Il boato delle esplosioni ha squarciato la notte di Jenin, città che ancora porta i segni dei conflitti passati. Tra il 3 e il 5 luglio di quest’anno, un raid distruttivo delle forze di difesa israeliane ha colpito la città, trasformandola in un campo di battaglia e rinfocolando la memoria del massacro avvenuto nel 2002.
Le autorità israeliane affermano di aver preso di mira elementi terroristici attivi nella zona, ma le voci dei residenti raccontano di un attacco indiscriminato contro una comunità già provata da decenni di occupazione. Una città in stato di shock, un crocevia di dolore e rabbia, un esodo di migliaia di palestinesi nel cuore della Cisgiordania.
Jenin, simbolo di resistenza per i palestinesi, si prepara ad affrontare una nuova, estenuante sfida di sopravvivenza.
Tuttavia, questa volta l’orrore della guerra ha prodotto scorie più insidiose, instillando nella popolazione una crescente sfiducia verso la leadership palestinese. Molteplici gli atti di accusa, che vedono Abu Mazen come imputato principale e l’intera Autorità Palestinese in bilico.
L’impasse negoziale e il peso della stagnazione
Il futuro di Jenin è incerto, e le parole del Presidente dell’Autorità Palestinese non hanno rassicurato la popolazione. Abu Mazen ha fatto visita al campo profughi di Jenin una settimana dopo il raid israeliano, la sua prima visita alla città dal 2012.
Avvertito ormai come una lontana eco del ruolo che ancora riveste, è stato trattato più come ospite che come leader.
Nonostante le grandi aspettative, dovute in gran parte al sentito desiderio della popolazione di trovare conforto in una guida propositiva, l’intervento demagogico di Abu Mazen si è rivelato inefficace e difforme dalle attese.
“Siamo venuti qua per ribadire: siamo un’Autorità sola, uno Stato solo, una sola legge, una sola sicurezza. Taglieremo le mani a chi cercherà di manomettere l’unità e la sicurezza del nostro popolo”.
– ANSA.IT
Così riecheggiano tra la folla le promesse del Presidente, percepite come vacue dalla maggioranza di una comunità martoriata che potrebbe beneficiare, ora più che mai, di un impegno reale, serrato e costante da parte della Autorità Palestinese.
Così fallisce il tentativo di Abu Mazen di mostrare forza e infondere sicurezza.
Quello che poteva essere un prezioso momento di dialogo si è trasformato in un’esplosione di malcontento generale verso un leader sordo alle pressanti esigenze del suo popolo. Il processo negoziale ha perso slancio ormai da tempo, lasciando la politica palestinese in una fase di stagnazione.
E così, l’orrore provocato dal raid si mescola alla frustrazione di vedere sempre più lontano il tempo dei diritti e dell’autodeterminazione. A 88 anni Abu Mazen è a capo dell’Autorità Palestinese, Fatah e l’Olp; ha in mano il potere esecutivo, legislativo e giudiziario e sembra non avere intenzione di passare il testimone.
Nuova generazione, vecchia leadership
Con Abu Mazen in piena crisi di consensi, il popolo palestinese si trova tra il desiderio di un futuro accettabile e una profonda sfiducia verso l’attuale leadership.
Le divisioni politiche interne tra Fatah e Hamas aumentano la frustrazione di una popolazione che da troppo tempo è sottoposta a occupazione militare e restrizioni di movimento. E la spirale di violenza che negli ultimi anni infiamma il conflitto israelo-palestinese non accenna a fermarsi.
Il caos politico in cui versa la Palestina rende quindi urgente un cambiamento concreto. Questo potrà avvenire solo con una nuova guida del Paese, capace di comprendere e soddisfare le esigenze delle nuove generazioni.
Tempo di cambiare
È arrivato il momento di cambiare rotta, e timoniere. Il raid di Jenin ha messo a nudo i problemi della leadership palestinese, evidenziando la necessità di una riflessione critica sulla politica interna del Paese.
Una politica coerente e una governance proficua dovranno costituire una chiara agenda per la tutela dei diritti e degli interessi di un popolo che si sente dimenticato dalle potenze mondiali e tradito dai suoi stessi rappresentanti.
Quando il testimone di Abu Mazen verrà ceduto, sarà essenziale assicurare una transizione democratica attraverso libere elezioni presidenziali, così da garantirne la piena legittimazione da parte del popolo palestinese.
Articolo di
Marta Lioce
Immagine di copertina:
Foto di Markus Spiske
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