Come forse avrai visto il 5, l’8 e il 15 Giugno c’è stata la manifestazione infermieri a Genova e in molte città italiane. Lo faranno ancora se non vedranno riconosciute le proprie richieste: una lista di dieci punti che mirano al riconoscimento professionale della loro categoria.
Hanno ragione a manifestare?
Ti racconterò una storia, così potrai farti la tua idea. Questa storia parla di come si lavora negli ospedali, in particolare nel San Martino di Genova.
È la mia storia, il punto di vista è quindi soggettivo, ma ti permetterà di capire in quali condizioni, come professionisti sanitari, ci troviamo ogni giorno a lavorare.
Emergenza Covid ed emergenze di tutti i giorni
Durante l’emergenza da Covid-19 gli sforzi di alcuni nostri colleghi medici, infermieri e operatori sanitari sono stati enormi. È stata una condizione straordinaria, che ha imposto loro ritmi esagerati e li ha provati emotivamente. Ma questa situazione ha solo accentuato dei problemi che erano già presenti, con cui conviviamo quotidianamente ormai da anni.
La situazione degli ospedali spiega la manifestazione degli infermieri a Genova
Personale ridotto per coprire i turni, orari massacranti, difficoltà ad andare in ferie, ore di straordinario non retribuite. La vita è il bene più importante che esista, ma i professionisti che cercano di tutelarla non sono riconosciuti.
Quando mi sono ritrovato a parlare con colleghi specializzandi o strutturati che lavorano al San Martino, quasi tutti mi hanno detto la stessa cosa: siamo oberati da turni massacranti e ci troviamo a lavorare in condizioni impossibili.
Per mantenere alta la qualità del servizio che prestiamo, per salvaguardare la salute, ci troviamo spesso a fare salti mortali, a lavorare con dispositivi che non funzionano o mancano e in strutture inadeguate.
La vita è troppo importante, per questo non ci arrendiamo e ci sacrifichiamo, nonostante il sistema non ci aiuti.
Nel nostro sistema sanitario siamo costretti a lavorare più di quando dovremmo, arrangiarci per la scarsità di farmaci, la mancanza di dispositivi di protezione individuale, coprire più turni del previsto, lavorare con pochi computer malfunzionanti, e sopperire alle carenze strutturali dei luoghi di lavoro.
Obiettivi di efficienza economica e investimenti in ambito sanitario
Questo accade perché gli obiettivi aziendali sono tarati sull’efficienza economica, sul risparmiare il più possibile invece che sull’erogare un servizio di qualità, quindi ci troviamo obbligati a sovraccaricarci per mantenere certi standard.
Per carità è corretto pensare anche all’efficienza economica, ma non a scapito della qualità delle prestazioni, anche perché paradossalmente in questo modo i costi aumentano. L’idea di risparmiare e basta rischia di infatti di produrre più sprechi di quanti ne prevenga realmente.
Per ridurre i costi e mantenere un servizio di qualità occorrerebbe investire nel Sistema Sanitario invece che continuare a fare tagli.
Quanti fondi si sarebbero potuti risparmiare investendo nel nostro Sistema Sanitario Nazionale prima del Covid? E forse anche, quante vite? Non sono i pazienti gravi che ci mandano in burn-out, quanto il lavorare senza mezzi e strutture adeguate per il servizio che vorremmo erogare.
Credetemi, ci frustra il dover lavorare in cinque con due computer che si bloccano e ci fanno perdere tempo prezioso, non il dedicare attenzione ai pazienti. Gestire il peso emotivo della relazione con un paziente sofferente è il nostro lavoro, ma improvvisarci idraulici, tecnici informatici o muratori no.
Impegnarsi in un ambiente che non ti tutela, che non riconosce i tuoi sforzi e talvolta rischia di vanificarli, è questa la cosa che più ci abbatte.
Il perché della manifestazione degli infermieri a Genova, e non solo
La situazione negli ospedali a Genova e anche nelle altre città italiane non è per niente facile.
Gli infermieri stanno manifestando perché, come tanti altri professionisti sanitari, lavorano in condizioni non accettabili.
Ci avete chiamato eroi con affetto, ci avete applaudito con riconoscenza e con gratitudine sincere, avete appeso striscioni per noi, ma ora vi chiediamo di aiutarci ancora di più, ricordarvi di come siamo costretti a lavorare, non solo nell’emergenza, ma ogni giorno.
Non vogliamo essere eroi, ma professionisti riconosciuti e valorizzati. La nostra è una professione, non una missione.
Immagine di copertina:
Foto di Luis Melendez
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