L’Italia non è solita alzare la voce nelle questioni di politica estera ed è ancora più apatica quando si tratta della Palestina. Eppure, di recente, è riuscita ad attirare le critiche dell’ambasciata israeliana a Roma. Il 20 dicembre, il Comitato permanente sui diritti umani nel mondo della Commissione Esteri della Camera ha condotto l’audizione di due organizzazioni palestinesi, parte delle sei ONG che Israele il 19 ottobre ha designato come “terroristiche” senza fornire ancora alcuna prova.
Sahar Francis, direttrice di Addameer, e Shawan Jabarin, direttore di Al-Haq, auditi in videoconferenza, hanno raccontato come la decisione di Israele sia stata il culmine di una serie di diffamazioni, intimidazioni e violenze che durano da anni – come riportato dalla Relatrice ONU sulla Situazione dei Difensori dei Diritti Umani – includendo anche “mezzi mafiosi, come le corone funebri davanti alle porte di casa”.
Allora perché un’accusa così grave e perché proprio ora?
La recente decisione del Tribunale Penale Internazionale di aprire un’indagine sui territori palestinesi ha spinto Israele a rendere queste ONG illegali, così da privare la Corte di alcune delle sue principali fonti di informazione. Già nel 2016, l’ex Procuratore aveva affermato che alcune organizzazioni per loro rilevanti, inclusa Al-Haq, erano state oggetto di gravi intimidazioni.
La “colpa” di queste ONG è la natura stessa del loro lavoro: la trasparenza e la visibilità internazionale.
Quello che infastidisce Israele è il solleticamento delle coscienze mondiali, il bussare alla porta del mondo con in mano le prove delle violenze subite, l’essere sbugiardato agli occhi della società civile globale con una trasparenza che questo Stato invece non può esibire. La segretezza, per Israele, è la base, perché la segretezza è alla base dell’impunità. Anche queste gravi accuse si basano su “dossier segreti”, come spesso accade, così che i palestinesi non possano difendersi in un giusto processo.
Il privilegio israeliano di segretezza e infondatezza sta però vacillando poiché sempre più soggetti internazionali stanno riconoscendo ciò che i palestinesi denunciano da decenni e così “un’ambasciata si permette di interferire con le attività di un Parlamento sovrano”, come commentato dalla Presidente del Comitato Laura Boldrini.
Jabarin ha spiegato:
“Noi abbiamo avuto successo nella narrazione. Non è neanche un’occupazione ordinaria, è un sistema di apartheid coloniale. Le organizzazioni dei diritti umani di tutto il mondo sono tutte arrivate a questa conclusione: è un regime coloniale che si somma all’occupazione.”
Stando al diritto internazionale, Israele non può sottoporre i territori occupati al proprio ordinamento civile. Queste sei ONG palestinesi sono sottoposte alla giurisdizione dell’Autorità Palestinese in Area A, eppure Israele pensa di avere il potere e la giurisdizione di dichiararle illegali, forte del suo potere coloniale.
“Che cosa rimane allora alla Palestina? Che cosa hanno lasciato al governo palestinese?” ha chiesto Francis, “Che genere di autodeterminazione dei palestinesi abbiamo in mente se Israele si comporta come padrone dell’intera area israelo-palestinese?”.
Il desiderio di zittire
Una seconda ragione è data dal desiderio di zittire ancora più facilmente qualsiasi soggetto scomodo, come accaduto in Cina, la quale, con una nuova legge sulla “sicurezza nazionale”, ha costretto Amnesty International a chiudere i suoi uffici di Hong Kong. È fondamentale notare lo stesso schema in Cina come in Israele, evitando di usare due pesi e due misure come l’Occidente è solito fare.
Entrambe le personalità hanno chiesto all’Italia di non trattare Israele “in modo eccezionale”. Jabarin ha esposto il valore che ha il diritto internazionale per i palestinesi, posto che sia un diritto incorrotto.
“Noi lavoriamo in questo campo cercando di mantenere la speranza nella mente delle vittime. Immaginate se domani io e la collega organizzassimo una conferenza per dire ai giovani palestinesi di non credere al diritto internazionale, che è uno spreco, visto che lo usano come un bastone nelle mani dei potenti per picchiarci. Immaginate cosa succederebbe nella mente delle persone se si arrivasse alla conclusione che il diritto internazionale non vale per Israele e che quindi possono fare come vogliono per proteggere i propri diritti”.
Non si è fatta attendere una nota dell’ambasciata israeliana che si è detta “scioccata” per l’invito di “due organizzazioni terroristiche”. Un’audizione sui diritti umani è diventata un ennesimo campo di battaglia per Israele. Jabarin ha terminato dicendo che “i terroristi non possono dare del terrorista agli altri”, mentre l’ambasciata ha sostenuto a sua volta che “i terroristi non possono dare lezioni alle democrazie sui diritti umani”.
L’etichetta di terrorista vola come un sasso nell’area israelo-palestinese, dove l’arma più forte è la narrazione e lo scenario è il mondo intero, quando sceglie di guardare. Ma è ora che l’Occidente veda la sproporzione dei mezzi, delle narrazioni e delle conseguenze sui civili, che distingua chi viene tacciato di terrorismo da chi lo pratica quotidianamente.
Immagine di copertina:
Foto di Michela Pugliese
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