Genova è una città che vive di contraddizioni. La prima fra tutte è determinata dal luogo che occupa sull’atlante, che la costringe tra mare e monti, lasciandole come unica dimensione di crescita quella verticale. Per questo motivo la topologia della città segue una geometria unica: lunghe vie che dalle alture scendono fino al mare, aggrovigliati vicoli e stretti palazzi su più piani che ne identificano il centro, cuore vivo e pulsante.
Genova è una città complessa, che rappresenta i suoi abitanti e in essi si rispecchia: “Signora del mare” e “Superba”, come la definiva Francesco Petrarca, ma allo stesso tempo riservata, introvabile, nascosta in caruggi gremiti di gente e alti edifici che non lasciano intravedere che stralci di cielo.
Negli anni ho capito che Genova, come le persone, la si impara a conoscere in due modi.
Il primo, che rappresenta un approccio assolutamente standard, consiste nel perdersi tra le sue strade, respirare la vita che vi si conduce, analizzarne il volto e le ferite. Il secondo metodo, altrettanto suggestivo, è guardarla attraverso le parole di chi la ama.
Giorgio Caproni, che non nasce a Genova ma vi si trasferisce in tenera età, ne fornisce un ritratto profondamente autentico, che trasuda affetto, ma sempre lucido e mai annebbiato dal sentimento.
“Litania”, dalla raccolta “Il passaggio d’Enea” (1956), è una poesia in strofe che il poeta dedica alla città. Genova è una città intera, contiene al suo interno ogni cosa e il suo opposto, fortemente contraddittoria, gioca sui contrasti: Genova è polveriera e città pulita, industriale e civile, nera e bianca, tutta tetto e macerie, delizia e croce.
Polveriera e città pulita, industriale e civile
Il contrasto che socialmente si avverte di più è quello dei quartieri borghesi rispetto alla zona portuale, cuore e centro della vita economica genovese, soprattutto al tempo in cui scriveva Caproni.
Nonostante la riqualificazione urbana dell’odierno Porto Antico, che ha permesso di vedere la città sotto un’inattesa prospettiva turistica, Genova vive ancora oggi questa dicotomia proprio a causa della sua struttura: così intimamente aggrovigliata che risulta complesso recidere i collegamenti tra due mondi adiacenti incapaci di fondersi.
Genova è di lucri e di palanche, composta e garbata, caratteristiche in netta opposizione con l’ecosistema del centro storico, della Genova portuale, cinese, gutturale. […] Genova di Sottoripa. Emporio. Sesso. Stipa. […] Genova di coltello. Di pesce. Di mantello […] Genova che non si dice. Di barche. Di vernice. che ancora oggi presenta le medesime caratteristiche, seppur in una certa misura mutate, rilevate dal poeta più di sessant’anni fa.
Nera e bianca
La Cattedrale di San Lorenzo, le Chiese dei Santi Cosimo e Damiano e di Sant’Agostino e tutti gli altri esempi di architettura gotica genovese rendono palese come la città, anche cromaticamente, viva di contrapposizioni. Intere facciate in cui si alternano marmo bianco di Carrara e pietra nera di Promontorio pópolano il centro storico, delineando sotto un’altra prospettiva gli opposti su cui si fonda la città.
Quello architettonico, però, non è l’unico contrasto cromatico che si riscontra, ma va a sommarsi e a completare l’alternarsi dei colori del mare con quelli del porto, ancora una volta simbolo della genovesità.
Genova è grigia e celeste, dall’acqua turchina su cui è costruito un porto d’argento, stagno e ferro, lucente cardine della città.
Tutta tetto e macerie
Genova è costruita sulle proprie macerie, quelle che oggi non ci sono più, ma che hanno segnato in maniera indelebile il volto della città. In particolare, Caproni fa riferimento ai danni provocati dai bombardamenti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.
Terminata poco più di dieci anni prima della pubblicazione di “Litania”, il poeta ne ha fatto esperienza quotidiana a causa dei lunghi tempi di smaltimento dei detriti e di ricostruzione dei siti danneggiati.
Le zone della città che riportarono maggiori danni furono, ovviamente, quelle nevralgiche: il porto, il centro città e gli snodi ferroviari. Proprio per questo Genova è tutta cantiere, sempre nuova e in divenire, la necessità di ricostruirsi le ha dato la possibilità di reinventarsi.
Ciò nonostante, Genova oggi come allora è tutta tetto, un agglomerato di abitazioni ed edifici così meravigliosamente alla rinfusa, concentrati gli uni sugli altri nel centro e addossati alle colline a mano a mano che ci si allontana dal mare, una città verticale, vertigine, aria scale.
Le scale di cui parla Caproni non sono quelle dei palazzi stretti e verticali del centro, ma quelle che arrivano sino agli ultimi edifici in alto sulle colline, le genovesi creuze. Una cosa le accomuna: la vertigine che si prova nel salire fino a raggiungere la cima per affacciarsi e vedere il mare.
Delizia e croce
Genova non è una città per tutti, è per chi le permette di entrare sottopelle e non andarsene più, Genova che non mi lascia. Mia fidanzata. Bagascia. Genova è vita che si ritrova, una città che si riscatta, sempre umana, presente, partigiana, ma è anche di grigie mura e di cose trite, illividita e rimorso di tutta la vita.
Una città che sa essere solo di chi è come lei: tremendamente poligonale, senza una geometria definita, di chi non contento di definizioni monodimensionali vuole essere tutto e anche il suo opposto. Chi vive di contraddizioni e solo in esse è capace di riconoscersi, per queste persone è fatta Genova.
Genova di tutta la vita. Mia litania infinita.
Immagine di copertina:
Genova. Foto di Paolo Trabattoni
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