Tra gli elementi che accomunano una larga parte delle più vistose opere ingegneristiche c’è, come si suol dire, il far storcere il naso a diverse persone. Vuoi per i materiali impiegati nella costruzione, per le forme e gli incastri adottati, per i colori scelti o, più semplicemente, per l’impatto visivo delle strutture, il lungo cammino per la conquista di un giudizio oggettivo da parte della “critica militante” resta sempre lungo e complicato. Sopraelevata
Eppure alcuni progetti incarnano realmente lo zeitgeist, o spirito del tempo, dell’epoca e del contesto socio culturale che ne ha condizionato la nascita. Alcuni lavori, ancora, sono addirittura concepiti sin da subito come segni distintivi di modernità o biglietti da visita di una città alla ricerca di una rinnovata immagine.
E in questo cammino storico alla ricerca delle novità, capita spesso che i neo progettisti del volto delle città si imbattano in realtà ricche di paesaggio e di preziose architetture, ma profondamente bisognose di spazi e servizi.
Quando sul finire degli anni Cinquanta la città di Genova si è trovata a dover fronteggiare un aumento della popolazione e del traffico, l’amministrazione comunale ha avuto l’occasione di sostenere la propria e imponente opera d’ingegneria.
In questo marasma di motori e clacson gracchianti, il sindaco Vittorio Pertusio – rieletto nel 1961 – colui che più di altri ha contribuito alla definizione del nuovo volto della città, non ha esitato un istante a prendere in considerazione un progetto previsto già dal 1956 e approvato dal Ministero dei lavori pubblici nel 1959 per la risoluzione del problema del traffico cittadino.
La querelle urbanistica appena fuori le porte dell’ufficio della giunta, così, non riguardava l’effettiva realizzazione o l’abrogazione del progetto, ma le scelte progettuali e i materiali da impiegare.
Parallelamente alla proposta del più pratico e conveniente manto stradale rialzato, soluzione con cui abbiamo a che fare ancora oggi, si sono presentati puntuali progetti più o meno utopistici, tradizionalmente presenti nelle occasioni di rilancio della città.
Le lezioni di progettisti visionari come Gino Coppedè o Renzo Picasso per citarne solo alcuni, sono state convertite in un futuristico tunnel sottomarino lungo l’arco portuale e in un viadotto che avrebbe dovuto sorvolare la città dalla collina di San Benigno alla collina di Carignano.
Naturalmente, per mano dell’ingegnere gentiluomo Fabrizio De Miranda, si è scelta la strada rialzata e si è chiesto all’acciaio di rappresentarne la modernità.
25 agosto del 1965
Carte alla mano, il 31 marzo del 1961 il comune ha affidato la progettazione esecutiva alla Società C.M.F. (Società Costruzioni Metalliche Finsider) dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), che ha innalzato trionfalmente il primo pilastro il 12 febbraio 1964, qualche giorno dopo la vittoria di Gigliola Cinquetti al Festival di Sanremo con Non ho l’età.
In un ordine di tempi diverso dal consueto, come riportato dalle cronache dell’epoca, il 25 agosto del 1965, mentre gli italiani trascorrevano le ferie estive armati di giradischi portatili, i rappresentanti dell’amministrazione comunale hanno tagliato il nastro inaugurale. Qualche giorno dopo, i primi di settembre, anche il governo ha chiesto le forbici dell’amministrazione per conferire un tono di ufficialità all’evento.
Terminate le vacanze i genovesi si sono finalmente trovati a correre in auto a cavallo tra il mare e la città (l’attesa per sapere cosa si provava lassù, critiche o no, era palpabile) a osservare dall’alto su un’elastica pista volante le facciate della loro città e le zone ancora interdette del porto.
Quartieri e personaggi che De André racconterà pochi mesi dopo ne La città vecchia: vecchi marinai, ubriachi, prostitute e ladri dimenticati negli angoli bui e malfamati del fronte mare, dove il Sole del buon Dio non dà i suoi raggi.
Senza troppa fatica possiamo trovare on line un video promozionale dell’Ansaldo che rende chiaramente l’idea di cosa ha richiesto la costruzione della sopraelevata.
Per la sua fabbricazione, annuncia il cronista del video, sono state impiegate quindicimila tonnellate di acciaio e settemila di calcestruzzo, è stato necessario demolire trecentomila metri cubi di edifici e si è dovuto sbancare settantotto mila metri cubi di materiale vario. Il tutto per un costo di un miliardo e settecento cinquantadue milioni di lire.
Oggi
Oggi, per molti, non c’è dubbio che quest’opera sia un’intrusa, un marcapiano non previsto per i maestosi palazzi della Ripa, una piscina a cielo aperto che riversa i suoi litri d’acqua sui passanti o un mostro d’acciaio in una città di stucchi barocchi.
Un’entità sporca e scrostata, demagogicamente dipinta da artisti di strada.
Un tracciato senza corsie di sicurezza pure troppo illuminato per fungere da via panoramica o un componente che non può andare in tilt: un’auto in panne può bloccare un’intera città. Una carta a cui si fa ricorso, strategicamente, ogni qualvolta sia necessario far rivalere i propri diritti.
Ma la sopraelevata è anche una lavagna a cielo aperto: uno spazio per chi vuole promuovere la propria ditta, la propria auto, la propria nave con amabili bandierine, offendere qualcuno o ricordare qualcun altro con simpatici adesivi per gli automobilisti in coda.
La sopraelevata è anche testimonianza delle capacità, talvolta magiche, di far comparire spazi e servizi a Genova.
È una memoria che ricorda Aldo Moro, una figura che non è possibile descrivere con un aggettivo – voluta dal socialista Fulvio Cerofolini nel 1979 – ed è una testimonianza della potenza dell’Italsider, rimpianta da malinconici operai che ancora conservano le divise nello scantinato. È una nostrana Linea di Osvaldo Cavandoli, che attraversa lamentandosi il contorto tessuto della città.
È luogo di transito di trucker distratti e di personaggi mitologici a bordo di biciclette o monopattini.
Un cinema all’aperto
La sopraelevata, ancora, è un cinema drive-in che riporta alla mente il cavallo in movimento di Muybridge, qui rimpiazzato da una sequenza di immagini cinematografiche catturate dal perimetro delle finestre. E noi, in questo cinema all’aperto assaporiamo chi ama, chi litiga, chi cucina, chi lavora, chi osserva e chi riposa. Il tutto in squisiti loft di design o in semplici spazi quasi invariati dal tempo in cui vi abitavano i pescatori.
La notte poi, quando costosi neon o nostalgiche lampadine al tungsteno illuminano gli interni talvolta affrescati degli appartamenti, ci ritroviamo affacciati a una verosimile finestra sulla città, che ci riporta in qualche modo all’osservare maniacale del signor L.B. Jefferies di Alfred Hitchcock.
Il grande schermo e la televisione, del resto, si sono ricordati più volte dell’esclusività di questo tracciato, non solo nell’indimenticabile Genova a mano armata di Mario Lanfranchi del 1976. (leggi l’articolo di wall:out “Da un grande potere…)
L’ombra stessa che proietta ai sui piedi è una strada panoramica, in alcuni tratti s’intende, per turisti e cittadini che cercano riparo dalle piogge o dalla calura estiva camminando tra l’acqua e l’architettura. E un riparo anche per chi attende il passaggio dell’autobus, per chi cerca posteggio o per chi vuole sbrigare le ultime telefonate, prima di addentrarsi nel dedalo di vicoli della vecchia città.
Infine, è il paradossale sogno dei turisti che arrivano da lontano, abituati a elevated highway di un altro tenore
Tempo fa, per varie vicissitudini, mi sono trovato a percorrerla con l’artista spagnolo Jose Manuel Ballester in una calda giornata settembrina. Ebbene, armato di macchina fotografica, mi chiese esplicitamente di attraversare la città in un senso e poi nell’altro, con finestrino aperto e Creuza de ma trasmessa da un vecchio CD masterizzato di nascosto anni fa, come si usava fare.
Ogni “cosa” dovrebbe essere obbligatoriamente storicizzata prima di essere giudicata, ossia letta in relazione al fermento socio-culturale in cui è nata. Il clima di cui sono impregnati i piloni d’acciaio della sopraelevata era quello del boom economico, il tempo della morte di Churchill, dell’assassinio di Malcom X, della Guerra in Algeria, del Sacrosanctum Concilium e della Rivoluzione Culturale Cinese.
Gli anni, insomma in cui l’innovazione si scontrava quotidianamente con notizie di cronaca decisamente pesanti, come l’acciaio qui impiegato. Ma noi lo facciamo davvero?
Nonostante la disperata opposizione dei conservatori, la sopraelevata risulta essere ancora oggi una delle più lungimiranti scelte dell’amministrazione comunale.
Vorrei chiudere questa riflessione con le parole che Don Gallo, altro personaggio difficile da etichettare con un solo aggettivo, ha dedicato a questa avveniristica strada:
” Di un evento si discusse e molto. A dire il vero se ne discute ancora oggi: la costruzione nei primi anni Sessanta della Strada Sopraelevata, lungo l’intero arco portuale, diventata tristemente famosa per la sua capacità paradossale di occultare la città medioevale sottostante, ma al tempo stesso di esaltare dall’alto la presenza dei palazzi. La sopraelevata diventò un’urgenza per il continuo aumento del traffico cittadino. L’amministrazione comunale si vide quasi costretta a intervenire il più celermente possibile. È palese che la struttura è molto criticabile dal punto di vista architettonico e della sovrapposizione in un contesto artistico portuale di tutto l’angiporto. Tuttavia, dopo tanti anni, il percorso della sopraelevata si è dimostrato efficiente e risolve ancora oggi parzialmente il traffico a mare. Sorgono ancora oggi delle polemiche, si discute dei pro e dei contro, ma rimane un’arteria di sei chilometri fondamentale. Per i sostenitori del suo abbattimento rimangono solamente due opportunità: o un tunnel sotterraneo o un alto ponte che sovrasti il porto.”
E se posso dare un giudizio personale, a questo punto…a me la sopraelevata non dispiace affatto!
Immagine di copertina:
Illustrazione di Martina Spanu
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