Nota di redazione: con questo articolo la rubrica Bordi in stile narrativo esplora un tema sociale, promuovendo la riflessione e lo sviluppo di senso critico, invitando infine a una piccola ma incisiva azione. |
Le favole sono più che vere; non perché raccontano che esistono i draghi, ma perché ci dicono che i draghi possono essere sconfitti.
G. K. Chesterton
È il 27 dicembre 1904 e a Londra, per la prima volta, va in scena una commedia.
Un trionfo. E un equivoco.
Il trionfo sta nelle innumerevoli rielaborazioni letterarie, cinematografiche, di animazione, che si sono prodotte fino a oggi. L’equivoco, invece, risale proprio a questo testo del 1904, quello in cui il protagonista della commedia incarna un demone androgino, immaturo e archetipo patologico della complessità moderna.
Questa incarnazione avrà vita breve, cioè non oltre l’opera teatrale: tutti i “Boys who Wouldn’t Grow Up” successivi patiranno un’etichetta doppiamente sciocca. Una storia per bambini.
Le scene di apertura dei cinque atti di cui si compone la commedia sono una sorta di guida verso il mondo descritto dall’autore e, narrativamente parlando, sembrano un viottolo vittoriano da seguire con zoppicante fiducia, per arrivare dentro una camera da letto, poco prima di dormire.
Qui, però, nessuno sta dormendo. Anzi, si sta raccontando una storia che racconta di una storia. Reale. Non c’è nulla da ascoltare, c’è solo da guardare la scena; e anche intorno a sé.
SIPARIO
IL PAESE CHE C’E’
(La struttura, la forma di testo teatrale e le scene descritte sono liberamente tratte da J. M. Barrie, Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere, op. cit.; in particolar modo dall’Atto II e dall’Atto I.)
Quando il sipario si alza, la scena è talmente buia che ci si accorge appena che si è alzato. Questo perché se si vedesse l’edificio all’improvviso il suo abbaglio potrebbe danneggiare gli occhi. Se gli spettatori venissero tutti con gli occhiali da sole forse potrebbero vederlo esplodere, ma mettere una regola simile sarebbe un peccato.
Porte blindate, ermetiche, senza spiragli né vedute; come uno specchio che, ogniqualvolta qualcuno provi a illuminare per conoscerne le dinamiche e le strutture, quanta luce venga investita su di esso, altrettanta questo ne riflette all’origine. Un ermetismo silenzioso, che per non farsi vedere, acceca.
Ciò che vedete è il Paese Che C’è. L’avete già intravisto a metà prima d’ora, o forse anche per tre quarti, dopo che le lampade da notte erano accese, e sareste forse anche riusciti a sentirlo, nelle notti d’estate povere di rumori, se ogni volta non vi foste girati dall’altra parte del mondo.
Direi perfino che vi avete gettato molte paure, quelle stesse che non riuscite a governare e preferite guardare colpire gli altri per farvi sentire un poco migliori, almeno di qualcuno. Durante il giorno pensate che il Paese Che C’è sia soltanto una leggenda, i cui abitanti esistono socialmente solo all’entrata e all’uscita, e così la pensano quelli come voi, o forse noi, sicuramente loro; ma questo è il Paese Che C’è e Si Vede. Adesso.
Gianni Dove si possono trovare le persone perdute?
Michele I ragazzi perduti, vorrai dire…
Gianni Beh, sì…quasi sempre sono ragazzi ma anche ragazze, di tanto in tanto.
Wendy Gianni! Michele! Basta con queste storie, lasciate stare i persi. Se stanno laggiù un motivo c’è e lo sapete bene. Meglio non sapere dove stanno.
Peter lascia andare avanti la sua ombra, poi le dà voce nascosto dietro un armadio della camera, come fosse una marionetta.
Peter Ti sbagli, sono i Lost Boys, quelli che cadono per la strada mentre i governanti guardano da un’altra parte.
Wendy (stando al gioco) E nessuno di loro è una ragazza?
Peter Solo alcune. Sai, le ragazze sono troppo in gamba per cadere per la strada.
Gianni e Michele, intanto, sono risaliti a Peter rincorrendo il filo di voce spavaldo.
Gianni e Michele (all’unisono in un agguato) E tu sei il capitano del Paese Che C’è!
Peter vola via sul soffitto; solo la sua ombra si spaventa, nascondendosi dietro al legittimo proprietario.
Wendy Oh Peter, che bello vederti, sembra quasi di sognare!
Peter Io ci sono sempre stato, stavo alla finestra.
Indica la finestra, l’ombra annuisce e mima un brivido in ricordo delle ore trascorse là fuori.
Wendy E perché venivi fino alla finestra?
Peter Cercavo di ascoltare delle storie, delle vite, dei racconti. Da portare nel Paese Che C’è. Laggiù si raccontano sempre le stesse storie, e non hanno né più fascino né più utilità del suono delle lancette tra le pareti. E poi arrivano già masticate, come pappette per bambini. Noi abbiamo bisogno di storie per vivere, non per dormire.
Wendy Nostra madre sarebbe d’accordo, tutto ciò è terribile! Perché mai dovrebbero tenere i racconti fuori dal Paese Che C’è?
Peter e l’ombra tornano sul pavimento.
Peter Per condannarci ad accumulare sensazioni di isolamento dagli altri; e di fallimento; così, quando rientriamo nel Paese Che C’è e Si Vede, cioè qui, tutti possono sentirsi migliori di noi… perché in fondo, questa, è una società dotata di assai poca pazienza con gli adulti che si comportano da bambini.
A questo punto l’ombra, Gianni e Michele, sono scorsi da un lungo brivido.
Peter Sapete perché le rondini costruiscono i nidi sui cornicioni delle case?
Scrollano tutti la testa in sincronia.
Peter Per ascoltare le storie.
Peter chiude gli occhi, tira fuori la bussola nascosta dentro il cappello. Poi, guarda i bambini seduti davanti a lui. L’ombra si sdraia come fosse un’amaca tra il pomo del letto di Michele e quello poco distante di Gianni. Arriva Campanellino, che si adagia seduta, in consolidata complicità, sull’ombra.
Peter Wendy, vostra mamma vi stava raccontando una storia di grande civiltà, sapete?
Wendy A che storia ti riferisci?
Peter La storia di una città che ha deciso di nascondere le sue prigioni attraverso un trucchetto, quello della psicologia della Gestalt.
Wendy, Gianni, Michele – e anche l’ombra – hanno la stessa espressione di voi spettatori.
Peter Avete presente il Triangolo di Kanizsa? È un’illusione ottica per la quale si crede di vedere due triangoli, uno sovrapposto all’altro, che però, in realtà (proprio come noi), non esistono. Questo perché il nostro cervello ha la tendenza innata a vedere sempre e solo la coppia figura-sfondo.
Gianni Quindi il nostro cervello crea qualcosa che non esiste?
Peter Esattamente! Per lui non c’è una figura senza sfondo.
Campanellino sorride compiaciuta.
Peter E allo stesso modo, molto spesso, non vede ciò che esiste, nascondendo la figura dentro lo sfondo, come un albero in mezzo a un bosco. Perché ciò che il cervello vedrà è un bosco nel suo insieme e, difficilmente, incontrerà lo specifico albero.
Gianni e Michele (all’unisono) Dovrebbe essere segnalato, mettere un cartello all’ingresso del bosco!
Wendy Sì! Ma a ogni ingresso del bosco!
Si spengono le luci sul palcoscenico. Si sentono solo i passi di Peter che cammina verso la platea. Scende un paio di gradini e un cono di luce lo illumina. Non è uomo, non è bambino. Peter ci parla. Adesso.
Peter Potrebbe apparire una banalità, o forse una coincidenza, ma le nostre città sono piene di indicazioni: per raggiungere stadi, tribunali, centri, centri commerciali, fabbriche, ristoranti, ospedali, cimiteri, biblioteche. Il carcere, invece, è nascosto, omesso, occultato nel silenzio, in un’indicazione muta, nella svolta casuale a un incrocio.
Si preferisce non vedere – o far finta di non vedere – le carceri e, soprattutto, i carcerati.
Un doppio oblio: quello del carcere agli occhi della città (e dei cittadini); ma anche della città (e dei cittadini) agli occhi dei detenuti. Ed è a questo punto che l’isolamento (e non la privazione della libertà, cosa ben diversa) si trasforma da pena a punizione.
Questo occultamento impedisce alla società di prendere atto (e poi prendersi cura) di quelle persone che, dal carcere, prima o poi usciranno.
È necessario, invece, contaminare il sistema penitenziario con elementi di inclusione sociale che occorre sollecitare nell’ambito della società dei cittadini liberi se si vuole ottenere un rapporto dialettico capace di trasformare il carcere da fortezza a cerniera fra i due mondi.
Il carcere, così com’è, non è concepito per riabilitare ma per separare e per neutralizzare quei soggetti da nascondere dietro le quinte della vita sociale: identificando il più presto possibile coloro che sono da domare o, definitivamente, segregare.
Si spegne la luce. Non ci sono applausi. Residua solo un poco di disagio, testimoniato dal sudore nel palmo delle mani. Torna la luce sul palcoscenico. Peter consegna una lettera a Campanellino.
Peter (guardando verso gli spettatori) E, se la prigione assomiglia agli ospedali, alle fabbriche, alla scuola, alle caserme, come può meravigliare che tutte queste assomigliano alle prigioni?
FINE
È sera e gli spettatori di quel 27 dicembre 1904, ovunque essi si trovino ora, tirano fuori dalla tasca i biglietti del teatro. Con un certo stupore, bisogna riconoscerlo, trovano un messaggio sul retro: è il testo della lettera consegnata a Campanellino.
Con riferimento alle competenze previste dall’art. 60, comma primo, lett. k), dello Statuto del Comune di Genova e dall’art. 37 del Codice della Strada, in pieno spirito di propulsione collaborativa, si chiede a codeste Amministrazioni di attivarsi al fine di apporre, sulle strade di propria competenza, idonea segnaletica di indicazione dei seguenti istituti di pena presenti sul territorio del Comune di Genova:
- Casa circondariale Genova Marassi – piazzale Marassi, 2;
- Casa circondariale Genova Pontedecimo – via Coni Zugna, 33.
Si chiede inoltre, agli Uffici dei Garanti in indirizzo, di vigilare sull’idoneità dell’apposizione di cui sopra, facendo presente che, a oggi, di tutti i simboli di segnaletica stradale previsti dall’art. 125 del Regolamento di Attuazione del Codice della Strada – di competenza del MIT – non ne esiste alcuno che rappresenti – o almeno si riferisca – agli istituti di pena.
In particolar modo, si chiede all’Ufficio del Garante regionale, ai sensi dell’art. 1, comma primo, lett. b), della legge regionale n. 10/2020, di verificare se la segnaletica stradale riferita agli istituti di pena sia assente anche negli altri comuni liguri in cui sorgono tali istituzioni.
Ringraziando per la cortese attenzione,
Una rondine
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C’è una piccola ma incisiva azione che puoi fare: copia e incolla il testo della lettera e inviala agli enti pubblici di competenza, di seguito i recapiti.
Al Comune di Genova
comunegenova@postemailcertificata.it
All’Ufficio Progettazione e manutenzione viabilità e idraulica
viabil@cittametropolitana.genova.it
Ai Municipi del Comune di Genova
Municipio I – Centro Est
municipio1comge@postecert.it
Municipio II – Centro Ovest
municipio2comge@postecert.it
Municipio III – Bassa Val Bisagno
municipio3comge@postecert.it
Municipio IV – Media Val Bisagno
municipio4comge@postecert.it
Municipio V – Valpolcevera
municipio5comge@postecert.it
Municipio VI – Medio Ponente
municipio6comge@postecert.it
Municipio VII – Ponente
municipio7comge@postecert.it
Municipio VIII – Medio Levante
municipio8comge@postecert.it
Municipio IX – Levante
municipio9comge@postecert.it
E, p.c.
Al Garante comunale dei Diritti delle persone private della libertà personale
garante.detenuti@comune.genova.it
Al Garante regionale dei Diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale
garante.detenuti@regione.liguria.it
garante.detenuti@cert.regione.liguria.it
Immagine di copertina:
Grafica wall:out magazine su foto di Giovanni Scionti “Il mondo dentro e il mondo fuori”.
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