“Non è tanto il caldo, è l’umidità che ti frega”. E in una città che ha sia uno sia l’altro, oltre a problematiche legate a piogge intense e rischio di alluvioni, che si fa?
Genova è uno dei capoluoghi di regione dove il fenomeno delle isole di calore è maggiormente accentuato in Italia. Abbiamo un centro città molto compatto e impermeabilizzato, mentre tutto il verde urbano è concentrato sulle colline in periferia.
Anche quest’anno c’è stata un’estate con temperature record, come i 39 gradi di luglio, con un incremento degli accessi ospedalieri per sintomi riconducibili al caldo, quali disidratazione e scompensi cardiaci.
Rendere Genova più “sostenibile” non è quindi più solo un obiettivo da ambientalisti fricchettoni, ma è un bisogno urgente per vivere meglio e affrontare gli effetti del cambiamento climatico, ormai inevitabili.
Come fare dunque? Una risposta non c’è, ma delle considerazioni in merito a come la città e il Comune si stanno muovendo vanno fatte.
Il modello “smart”
Se vogliamo collocare questo termine su una linea del tempo, la parola “sostenibilità” è apparsa solo di recente all’interno delle politiche urbane genovesi. Più precisamente, nel 2010, quando il comune vinse tre bandi per finanziare progetti “smart” in città.
Il modello della Smart City, infatti, si basa sull’uso della tecnologia per migliorare la qualità della vita, ad esempio riducendo l’inquinamento e il traffico e facilitando l’economia circolare. E visto che questi obiettivi sono strettamente collegati alla riduzione di emissioni atmosferiche, spesso i termini “smart” e “sostenibile” vengono usati in modo intercambiabile, non sempre in maniera corretta.
Le strategie smart toccano anche altri temi, come ad esempio la digitalizzazione dell’amministrazione pubblica o la facilitazione della partecipazione cittadina attraverso piattaforme digitali.
Nel giro di pochi anni, sono stati realizzati vari progetti attraverso i fondi europei, l’associazione Genova Smart City, ed eventi e conferenze sul tema, come l’annuale Genova Smart Week.
Nel concreto, gran parte delle iniziative si focalizza sul migliorare l’efficienza energetica di edifici pubblici e lampioni stradali, o di elettrificare la rete dei trasporti pubblici e promuovere sistemi alternativi di mobilità sostenibile come il car sharing.
Questa tipologia di progetti rientra nelle strategie di mitigazione del cambiamento climatico, ossia fanno in modo che si riducano le emissioni di gas a effetto serra. Che, per carità, è effettivamente utile: se scuole e ospedali sono poco e mal isolati, chiaramente si spreca un sacco di energia per riscaldare e raffreddare edifici che presentano grosse dispersioni termiche.
Ciò che ci fa però storcere un po’ il naso è l’ossessione per soluzioni ipertecnologiche come panacea per tutti i problemi ambientali.
Nel 2019, durante la quarta edizione della Genova Smart Week è stato redatto il piano Genova città faro, la nuova strategia di sviluppo della città che vede l’urbanizzazione, i cambiamenti demografici, e il cambiamento climatico come le principali sfide e opportunità della città.
E quali sono le soluzioni? Intelligenza artificiale, automazione, robotica, 5G, Big Data.
Se ampliamo lo sguardo, andando a scavare nel nostro passato industriale e da città portuale, si capisce che la città stia da tempo puntando sulla tecnologia e l’high-tech (pensiamo ad esempio al polo degli Erzelli).
E questo bagaglio di capacità ingegneristiche non va mica buttato, anzi, è un bene che l’innovazione tecnologica sia anche volta alla mitigazione del cambiamento climatico.
Ciò che però queste soluzioni smart dimenticano è che le emissioni di gas serra sono solo una parte dei nostri problemi ambientali.
Pensiamo alle onde di calore, alle alluvioni, alle frane, alla biodiversità che sta diminuendo: investire sulle macchine elettriche o in condivisione non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Per questo vogliamo sottolineare che “smart” e “sostenibile” non sono la stessa cosa.
A volte le due visioni si sovrappongono, come ad esempio nel caso di progetti smart sulla resilienza climatica, come lo sviluppo di strumenti digitali per monitorare il rischio alluvione. Ma non è abbastanza.
Crediamo che parte del problema sia che ciò che rende le soluzioni tech così popolari sia che hanno chiari obiettivi economici. Una scuola isolata meglio fa risparmiare sul gas, il car sharing crea un nuovo mercato; piantare più alberi non ha invece dei vantaggi economici cosí immediati sul breve termine.
Eppure, sono proprio queste soluzioni più “verdi”, le cosiddette nature-based solutions, che possono davvero migliorare la qualità di vita, rendendo il territorio più accogliente, fresco, pronto a rispondere agli eventi estremi che saranno sempre più frequenti.
E cosa sta facendo ora Genova a riguardo?
Una svolta verde (o quantomeno, i primi germogli)
In termini assoluti, Genova si conferma tra le città più verdi d’Italia secondo recenti dati ISPRA 7. Il 72% del territorio comunale risulta occupato da superfici verdi; un dato che, preso singolarmente, potrebbe far pensare a una città immersa nella natura.
Ma la realtà è ben diversa quando si osserva come questo verde è distribuito: mentre i bricchi sono pieni di vegetazione e aree verdi del centro urbano sono pressoché inesistenti (articolo di wall:out Genova è la città metropolitana con più territorio ricoperto da alberi*). Queste si fermano a un modesto 11% del totale, e di questo, ben l’8% è rappresentato da giardini privati, non accessibili al pubblico.
Sembra quindi ancora più importante, per quanto complesso, aumentare le zone verdi nel centro. Alcuni esempi virtuosi ci sono.
Contemporaneamente alle iniziative tecnologiche e smart, quasi sottotraccia, a partire dal 2017 la città ha mosso i primi passi nella direzione verso una rinaturalizzazione della città come risposta al cambiamento climatico.
Uno degli interventi meglio riusciti è quello della Caserma Gavoglio; un’ex caserma in stato di abbandono, situata nel quartiere del Lagaccio.
Questo enorme spazio inutilizzato è stato recuperato e trasformato in un parco accessibile, munito di aree gioco e ristoro.
Su wall:out, si era già parlato della Casa di Quartiere e della biblioteca realizzati per il progetto Gavoglio. Agli obiettivi sociali ci sono anche progetti ecologici, che utilizzano soluzioni basate sulla natura per rendere l’area più resiliente.

Tra le varie soluzioni, sono stati realizzati marciapiedi in materiale drenante e giardini della pioggia per gestire l’infiltrazione dell’acqua piovana, sono stati creati muri verdi per migliorare la qualità dell’aria e sonora, e sono stati piantati alberi in pendenza per ridurre il rischio di frane (Foto 2, 3 4, a vostra discrezione).
Tutto questo, con la partecipazione dei residenti, cercando quindi di combinare il piano sociale con quello ecologico.


A parte questo promettente, ma timido, esempio virtuoso, c’è stato un passo un po’ più ambizioso a inizio del 2024, con la stesura con la stesura del Piano del Verde, per la gestione del verde a livello municipale.
Il piano definisce alcune linee guida per promuovere la biodiversità e contrastare gli effetti del cambiamento climatico con strategie come la realizzazione di tetti verdi, bacini idrici, parchi e corridoi verdi e depavimentazione.
Oltre a queste indicazioni di carattere generale, il piano include dei progetti di intervento specifici per ogni municipio.
Molti di questi non sono però in fase di realizzazione, come nel caso del Parco del Polcevera, un ambizioso progetto per rigenerare l’area del Ponte Morandi con parchi, piste ciclabili, e un hub tecnologico.
Al momento, si è conclusa soltanto la Radura della Memoria, in onore delle vittime del crollo del ponte.
Nonostante il bisogno di una strategia dedicata al verde e alla natura in città, non sono mancate le critiche al piano, giudicato frettoloso e superficiale.
Un altro punto di criticità è dovuto alla mancanza di una componente partecipativa, adottando un approccio troppo tecnocratico ed escludendo sia associazioni ambientaliste sia residenti e comitati cittadini.
Questa critica era stata mossa anche da Salis prima delle elezioni.
Il cambio politico della città alza quindi dei punti interrogativi anche nei confronti del verde e della sostenibilità. Cosa ne sarà del Piano del Verde?
Per ora, stiamo a vedere, sperando che alle critiche ad approcci tecnocratici imposti dall’alto segui una strategia verso una città più sostenibile e inclusiva.
Articolo di
Valentina D. e Beatrice G.
Immagine di copertina:
Foto di Valentina D.
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