Molti mesi e altrettante esposizioni separano gli appassionati d’arte moderna dal ritorno di Pieter Paul Rubens, annunciato tramite l’hashtag #GenovaRubens, nelle sale di Palazzo Ducale in piazza Matteotti. Luogo geografico che, a dire la verità, il maestro fiammingo non ha mai abbandonato.
Sebbene l’ultima forte apparizione dell’artista in questo spazio museale risalga al 2004, anno in cui la città fu capitale europea della cultura, due straordinari lavori infatti sono, quasi da sempre, parte di un edificio compreso nello stesso angolo di centro storico. Si tratta di Chiesa del Gesù e dei Santi Ambrogio e Andrea, classe 1552 — momento in cui venne posta la prima pietra per la sua costruzione.
La prorompente facciata barocca è solo un leggero antipasto di quanto si può apprezzare varcando l’ingresso della struttura: un’esplosione dorata dalla quale emergono sfavillanti capolavori di Guido Reni (del quale il suo iconico San Sebastiano è stato già da noi analizzato nell’articolo Icone Sante, Icone Gay), Simon Vouet e di Bernardo Castello, solo per citarne alcuni.
E Rubens?
Il pittore di Siegen, anch’egli autore di una propria versione del San Sebastiano, lega indissolubilmente il proprio genio a questi ambienti con ben due opere che giganteggiano rispettivamente tra navata sinistra e altare maggiore.
Miracoli di Sant’Ignazio di Loyola
La prima tela, Miracoli di Sant’Ignazio di Loyola (della quale è disponibile un amabile santino, adeguato sostituto della canonica cartolina acquistabile post-mostra in ogni bookshop) ritrae il religioso, ex-combattente, intento contemporaneamente a praticare un esorcismo e a guarire un’anziana. Un dinamismo, questo, enfatizzato dall’accentuata gestualità che contraddistingue il soggetto raffigurato, dovuto alla volontà di narrare simultaneamente più episodi di fede che caratterizzano la sua agiografia.
Oltre alla fisicità delle figure, riunite in un complesso che col proprio movimento congiunto pare quasi franare su chi dal basso l’osserva, sono soprattutto i colori dei tessuti a rapire con la propria lucentezza lo sguardo di visitatori e visitatrici. Drammatici sono quelli che contraddistinguono coloro che ricevono aiuto da un Ignazio che, brillante, deve il proprio calore alle tonalità della veste.
Circoncisione
Il percorso trova però il suo apice emotivo solo nel secondo olio di Rubens nel quale ci si imbatte: Circoncisione, del 1605. Uno dei momenti più fisici della vicenda di Cristo in terra, ispiratore, anche per questo motivo, di versioni antitetiche della medesima scena nel corso del Cinquecento, a firma di — tra gli altri — due manieristi quali Parmigianino e Luca Longhi.
A sorprendere e rendere indimenticabile il dipinto conservato a Genova è nuovamente l’umanità delle personalità coinvolte, che trova la sua massima espressione nell’apprensione che Maria non fa nulla per dissimulare. La Vergine in quel momento è soprattutto una mamma che volta repentinamente il viso dall’incisione che il sommo sacerdote incaricato sta adoperando a colui che, nello stesso istante, ci appare come il suo bambino e solo in un secondo momento come il figlio di Dio.
Una scena intima, familiare, alla quale inevitabilmente ci si avverte come ficcanaso. Così non fosse, un monito a distogliere lo sguardo arriverebbe direttamente da un personaggio, tutt’altro che secondario (trovandosi davanti a tutti gli altri), parte della rappresentazione. In basso a sinistra è impossibile infatti non notare, nonostante la ridotta statura dettata dalla giovane età, l’occhiata di biasimo d’un bimbo teso a coglierci in flagrante.
Adottare l’ottica della chiesa come museo (recentemente promossa anche dal critico d’arte Tomaso Montanari) anziché come esclusivo luogo di culto, permette di vivere esperienze altresì non replicabili. In questo caso, per esempio, si può intraprendere un avvicinamento unico e dal valore inestimabile a una grande mostra in programma solo a fine 2022.
Un’anteprima fiamminga, quella garantita da Chiesa del Gesù, che se non altro presenta una coppia di capolavori originali dell’artista. Dettaglio che risulta purtroppo ormai impossibile dare per scontato, tenendo in considerazione come appena una manciata di mesi fa il celebre Sansone e Dalila attribuito a Rubens e proprietà della National Gallery di Londra dal 1980 si sia rivelato, grazie all’intelligenza artificiale, un clamoroso falso.
Immagine di copertina:
Miracoli di Sant’Ignazio di Loyola – Dettaglio (1619-1620), Pieter Paul Rubens. Immagine Wikimedia Commons
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