le ferite e le cicatrici dell’assedio.
I monti dell’Igman, della Treskavica, della Bjelašnica, di Jahorina e del Trebević, che hanno permesso a Sarajevo di svilupparsi a valle, sono stati i luoghi dove si è scritta una delle peggiori pagine contro i diritti umani della storia dell’Europa.
L’assedio ha cambiato il Genius Loci, ovvero l’identità nata tra l’interazione di un luogo con la propria identità, non solo di Sarajevo nella sua completezza, ma soprattutto delle montagne che la caratterizzano. Il Trebević, da luogo famigliare, intimo e collettivo, è diventato un confine invisibile, che divide la città che racchiude in sé Oriente e Occidente, tra Est e Ovest.
Circondata da queste montagne che racchiudono in sé la storia del paese, Sarajevo si ritrova ad essere un luogo geograficamente chiuso e semanticamente aperto.
Immagine di copertina:
Foto di Chiara R.
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