Walk The Line

Walk The Line: l’intervista

Due chiacchiere con Andrea Pioggia, collaboratore artistico per Linkinart e fondatore, insieme ad Emanuela Caronti, del progetto Walk the Line.
22 Febbraio 2021
5 min
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Ciao Andrea, introduciti ai lettori di wall:out

Ciao Francesco, mi chiamo Andrea e insieme a Emanuela lavoro come curatore artistico per l’associazione Linkinart. È grazie a questa collaborazione che io e la mia collega siamo riusciti a dare vita a progetti di arte urbana di rilievo nazionale come Walk The Line e On The Wall.

La mia passione per la street art è nata all’epoca delle scuole superiori; mi è sempre piaciuto il concetto di arte per tutti e alla portata di tutti. In più molti dei miei compagni facevano rap o si dedicavano al writing, di conseguenza ho sempre frequentato quell’ambiente e i miei primi festival underground li ho organizzati proprio a Genova, dopo aver girato tutta Italia per istruirmi e costruirmi una rete di contatti. 

Poi ho conosciuto Emanuela, un’ottima architetta, che nonostante avesse una formazione diversa dalla mia condivideva con me una forte passione per la street art, non solo dal punto di vista artistico ma anche sociale, di arte urbana come strumento di rivitalizzazione dello spazio cittadino. Ci siamo scontrati ma anche scambiati molto negli anni e non potrei scegliere collega migliore. Se non fosse stato per il suo contributo nel rapportarsi col comune e le amministrazioni, e per la voglia di districarsi nella burocrazia, non saremmo dove siamo ora.

Walk The Line
Andrea Pioggia, Emanuela Caronti e l’artista @tellas__. Foto di Andrea Pioggia

Quali furono gli eventi e gli artisti di riferimento per la tua formazione a proposito dell’arte urbana?

La mente mi porta subito all’illegal arts, uno degli eventi di street art più interessanti dell’epoca e che veniva organizzato nella vecchia sede del centro sociale Buridda, in via Bertani.

Lì dentro c’erano (e ci sono) opere di alcuni degli artisti più famosi al mondo come Etam Crew, Etnik e Blu.

Quest’ultimo era, ed è tutt’ora, una vera e propria leggenda nonché il mio artista preferito. Blu non ha mai smesso di includere un messaggio nelle proprie opere, mai casuali, mai fine a sé stesse; e non ha mai smesso di lavorare con case occupate e centri sociali. Il fatto che lavorasse in anonimato poi alimentava l’aura mistica che lo circondava: era il nostro Banksy ed è tutt’ora un punto di riferimento nel contesto della street art.

Oggi sento sicuramente la mancanza di un centro culturale vero e proprio che ci permetta di organizzare mostre, incontri… un luogo di ri-unione per i giovani che a Genova vengono sempre più trascurati. È paradossale che una tra le dieci città italiane di riferimento per eventi legati alla street art come i nostri non abbia gli spazi dedicati.

Negli anni le cose sono sicuramente migliorate e più volte abbiamo avuto l’appoggio delle istituzioni, ma si potrebbe fare sicuramente di più: penso a Milano che grazie allo sportello culturale dedicato alla street art ha sfoltito e velocizzato molto il processo di richiesta dei permessi per gli interventi o a Palermo dove il sindaco Orlando ha legalizzato più di 20 muri per gli interventi artistici che divengono appunto luoghi di incontro creativo.

Proprio perché a cavallo del nuovo millennio l’intervento artistico urbano era ancora principalmente inteso come un modo per veicolare un messaggio politico o sociale, che effetto ti ha fatto vedere la street art sempre più “commercializzata” e legalizzata al punto da avere opere nelle aste e nelle gallerie d’arte?

È sicuramente successo tutto molto in fretta. Ricordo bene la volta in cui presi parte ad il primo vero e proprio festival di street art: il Picturin, appunto, a Torino nel 2010. Era la decade delle olimpiadi invernali quindi la città era ancora in fermento.

Era forse la prima volta in Italia in cui delle persone si incontravano per vedere e parlare di arte urbana senza che fossero necessariamente coinvolte nel giro in prima persona. Iniziai a rendermi conto che stavo vivendo lo sviluppo di un movimento artistico, quindi non mi stupii poi dei suoi risvolti per così dire commerciali.

Negli anni successivi infatti il pubblico del festival aumentò a vista d’occhio ispirando la nascita di tanti altri fest come il Memorie Urbane o l’Outdoor Festival.

Arricchito dalle esperienze vissute a questi festival hai iniziato a lavorare con Linkinart, a Genova.

Esatto. Linkinart era in realtà già attiva come piattaforma disciplinare legata all’architettura e si è aggiunta la street art dal momento in cui ci siamo uniti io ed Emanuela nel 2015. Abbiamo inaugurato questa collaborazione con l’evento FOR wALL, tre serate musicali di autofinanziamento alla Claque per la realizzazione del murales di Zed1 sulla murata del Teatro della Tosse, visibile dai Giardini Luzzati. 

Da lì, quasi per caso, è partito l’intervento sui piloni della sopraelevata, più tardi ufficializzato come progetto itinerante con il nome Walk the Line. Poi a seguire gli interventi nel centro storico, a Sampierdarena, a Certosa e così via.

Io ed Emanuela pensiamo sempre all’organizzazione di questi eventi come alla “deposizione della prima pietra”, uno stimolo che un domani possa ispirare i giovani a loro volta a fare dell’arte o a dedicarsi alla creatività.

Walk The Line
Opera di @geometricbang a Certosa. Foto di Francesco Munari

Tra l’altro avete sempre coinvolto artisti di grande talento, e persino di fama internazionale come Bastardilla, Etnik e Ruben Carrasco. Come vi mettete in contatto con loro?

Sicuramente il fatto di essersi creati un’ampia rete di contatti negli anni semplifica le cose. Ci tengo anche a dire di aver sempre avuto a che fare con artisti umili e disponibili, a prescindere dalla loro fama.

A differenza del mondo della musica, nel quale ho lavorato come organizzatore di eventi, in quello della street art c’è ancora molta spontaneità. Il 99% degli artisti infatti si autogestisce, di conseguenza il contatto è quasi sempre diretto. Si finisce sempre per passare del tempo insieme all’artista ospitato: che sia il pranzo, il sopralluogo dell’intervento, il brindisi… alla fine si crea un rapporto di amicizia.

Io per esempio conosco Christian Guémy (C215) di persona e non è certo il tipo che si dà delle arie per aver messo su famiglia girando il mondo con la bomboletta in mano: è una persona fantastica, con una cultura enciclopedica e una grande considerazione del suo lavoro.

È un ambiente dove c’è ancora molta umanità.

Quali sono quindi le iniziative e i progetti futuri di Linkinart (Walk the Line)?

A breve realizzeremo con RAME13 un’opera alla piscina di Pontedecimo in collaborazione col municipio di Certosa. 

Per quanto riguarda il futuro meno prossimo invece ci piacerebbe organizzare degli eventi e degli interventi che non si limitino solo alla street art ma che abbraccino anche elementi di architettura, un po’ come per il progetto Link the Bound, ai Giardini del Molo, dove abbiamo collaborato con una realtà di falegnameria di Trento per la realizzazione di un piccolo parco giochi a tutto tondo.

Abbiamo in serbo dei progetti di questo tipo che ci piacerebbe portare anche fuori dai confini della Liguria.

E comunque rimaniamo molto legati al progetto dei 100 piloni che ci piacerebbe completare. Oltre a essere una bella attrazione per la città, significherebbe molto per noi avere una lunga striscia di colore che attraversa Genova…

In bocca al lupo!

Walk The Line
L’artista @rame13_art all’opera a Certosa. Foto di Francesco Munari

Immagine di copertina:
Opera di @caktusemaria a Certosa. Foto di Francesco Munari


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