Nella penisola del Sinai, un sottile lembo di terra si affaccia sul Mar Mediterraneo. Nella porzione più occidentale dei territori palestinesi nel sud-ovest asiatico, la Striscia di Gaza si estende su una superficie di 360 chilometri quadrati e confina con Egitto e Israele.
Anticamente regnata dagli Egizi e successivamente dai Filistei, Gaza fu conquistata da Alessandro Magno e divenne centro della cultura greca dopo la sua ricostruzione nel primo secolo a.C. Governata dagli Arabi, dai Saraceni, dai crociati, dagli ottomani, dall’Impero Britannico, dall’Egitto e, dal 1967, da Israele, passò in mano palestinese nel 2005 dove tuttora è teatro di incessanti scontri violenti.
La sua storia è il racconto di una terra, la cui meravigliosa ricchezza culturale viene da tempo oscurata da un cielo di razzi e da un clima di costante tensione; il fuoco della guerra sembra essere l’unico retaggio della vita millenaria di questa terra e dell’antica città di Gaza.
Eppure, il Museo Culturale Al Qarara si erige a difesa della storia di questi luoghi: una città oltre la guerra, una storia oltre il dolore, un passato oltre il presente
“Il primo museo privato della Striscia di Gaza possiede non solo artefatti provenienti da sei millenni di cultura locale. In esposizione vi sono gli ingredienti dell’identità – e un senso di appartenenza alla terra.” (The Cristian Science Monitor)
Così, i fondatori del museo Mohamed e Najla Abu Lahia hanno fatto dell’archeologia la porta per un mondo dimenticato, il mondo della Storia di Gaza. Questo è ciò che emerge dalle parole del giovane Mohamed Abu Said:
“L’arte e l’archeologia aiutano a interpretare il passato e ci offrono una nuova consapevolezza”
Mentre la guerra infuria e il tempo tiranno fa perdere la rotta, non resta che volgere lo sguardo al passato, ripercorrere i passi tracciati dai nostri antenati, avere fede nella Storia e nelle meraviglie del ricordo, per capire chi siamo guardando a ciò che siamo stati.
“La mia visita [al museo] ha rimodellato la mia comprensione della storia di Gaza e una identità culturale unica di cui sono molto fiero”, afferma Shahad Safi, amico di Said; “dovremmo tutti essere consapevoli della nostra storia in modo da difendere il nostro diritto di abitare questa terra.”
Mohamed e Najila, con la decisione di documentare e preservare i preziosi reperti archeologici della loro terra, hanno creato un’oasi di salvaguardia e protezione del ricco patrimonio culturale della Striscia di Gaza.
Nel museo di Al Qarara, sei millenni possono essere ripercorsi osservando artefatti di ogni epoca esposti uno accanto all’altro, come ad indicare un’identità culturale attraverso una fluida percezione della Storia. Ceramiche cananee, monete romane, mosaici bizantini, spade crociate, vesti tradizionali palestinesi, moderni utensili: il museo offre un’esposizione variegata negli artefatti e nella loro datazione.
Grazie alla cooperazione con il Ministero del Turismo e delle Antichità dell’Autorità Palestinese, Mohamed e Najila hanno viaggiato per la Striscia di Gaza, ricercando donazioni e collezionando i reperti che oggi si ha la fortuna di poter ammirare all’interno del primo museo privato di Gaza e secondo museo nella intera Striscia.
“Puntiamo a inviare un messaggio, che questa parte tormentata della Palestina non è solo un nome sinonimo di immagini di violenza, guerre, embarghi e instabilità politica, ma anche di un luogo con una storia lunga e ricca che vale la pena visitare”, afferma Isam Abdel Ghafour, membro del consiglio di amministrazione del museo.
Un’affermazione da cui si evince un desiderio comune degli abitanti di Al Qarara di partecipare attivamente all’arricchimento della collezione del museo. I fondatori del museo e i suoi sostenitori desiderano ardentemente utilizzare la Storia come mezzo per riappropriarsi di un’identità culturale, che non può andare perduta, e offrire al popolo palestinese, e non solo, una narrazione alternativa su Gaza “enfatizzando i diritti [della sua popolazione] su una terra martoriata dalla politica moderna e dalla guerra.”
Immagine di copertina:
Foto di Thomas Bormans
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