Chi ha finito gli studi da qualche tempo avrà scoperto a sue spese una dura verità: i compiti a casa non finiscono mai. Chi sta frequentando la scuola o l’università, in fondo, anche.
Una volta era la maestra, oggi a imporceli è il nostro datore di lavoro oppure la gestione della casa. Fare i compiti è un obbligo – a meno che non ci piaccia restare al buio o con il frigo vuoto – e l’organizzazione di questi compiti è fondamentale.
Come organizzare bene i compiti lo abbiamo imparato – forse – a scuola, ma i bambini di oggi lo stanno imparando?
Partiamo dall’inizio
Genitori o alunni, tutti almeno una volta hanno scritto qualcosa su un diario scolastico: per annotare gli esercizi a pagina 394, per firmare una nota o per scrivere una dedica all’amica del cuore.
La scrittura dei compiti può essere un momento importante per imparare a relazionarsi con lo spazio e il tempo.
Per un bambino in età scolare contare le pagine, scrivere in modo comprensibile, organizzare gli spazi e saperli riconoscere sono tutti passaggi di un processo che lo trasformerà in una persona adulta organizzata.
Fino a qualche tempo fa, il momento in cui venivano assegnati i compiti a casa era un rito a cui sottrarsi era impossibile, oggi qualcosa è cambiato e non si può dire che sia cambiato in meglio.
Compiti a casa: digitale diventa funzionale (o no?)
Da un po’ di tempo a questa parte il momento di assegnare i compiti è diventato talvolta superfluo, talvolta un rito noioso a cui, in fondo, ci si può sottrarre. La didattica a distanza e l’avvento del registro elettronico hanno sicuramente sdoganato una certa pigrizia.
Quando siamo in ufficio, durante un’interminabile call, è più pratico prendere appunti mentre il nostro capo parla o forse preferiamo che sia lui a inviarci le consegne esatte da rispettare?
Se tra adulti il compito dato direttamente dal capo ufficio è la strada più efficace, tra i 6 e i 17 anni i bisogni sono diversi e non ci si può permettere di pensare soltanto a cosa sia più pratico.
Se non ne abbiamo voglia noi, figuriamoci loro.
Il momento di dare i compiti a casa stabilisce, inoltre, un patto tra chi li dà e chi li riceve. Viene infatti dichiarato l’impegno alla verifica dei saperi, da entrambe le parti. Inoltre passa un messaggio più o meno chiaro: l’insegnante mette a disposizione il proprio tempo per aiutare lo studente a superare le difficoltà.
In termini più pratici potremmo fare questo esempio: se fossimo tenuti a svolgere una certa mansione nel nostro tempo libero, ritenuta universalmente fondamentale e per la quale chiunque intorno a noi insiste perché la facciamo senza indugi, cosa dovremmo pensare se a consegnarci questo compito fosse qualcuno che non ha (o non vuole avere) nemmeno il tempo di parlarne?
Pensare che i compiti assumano una qualche importanza senza dedicare loro una minima parte del nostro tempo è inefficace dal punto di vista educativo.
Compiti a casa: digitale diventa complicato
Partiamo da un dato (ANSA): moltissime famiglie hanno difficoltà a garantire un accesso a internet ai propri figli e molte di queste non sanno utilizzare gli strumenti digitali.
Uno strumento come il registro elettronico, che dovrebbe migliorare la comunicazione scuola-famiglia, improvvisamente diventa un ostacolo difficile da superare.
Alle percentuali possiamo aggiungere un’altra lettura: ci sono famiglie in cui i genitori sono poco presenti (per svariate ragioni), in cui le barriere linguistiche non sono facilmente superabili o in cui la povertà educativa non permette di curare l’educazione dei minori.
Se un minore va a fare i compiti dai nonni, in un doposcuola o in un centro educativo, chi garantirà i mezzi necessari?
La domanda è semplice: come si tutelano tutti questi minori?
Il rovescio della medaglia
Immaginiamo che tra i minori con accesso stabile a internet ce ne siano diversi senza un laptop o un computer desktop in casa. È lecito pensare, soprattutto tra adolescenti e preadolescenti, che si consulti il registro elettronico dal proprio cellulare. Come si tutelano questi minori dalle migliaia di stimoli che li bombardano in ogni momento della giornata?
Pensiamo a quanto, in media, un adulto sia capace di resistere a una notifica di Facebook o di WhatsApp. Vogliamo davvero credere che per i nostri ragazzi e per le nostre ragazze sia diverso?
Autonomia: non si lascia indietro nessuno
Specialmente nella scuola primaria dare gli strumenti per costruire una propria autonomia è fondamentale.
Costruire dei riti, come la scrittura sul diario e la verifica che i contenuti siano scritti correttamente, aiuta a sviluppare il senso di responsabilità. Abbandonare queste modalità significa lasciare degli spazi che potrebbero rimanere vuoti a lungo.
Certo, così si accorciano le distanze tra gli adulti presenti a scuola e quelli presenti in famiglia: un adulto a scuola scrive i compiti, un adulto a casa, se disponibile, si assicura che vengano eseguiti. Il punto però, ancora una volta, sono i minori e non gli adulti.
La percezione che si rischia di dare è che la responsabilità dei compiti a casa passi dagli insegnanti alla famiglia.
I compiti a casa non salvano nessuno (però aiutano)
Fino a che non si penserà a un modello diverso di scuola le convenzioni a nostra disposizione sono queste, ma dobbiamo prestare un po’ di attenzione.
Nell’arco di tempo che va dalle elementari alle superiori, si passa da un estremo (cioè un’infrastruttura necessaria di adulti che supervisionano ogni passaggio dei compiti) all’altro (cioè a ritenere che gli studenti medi o liceali siano universitari con la merenda).
È fondamentale ricordare che ogni fascia d’età ha tempi e modalità diverse, quindi ogni grado di istruzione dovrebbe avere strategie più o meno complesse per sviluppare l’autonomia degli studenti.
Certamente non è facendo scrivere i compiti sul diario che risolveremo tutti i problemi cognitivi, di autonomia, di povertà educativa e di didattica dei nostri pargoli.
Possiamo però dare un contributo perché non crescano da subito dipendenti dalla tecnologia.
Immagine di copertina:
Foto di Tim Gouw
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