WOW Decostruire il patriarcato

W:OW | Decostruire il patriarcato, costruire un mondo nostro: buone pratiche e consapevolezza – report del talk

Patriarcout è un grido di battaglia contro un sistema insostenibile che abbatteremo a colpi di buone pratiche, per costruire un mondo a misura di tuttɜ.
8 Maggio 2022
5 min
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Per chi conosce wall:out, Patriarcout non è solo il nome (pazzesco) di una settimana tematica che, attorno alla Giornata internazionale dei diritti della donna, raccoglie gli sforzi della redazione sul tema del femminismo intersezionale, ma è un vero e proprio grido di battaglia e di festa in cui le nostre voci plurali sanno farsi corali. È questo spirito che ha animato il talk conclusivo della due giorni di festeggiamenti per il compleanno del magazine.

Lo splendido contesto di Casa Gavoglio che lo ospitava ha permesso di rideclinare in altra forma il titolo di Quartiere generale della sostenibilità che abbiamo voluto dare agli eventi in questa sede. Creare uno spazio sostenibile non significa infatti solo riqualificarlo dal punto di vista ecologico, ma anche lavorare affinché gli spazi sociali e urbani permettano e tutelino la libertà e l’autodeterminazione di tuttɜ.

Per interrogarci su quanto questo accada e come possa accadere abbiamo voluto coinvolgere diverse prospettive, competenti, alleate nella lotta a un sistema letteralmente insostenibile, quello dell’etero-cis-bianco-abile-patriarcato, e divulgatrici di buone pratiche, che dal quotidiano portino ai vertici delle istituzioni quel cambiamento di è sempre più bruciante l’urgenza.

Maternità Patriarcout

Nel raccogliere con profonda gratitudine l’invito a moderare questo incontro, ho voluto partire da quella che è stata la mia esperienza di maternità: delle sue difficoltà avevo scritto proprio per Patriarcout e la possibilità di oltrepassarle mi è stata fornita proprio dall’incontro a Casa Gavoglio, dove mia figlia ha potuto trascorrere un pomeriggio meraviglioso di giochi e laboratori, merende e divertimenti, grazie al coinvolgimento di figure educative di altissimo rilievo.

Perché per wall:out non c’è riflessione teorica che non sia funzionale alla prassi rivoluzionaria, quale quella di creare eventi inclusivi.

Come la genitorialità e in particolare la maternità possano fare problema in un contesto, quale quello patriarcale, che sembra anzitutto lodarle e incentivarle, è questione che si chiarisce nell’esperienza quotidiana: il profondo disimpegno socio-politico nei confronti delle esigenze della maternità non è che espressione di un desiderio di controllo sul corpo con utero come corpo gestazionale.

Chi può accogliere figliɜ nel proprio grembo deve, cioè, anche farlo e limitarsi a fare quello.

In che misura lo ha ben chiarito Alice Merlo, attivista per l’autodeterminazione riproduttiva, che è partita dal proprio vissuto – di un’interruzione volontaria di gravidanza affrontata con serena consapevolezza e senza ostacoli di sorta – per riconoscere i propri privilegi e il proprio percorso di crescita.

Ci ha raccontato con profonda onestà come il suo lavoro di accompagnamento all’IVG e alla salute ginecologica, che svolge volontariamente in qualità di attivista, l’abbiano portata a comprendere i limiti della legge 194, capace di difendere l’obiezione di coscienza e le famiglie eteronormate più che i diritti delle persone con utero, e la distanza tra la legalità di diritto e l’accessibilità di fatto, soprattutto per coloro che non si riconoscono nel genere femminile, ma anche per chi non ha il privilegio di abitare in regioni con livelli minimi di servizi garantiti.

Proprio il riconoscimento del privilegio e l’esercizio dell’empatia, in particolare nel rispetto non invalidante o prevaricante delle esperienze altrui, sono le buone pratiche che Alice non solo ci ha suggerito, ma ha saputo mostrarci con il suo lucidissimo intervento.

Il controllo che il patriarcato esercita per realizzare il proprio potere si concretizza in una serie di forme di violenza, che con questo sistema fanno tutt’uno.

Ce ne ha parlato Manuela Caccioni, del Centro Antiviolenza Mascherona, evidenziando il nesso storico e culturale tra l’avvento del dominio patriarcale e la sottomissione femminile.

A differenza del conflitto, che può sussistere in ogni relazione, la violenza struttura una gerarchia che spesso risulta difficile da sovvertire, perfino da mettere in discussione. Questa riduzione a una condizione di inferiorità non assume solo l’aspetto, più noto pur nella sua capacità di agire nascostamente, della violenza fisica, ma si capillarizza in azioni – come la dipendentizzazione economica o la costrizione religiosa – volte a privare il soggetto su cui si esercitano della sua stessa capacità di autodeterminarsi.

Il riconoscimento formale dell’esistenza di uno specifico movente di genere, così come nella risoluzione ONU 54/134 del 17 dicembre 1999, non è che uno dei passi della lotta al contrasto di questi fenomeni. Altre esperienze, come l’educazione di genere e la formazione professionale, sono almeno altrettanto importanti nella prevenzione, così come Manuela ha saputo chiaramente condividere.

Difficoltà e discriminazioni

È evidente che nel sistema (etero-cis-bianco-abile) patriarcale, quanto meno ci si conforma alle aspettative, rese normanti, sul genere e l’orientamento sessuale, tanto più si affrontano difficoltà e discriminazioni.

Esordisce così Federico Orecchia, presidente di Arcigay Genova, che proprio nel quartiere del Lagaccio ha ora la sua sede.

Il suo intervento tesse insieme teoria e prassi, rivelandosi prezioso per chiunque abbia potuto ascoltarlo. Federico ci ha invitato ad adottare una prospettiva critica sulle abitudini invalse, sin dalla nascita di una nuova persona, nel prestare attenzione al sesso biologico e nel lavorare, culturalmente, affinché si conformi al genere che crediamo debba corrispondervi.

Accanto al pilastro delle consuetudini sociali, la sua analisi ha evidenziato il ruolo normante, cioè disciplinante, che la sanità e la religione o, più in generale, la morale hanno sempre rivestito nei confronti delle identità personali.

La lotta a queste fondamenta si può condurre a colpi di buone pratiche, come coinvolgere persone competenti nel proprio desiderio di informarsi e di portare nel proprio spazio azioni che riconoscano, e quindi letteralmente rispettino, tuttɜ.

Lo spazio urbano

È stato proprio lo spazio, nel senso stretto del termine, a essere protagonista della seconda parte del talk. Alice Giuri, Enrica Perotti e Martina Pestarino hanno condiviso il frutto del loro lavoro di ricerca per la tesi di master in “Rigenerazione urbana e innovazione sociale”, conseguito presso l’Università IUAV di Venezia.

Alice ci ha introdotto alla questione della non neutralità degli spazi urbani, progettati a partire da una specifica prospettiva, che fondamentalmente esclude chiunque non sia un esponente del patriarcato dallo spazio pubblico, relegandolə in luoghi domestici e privati, negandone di fatto la rappresentatività e la mobilità.

Enrica ci ha mostrato i possibili sviluppi laboratoriali inclusi nella loro proposta, sottolineando quanto l’obiettivo di una città femminista non vada frainteso con l’istituzione di una semplice sovversione dei rapporti di forza nello spazio condiviso, bensì coincida con il loro superamento in direzione di un’inclusività praticata. E praticabile, come ha sottolineato Martina: perché le esperienze di città come Vienna, con il quartiere a misura di donne, e Barcellona, con l’impegno della sindaca Colau a intervenire sul piano urbanistico per combattere le disuguaglianze di genere, dimostrano quanto bastino interventi anche minimi per rendere gli spazi pubblici sicuri e quindi vivibili.

Vivibili da tuttɜ, ha ribadito Camilla Ponzano nell’intervento conclusivo, perché una città sensibile alle esigenze delle donne sarà potenzialmente attenta a quelle di ogni altra categoria invisa all’etero-cis-bianco-abile-patriarcato. Proprio quello che invece viene purtroppo interpellato quando si tratta di prendere decisioni sulla vita della città, dall’orario dei trasporti alla destinazione degli investimenti.

Camilla ha mostrato quanto il cambiamento sia invece possibile, portando la testimonianza dell’Atlante di genere di Milano, ma soprattutto quella del Sestiere del Molo di Genova.

Qui in occasione della settimana del 25 novembre Il Cesto Genova, RIOT e Radice Comune, insieme a Lilith Festival, hanno promosso l’iniziativa Sole in Strada, per vivere la città di notte attraverso le pratiche di autotutela delle donne che la percorrono.

Da questo vissuto di strade percorse insieme può nascere quella trasformazione che è lotta, tuttɜ insieme contro il sistema, e festa profonda nella costruzione di un mondo che tuttɜ potremo dire nostro.

Immagine di copertina:
Foto di Greta Asborno


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