Partiamo subito col carico da 90. Avete presente l’energia solare? Quella che da alcuni decenni sta conoscendo ampi sviluppi, arrivando a presentarsi come una valida alternativa a tante fonti energetiche maggiormente inquinanti o di difficile reperimento? Quella che Elon Musk ha messo al centro del suo progetto Solar City (all’interno del gruppo Tesla) per finanziare la progettazione e l’installazione di sistemi di pannelli solari negli Stati Uniti d’America? Quella che vede proliferare nel settore innumerevoli start up in tutto il mondo?
Ecco, quella. Se vi dicessi che uno dei brevetti che hanno dato inizio all’epopea del solare ha avuto origine a Sant’Ilario?
Proprio lì, tra gli ulivi e i terrazzamenti sopra i tetti di Nervi.
Giovanni Francia (1911-1980) è il nome che dobbiamo segnarci
Di origini torinesi, crebbe e studiò in Piemonte. Dopo aver affrontato le dure prove che la vita gli mise sul percorso, tra cui una bocciatura scolastica e la perdita del padre quand’era appena diciottenne, iniziò a nuotare nel vasto oceano dell’età adulta. Decise di iscriversi alla facoltà di matematica, in cui si laureò con buoni voti, prima di divenire insegnante. Inizialmente al Politecnico di Torino (in qualità di assistente), in seguito presso l’Università di Genova, dalla fine degli anni ’30.
Nel frattempo subentrarono dinamiche sconvolgenti per la vita di tutti: nel maggio del 1940 l’Italia entrò in guerra (vedi articolo su d’Annunzio e la sua arringa al popolo italiano, presso Quarto dei Mille), avviando una fase di acute incertezze per tutti gli strati sociali. Nei mesi seguenti la città di Genova si trovò esposta a plurimi bombardamenti aerei, con le unità navali britanniche posizionate al largo del Golfo.
È in questo contesto di enorme agitazione che Giovanni Francia decise di prendere la residenza a Nervi, per questioni di comodità rispetto al luogo di lavoro (pur abitando a 15 km dal centro).
Bisogna attendere altri dieci anni circa, tuttavia, per vederlo giungere con convinzione al campo di applicazione scientifica in cui è riuscito ad offrire il contributo più consistente, quasi inconsapevolmente.
Spinto da una grande passione, dalla curiosità archetipica dell’inventore e da una buona padronanza delle diverse scienze applicate, negli anni Cinquanta del XX secolo ha iniziato a elaborare alcuni modelli per la realizzazione di un assorbitore solare. Il suo obiettivo era riuscire a trovare un sistema efficace che potesse accumulare il calore ricavato dal cielo, così da convertirlo potenzialmente in energia.
Un pioniere, che si muoveva in un’epoca ancorata alle risorse petrolifere. Evidentemente il suo sguardo era rivolto più in avanti. Del resto, non risulta difficile immaginarlo come un uomo capace di soffermarsi a guardare la profondità del panorama, data la localizzazione in cui scelse di sperimentare, proiettata sul mar Ligure da posizione privilegiata.
Sapete infatti dove si trova, ancora oggi, quello che era diventato il suo “laboratorio a cielo aperto”?
Presso l’Istituto di Agraria Bernardo Marsano, in fondo a via alla Scuola di Agricoltura. Nella parte esterna del complesso, ancora oggi, è possibile vedere le schiere di pannelli solari, i macchinari e i supporti che aveva installato per far compiere un balzo in avanti importante al progresso umano.
Si trattava di un sofisticato sistema di specchi, in grado di far convergere i riflessi in direzione di una caldaia. Si trattava di una versione migliorata di quella classica (lineare) fino ad allora utilizzata.
Stando alla definizione tecnica, era un “concentratore puntuale” o a torre. Semplicemente, il prototipo iniziale di una centrale solare.
In venticinque anni, dal 1955 in avanti, fece registrare ben dieci brevetti connessi a questo settore, più altri contributi di notevole impatto scientifico (studiò per esempio a lungo i sistemi di frenatura dei veicoli, giungendo a risultati che hanno influito non poco sulla realizzazione del moderno ABS).
Come a volte succede per i precursori tecnologici, probabilmente i tempi non erano ancora del tutto maturi per poter accogliere con la giusta enfasi le sue invenzioni, almeno in Italia. Questo nonostante che nel 1973 si fosse verificato lo “shock petrolifero”, causato dall’embargo dell’oro nero da parte dell’OPEC (il cartello dei paesi produttori di greggio) in seguito agli sviluppi della Guerra dello Yom Kippur, in Medio Oriente.
Questo squarcio della storia ha per certi versi gettato luce sull’intrinseca dipendenza dai combustibili fossili da parte del cosiddetto mondo sviluppato.
È probabilmente da allora che si è iniziato a studiare con maggiori coscienza e attenzione le possibili fonti di energia alternative.
Il lavoro di Giovanni Francia è stato rilevato da alcune aziende italiane (tra cui l’Ansaldo e l’ENEA) e straniere. È all’estero però che il conseguente sviluppo delle intuizioni di Francia ha raggiunto il vero successo, rappresentando una via capace di aprire nuovi scenari.
È davvero un’assurdità che storie come la sua, che dovrebbero dare lustro alla città di Genova e a tutto il nostro territorio, si trovino invece relegate ai margini della memoria di quartiere. Se vi capita di fare una passeggiata romantica al tramonto in zona Sant’Ilario, provate a imboccare la creuza che sale verso il monte subito prima dell’Istituto Marsano. Dopo pochi metri, costeggiando un muretto tipicamente ligure, riuscirete a vedere sulla vostra destra (sbirciando al di là) ciò che è rimasto della centrale solare di Giovanni Francia. Un piemontese trapiantato a Zena.
Forse, chissà, oltre a trovare la donna della sua vita (Anna Colli, sposata nel 1944), si era pure innamorato dei colori e degli odori della nostra terra.
Un inventore, nel senso più disneyano che ci possa venire in mente, a cui finora non abbiamo mai saputo riconoscere la giusta attenzione.
(Fondazione Micheletti: Presentazione del fondo Giovanni Francia)
Speriamo che Wall:Out possa aver lanciato un altro dei suoi sassi nello stagno.
Immagine di copertina:
Sant’Ilario. Foto di Pietro B.
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