Quando la scena parla più del gesto. In un’estate che minacciava afa e temporali, il Nervi International Ballet Festival 2025 ha trovato riparo nella accogliente sala del Teatro Carlo Felice.
Ed è lì, lontano dai giardini sospesi sul mare, che il Royal Ballet, diretto da Kevin O’Hare, ha portato in scena A Celebration of the Works of Frederick Ashton.
Un omaggio allo storico fondatore della compagnia fiore all’occhiello della danza britannica, firma coreografica più sensibile della tradizione londinese, la serata è costruita come una costellazione: il tutto reso vivo da un cast di principals di assoluto prestigio, quali Marianela Núñez, Alina Cojocaru, Jakob Feyferlik, Matthew Ball, Mayara Magri, Gary Avis, Valentino Zucchetti, Meaghan Grace Hinkis, Luca Acri, Isabella Gasparini, Sae Maeda
Un repertorio come paesaggio interiore
Il programma si muove con eleganza tra caratteri diversi, attraversando ironia, dramma e puro virtuosismo. Ogni brano pare finemente cesellato nel ritmo e nell’emozione.
L’ouverture è affidata alla prima miniatura, “Swan Lake – Pas de quatre su musiche di Cajkowskij”, rivisitazione del “Il lago dei cigni”, che eccelle per maestria e forza mascolina.
Il momento forse più poetico della serata giunge con il pas de deux “The Dream” (Oberon and Titania’s Reconciliation): rivisitazione del Sogno shakespeariano in un duetto denso di sguardi e distanze, dove il passo si fa linguaggio dell’anima, calibrato su brani di Felix Mendelsshon.
Façade – Tango Paso doble, che subito svela l’ironia asciutta e il gusto musicale di Ashton.
Un cambiamento dell’ultimo momento scuote il programma: “Voices of spring” viene sostituito a causa di un infortunio in prova del danzatore Valentino Zucchetti. Ma quella che poteva sembrare un’assenza, diventa in realtà un dono imprevisto.
In scena prende vita “Five Brahms Waltzes in the manner of Isadora Duncan”, interpretato da una Mayara Magri di rara bravura.
E lì, tra i veli invisibili del ricordo e del presente, qualcosa si accende. Magri danza come se stesse evocando un sogni antico, con la leggerezza di un soffio e la forza di una preghiera.
È un gesto che abbraccia la memoria e trasforma in visione. Le braccia raccontano, il corpo fiorisce, il tempo si ferma. Un’assenza che diventa presenza assoluta.
Con “Marguerite and Armand” su musiche di Franz Liszt si entra in un altro registro: lirico, quasi sospeso.
Creato per Fonteyn e Nureyev e ispirato non solo al melodramma verdiano “La traviata”, ma anche alla malinconica “La Signora delle Camelie” di Dumas.
Entrambi i lavori restituiscono una coreografia che non racconta semplicemente una storia, ma la trasfigura in tensione fisica, in battito trattenuto.
“Rhapsody”, originariamente creato per Mikhail Baryshnikov e Leslie Collier sull’opera di Rachmaninov, si presenta come un esercizio di brillantezza: saltato, sfidante, ma mai puro esibizionismo, danza come eco, come memoria.
Un cast in evoluzione: il 13 luglio e la forza del collettivo
Se la serata del 12 luglio ha visto la straordinaria presenza di Marianela Núñez e Jakob Fejferlik, protagonisti di “Marguerite and Armand”, il giorno successivo il palcoscenico si è illuminato di altre energie.
Il 13 luglio, Marianela Núñez è stata sostituita da Alina Cojocaru nel pas de deux con Jakob Feyferlik e si sono alternate altre brillantissime étoile: Mayara Magri, Gary Avis, Valentino Zucchetti, Meaghan Grace Hinkis, Luca Acri, Isabella Gasparini, Sae Maeda, Daichi Ikarashi.
A loro si è aggiunto un corpo di ballo coeso e un team tecnico di altissimo livello, che hanno garantito continuità di qualità e freschezza interpretativa.
Questo ricambio ha dato al Festival una dimensione ancora più viva e dinamica, confermando la solidità di un ensemble capace di reggere con equilibrio le diverse sfumature di Ashton.


Una serata che racconta un’idea di danza.
Questo omaggio ad Ashton non è solo un tributo al passato, ma un atto d’amore verso una scrittura del corpo che sa essere colta senza risultare fredda, poetica senza cadere nel decorativo.
Il Royal Ballet, con il suo portamento aristocratico e la cura millimetrica del dettaglio, ha saputo restituire quella specificità inglese che Ashton incarna: un equilibrio raro tra misura e abbandono, tra forma e sentimenti.
Forse non tutto ha toccato il cuore allo stesso modo, ma nel complesso la serata è stata un viaggio prezioso.
Uno di quei momenti in cui la danza non ha bisogno di gridare per farsi sentire. Un grand jeté fatto bene o, come accadeva in Ashton, un silenzio coreografico che lascia spazio al battito.
Trovi qui sotto i prossimi spettacoli in programma al Nervi International Ballet Festival.
Immagine di copertina:
Marguerite and Armand ©2018 ROH. Foto di Tristram Kenton
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