Politiche di genere

Politiche di Genere: guida ovvia alle donne lontane dalla politica

Questa non è una guida e soprattutto non è ovvia. Le politiche di genere sono una cosa seria e il mansplaining ha rotto i coglioni (sì, proprio quelli).
8 Marzo 2022
5 min
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Politiche di Genere: R.S.V.P.

Qualche tempo fa vengo invitato, insieme ad altri colleghi amministratori, a una consegna di diplomi. Su circa una trentina di “100” e “100 e lode”, circa una trentina sono ragazze. A consegnare le pergamene, stringere mani e a fare foto per la futura campagna elettorale siamo in nove: cinque uomini e quattro donne. 

Ad incoraggiare le nuove diplomate dicendo loro che saranno la classe dirigente di domani sono (escluso me) tre presidenti di municipio, un vicesindaco e quattro assessore. Colori politici diversi, ruoli e piani istituzionali diversi.

C’è un unico dato in comune. Non importa quanto “locale” sia il livello, quanto “piccolo” sia l’incarico e quanto poco “influente” sia la posizione: nei ruoli apicali ci stanno gli uomini.

Eppure, in ogni stagione elettorale fioriscono liste e candidature che sbandierano la parità di genere come una meta raggiunta prima degli avversari.

La verità è che avere una lista con tante donne è prima di tutto un messaggio: dice al nostro elettorato che siamo attenti ad alcuni temi.

Ma è una sporca bugia.

Politiche di Genere: selezione all’ingresso

Facciamo una premessa: chi sta in cima alla catena di comando decide l’agenda. Non si scappa. A questo si somma la triste realtà che i processi democratici si piegano davanti al peso dell’opinione pubblica. La politica che decideva i temi di cui discutere ha lasciato spazio alla politica che insegue gli argomenti di discussione.

Ecco spiegato perché alcuni temi ci mettono decine di anni per salire in sella all’opinione pubblica e molto spesso non è la politica che spinge questi temi.

Ci accorgiamo che il tartufo ha l’IVA più bassa degli assorbenti? Se l’argomento sopravvive su Facebook più di tre settimane allora forse qualche dirigente o ministro solleverà il problema. Poco conta che ci siano delle deputate che da anni sollevino lo stesso tema.

Come risolviamo questo grattacapo? Candidiamo più donne e avremo maggiori possibilità – almeno su base statistica – di averle in ruoli di potere.

Ma le donne che possono fare la differenza vogliono partecipare alla vita politica di un partito? 

Io credo che la risposta sia no.

I partiti politici e le politiche di genere

La vita di partito, destra, sinistra, centro, alto o basso, è fatta spesso di bizantinismi con poco senso pratico, formalità che sono retaggi preistorici e machiavelliche strategie di lungo termine che poco hanno a che vedere con la vita di tutti i giorni.

Basti pensare ai congressi che hanno sancito il passaggio di leadership a livello generazionale: da Bossi a Salvini, da Bersani a Renzi, da Grillo a Conte: solo nei tre partiti presi in esame (Lega, Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle) le dietrologie a sostegno delle candidature (tutte maschili, naturalmente) si sono sprecate e per mesi sono state alla berlina sugli organi di stampa più interessati al gossip che alla politica.

A queste strutture più o meno complesse si somma, banalmente, la vita quotidiana.

Occorre aprire una parentesi: a questo punto del discorso stiamo dando un po’ di cose per scontate, tipo la disparità salariale, le molestie sul lavoro, i selezionatori che chiedono i progetti di vita e queste cose qui. Non le ripetiamo e non le analizziamo perché sono fatti reali che non dovrebbero essere mai messi in discussione.

Tornando alla vita quotidiana, potremmo riassumere la nostra riflessione con una domanda: chi ha la sbatta di mettersi a scalare una piramide composta prevalentemente da uomini autoreferenziali quando nella realtà di tutti i giorni se ti permetti di essere stanca per le mestruazioni avrai la certezza matematica di sentirti dire “su, quante storie” dal collega con il sorriso smagliante?

Il sistema-partito non offre prospettive a nessuna

Non è molto diverso dall’andare in chiesa, alla fine. Ovunque guardiamo troviamo uomini che spiegano alle donne come vivere, figuriamoci come fare politica. E, credo, che il problema sia proprio qui.

I partiti politici da sempre sono appannaggio maschile, con rare eccezioni lungo la storia e mai sistemiche. E giocoforza “gli esperti” sono per la maggior parte uomini. Se c’è una trasmissione di conoscenze, un passaggio di consegne o un affiancamento, avviene per la stragrande maggioranza dei casi da parte di un uomo nei confronti di una nuova persona.

Un ragazzo appena diplomato, indipendentemente dal voto finale, potrà trovare più attrattivo un partito politico, in prima battuta perchè troverà un “clima di genere” accogliente, probabilmente troverà persone con interessi simili e se porterà la sua passione al servizio della comunità nessuno dirà che è isterico o “in quei giorni”.

Visti i presupposti, per quale ragione una giovane diplomata con 100 e lode dovrebbe volersi iscrivere a un partito?

I partiti non vanno riformati, vanno invasi

Invadere i partiti con una massiccia presenza femminile è l’unico modo per normalizzare le politiche di genere e cancellare abitudini tossiche che non aiutano nessuno se non chi le pratica. Non importa quanti uomini di buona volontà occupino posizioni di rilievo, la politica non può essere lasciata solo a loro.

La realtà dei fatti è che spesso la politica è un sistema chiuso, talmente ripiegato su se stesso che non ha gli strumenti per accorgersi delle mancanze epocali alle quali dovrebbe porre rimedio. C’è davvero bisogno di un punto di vista differente, ma potremmo non essere mai abbastanza consapevoli per capire che certe modalità di far politica devono estinguersi.

Ovviamente può nascere un quesito: se le donne non si iscrivono in massa dentro i partiti, gli uomini sono legittimati a continuare a fare ciò che fanno?

Naturalmente la risposta è no.

Normalizzare, non includere

Come fa, quindi, la politica a diventare attrattiva per le donne? Innanzitutto va affermata una verità imprescindibile: le donne non hanno bisogno di essere incluse. Questo è un approccio maschile al problema, è tossico e va superato. Non c’è nulla che i partiti possano fare che non sembri (o che non sia) una concessione o una qualche forma di “quota rosa” per incentivare la partecipazione.

C’è una cosa, però, che sarebbe d’aiuto: gli uomini devono farsi da parte. Non per una distorta forma di concessione, ma a seguito di un processo di autocoscienza che – ad oggi – siamo purtroppo ancora lontani dal porre in atto. Sembra normale pensare prevalentemente a uomini in ruoli di responsabilità? Beh non lo è.

Anche solo accorgersi di questa dannosa abitudine è un passo avanti nella risoluzione del problema.

Cambia la prospettiva: il vero cuore del problema non è mai stata la mancanza di donne, o di qualunque altra categoria di persone. Il problema è la presenza massiccia dell’uomo nella politica, che non fa altro che auto alimentarsi.

Credo sia fondamentale che la realtà interna dei partiti di oggi si scontri con la realtà che ne sta al di fuori e che i temi di oggi entrino prepotentemente nelle sedi di partito.

Sviluppare una sensibilità condivisa e normalizzare la discussione politica su una serie di temi importanti (dalla parità salariale all’iva sugli assorbenti, passando per un linguaggio inclusivo e tutti quegli altri temi che sarebbero davvero troppi per questo articolo) non è responsabilità di un genere rispetto a un’altro, ma una necessità storica, oltre che sociale. 

Come tutti i processi storici, la normalizzazione della partecipazione politica è un lungo percorso a ostacoli. Serve consapevolezza da parte di tuttɜ.

Immagine di copertina:
wall:in media agency con illustrazione di Martina Spanu


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