È il primo 25 aprile senza Rosa Silvia Pentore, detta Ilva, staffetta partigiana di San Luca, che ci ha lasciato a 98 anni proprio nei primi giorni di aprile.
Ho avuto il piacere di intervistarla sulla sua storia nel giugno dello scorso anno e, nonostante abbia meno di trent’anni e dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ne siano passati ormai quasi ottanta, il suo racconto mi ha trasportato indietro nel tempo, facendomi comprendere a pieno il valore della Resistenza.
Non solo quella di via Rasella, degli incontri clandestini tra partigiani e Alleati, della liberazione di Milano o delle imprese di Aldo Gastaldi. La resistenza portata avanti da Ilva e da migliaia di altre persone comuni era innanzitutto la decisione di non accettare più le cose come stavano.
Dalla parte giusta della Storia
A casa di Ilva, nel profondo entroterra tra Liguria e Piemonte, probabilmente negli anni Trenta e Quaranta non si parlava degli sviluppi nella Russia di Stalin, del New Deal di Roosevelt o della strategia dei paesi democratici nei confronti dell’espansionismo di Hitler, ma una cosa la si era capita: vent’anni di regime fascista erano troppi anche per quella piccola comunità campagnola, con meno abitanti di quanti oggi ne potrebbe avere un condominio e a ore di distanza da qualsiasi città.
Non è però il peggioramento delle proprie condizioni di vita a spingere Ilva, ma il senso di giustizia e, come mi disse lei stessa, il suo essere un po’ “peperina”.
Il giorno che i partigiani arrivarono a casa sua alla ricerca di una staffetta, gli uomini della sua famiglia si tirarono indietro, ma lei decise di andare. Il suo ruolo era quello di portare messaggi e informazioni mettendo in collegamento la provincia di Alessandria con quella di Genova, con un pizzino in tasca sempre pronto per essere ingerito alla prima avvisaglia di pericolo.
Non sapeva nemmeno cosa stesse portando; aveva semplicemente fatto una scelta che all’epoca in pochi avevano coraggio di fare, ma che già allora ti posizionava senza dubbio dalla parte giusta della Storia.
Avrebbe potuto tradire. Avrebbe potuto portare uno di quei pizzini al primo comando nazifascita e magari ottenere in premio un po’ di cibo, qualche utensile o qualsiasi cosa che, nel suo povero mondo, avrebbe avuto il valore di un diamante.
Preferì invece andare avanti, camminare per ore con il cuore pieno di paura, ma soprattutto di quei valori di giustizia che si esprimono al meglio a meno di vent’anni, quando si inizia a comprendere il Mondo e, con una certa dose di ingenuità, lo si vuole trasformare in un solo colpo.
L’innocenza mista ad ardore di Ilva la riconosciamo ancora oggi e la vediamo nelle ragazze che combattono le loro battaglie politiche. Mai ci immagineremmo, però che qualcuno sarebbe disposto a mettere in pericolo la loro vita solo per quelle idee.
Il pericolo della morte
Parlare con Ilva mi ha fatto comprendere ancora una volta quanto questo non sia scontato: il momento di maggior terrore nella sua esperienza partigiana è stato proprio il pericolo di morte.
Indicata con un cenno da un informatore, un giorno è stata inseguita per ore nei boschi da due spie fasciste, con una fuga terminata solo a Genova. Niente domande, niente arresto, niente interrogatorio, perfino niente tortura.
Hanno tirato fuori le pistole e hanno iniziato a sparare.
Raccontare quella fuga rocambolesca con parole diverse rispetto a quelle di Ilva non renderebbe onore alla storia, sappiate solo che, per fortuna, si è salvata e ha potuto raccontarcelo, a differenza di tanti uomini e donne i cui corpi sono rimasti abbandonati, uccisi a sangue freddo nei boschi e nelle città, nei campi e sulle montagne, solo perché il loro essere “peperini” e il loro ideale di giustizia li avevano resi pronti al sacrificio supremo.
Essere partigiani
Essere partigiani non significa solo prendere le armi contro i fascisti o portare informazioni. Significa lottare per costruire una società democratica più giusta, dove si combattono le disuguaglianze e si fa di tutto per lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo migliore.
Ilva è stata partigiana fino alla fine, con il lavoro nelle fabbriche dopo la guerra, in un’epoca in cui le donne subivano molte più discriminazioni di oggi, con la sua meravigliosa famiglia, cresciuta trasmettendo i valori più importanti, con la sua forza di volontà, che a 97 anni l’ha spinta a sedersi al tavolo con me per più di due ore per tramandare ancora per anni e anni una storia che non andrà mai dimenticata.
Non la ringrazierò mai abbastanza per questo.
Immagine di copertina:
La signora Ilva Pentore. Foto di Massimo T.
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