Come si costruisce una rete? Come funziona il lavoro nel terzo settore? Cosa si intende per cooperazione?
Questi i temi affrontati nel talk di apertura del 13 ottobre (qui il video integrale) al quale hanno partecipato diverse realtà associative dello scenario genovese, tutte fatte da giovani, in azione per i giovani (ma non solo).
L’incontro si è fatto spazio nel calendario degli eventi del festival CODE WAR Project 2021, promosso dall’Associazione Culturale CDWR. La cornice del festival è stato il meraviglioso Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo, luogo esotico, multiforme e a tratti surreale, che perfettamente si è sposato con l’eclettismo degli eventi programmati. Come sottolinea la curatrice del museo Maria Camilla De Palma:
“il castello che nessuno conosce, arroccato qui in cima, chiuso. Abbiamo sentito l’esigenza di aprire le porte al pubblico, abbracciando e appoggiando le proposte dell’Associazione CDWR per dare vita a questo festival”.
L’Associazione Culturale CDWR si costituisce nel 2019, ma il progetto è già attivo dal 2017 con l’obiettivo di rispondere alle esigenze sociali dei giovani.
Dalla mancanza di stimoli socio-culturali nascono i primi eventi all’interno dei club genovesi. Dopo aver constatato che la vita notturna a Genova non godesse di grande salute e che la musica e i contenuti artistici finivano sempre in secondo piano, “si è cercato in qualche modo di dare dignità alla scena artistica attraverso un tentativo folle: organizzare eventi a orari e in giorni inconsueti, per dimostrare che i giovani ci sono e sanno rispondere con intelletto alle proposte” dice Francesco Corica, presidente dell’associazione.
CDWR si sviluppa all’interno dell’ex ospedale psichiatrico di Quarto e lì si sono svolti gran parte degli eventi degli anni precedenti. Comprendendo via via quel patrimonio socio-culturale, si è capito che lavorare sull’immaginario del luogo non era più sufficiente. E parte dell’esperienza fatta a Quarto sfocia nel festival ora in corso.
Si è avvertita la necessità di organizzare attività specifiche per determinati gruppi di persone: per esempio, sono stati ideati eventi specifici rivolti a persone non udenti, non o ipovedenti e utenti psichiatrici.
L’associazione, che oggi si compone di 35 persone, è partita all’origine con pochi membri e molte idee. Il grande merito di chi impiega il proprio tempo libero nei progetti di CDWR è quello di aver creato una rete ricca di volontari con competenze a capacità differenti.
Riappropriazione e sostenibilità – sociale, economica e ambientale
Un esempio pratico? A metà settembre è nato Forte Legame, un progetto che mira a riqualificare l’area del Forte di San Martino (Fortezze espugnate da gioventù e cultura), e CDWR ne è promotrice. Dalle menti di un pianificatore del territorio, due architetti e un architetto del paesaggio è nata l’idea di attuare una rigenerazione del luogo.
Raccolta rifiuti, workshop di autocostruzione di arredo urbano e infine eventi che restituiscano la nuova area alla cittadinanza. Un progetto che parte dal basso e si fa forte della cooperazione. Parole d’ordine: riappropriazione e sostenibilità – sociale, economica e ambientale.
Al talk interviene Andrea Bassoli, project manager di Forte Legame e co-fondatore di CDWR:
“Contiamo sull’architettura che parte dal basso, perché se una comunità partecipa alla rimessa in sesto di un luogo è più probabile che in futuro se ne prenda cura. Nel terzo settore la competizione deve essere messa da parte, perché altrimenti il lavoro volontario non può sopravvivere”.
Partner del primo evento di Forte legame sono state tre associazioni che si occupano di raccogliere rifiuti attraverso la partecipazione di volontari. Una di queste è The Black Bag.
“L’associazione nasce da uno stato di coscienza: fare qualcosa per cambiare la situazione ambientale attuale”. A parlare sono Andrea Canepa e Vittorio Monferrino, fondatori: “Negli ultimi anni la consapevolezza sulle problematiche ambientali è aumentata, per fortuna. I media hanno puntato i fari sulla tematica, ma di fatto non ti accorgi di ciò che sta succedendo fino a che non lo tocchi con mano. Fino a che non vai sulla spiaggia a raccogliere i rifiuti portati dal mare, non comprendi l’entità del problema”.
Oggi The Black Bag opera su tutto il territorio nazionale grazie a uno sforzo digitale che è nato dopo l’esplosione della pandemia. La redazione aggiorna il blog quotidianamente sulle principali tematiche ambientali, sfruttando le diverse competenze dei propri associati. Gli eventi di raccolta rifiuti vedono sempre più affluenza.
“Visualizzare un obiettivo alungo termine dà un motivo alle persone per prendere parte alle campagne di raccolta rifiuti”.
E Andrea Canepa l’enorme potenziale della rete l’ha scoperto già grazie agli articoli pubblicati inizialmente qui su wall:out.
Quattro amici al bar
Noi di wall:out magazine nasciamo tra le chiacchiere di quattro amici al bar. Da aprile 2020, i visitatori al sito e i lettori fedeli sono cresciuti notevolmente. Gabriele Bricola, nostro art director nonché uno dei fondatori, quantifica in numeri la crescita del magazine: oggi si contano tra le 15 e le 20000 visite al mese. Sappiamo che il nostro punto di forza è quello di poter contare su voci e opinioni differenti, anche sugli stessi temi, meglio ancora se rientrano tra quelli meno raccontati della città di Genova. E in quanto collettivo ci basiamo unicamente sulla collaborazione volontaria e sul legame tra persone, che spesso sono il collante anche tra associazioni diverse.
Accade che chi sperimenta l’associazionismo non si accontenta del portare la propria esperienza in un unico contesto. Come nel caso di Arianna Maestrale, co-fondatrice di wall:out e fondatrice di MIXTA, associazione culturale che oggi opera come collettivo di curatela indipendente.
L’indipendenza garantisce piena libertà nell’espressione artistica.
“Mi piace pensare che ci debba essere una ecologia sociale anche nella scena artistica. Con MIXTA abbiamo iniziato a portare l’arte contemporanea in scenari che a quel tipo di arte non erano abituati”, come nel caso del recente Divago Festival.
MIXTA ha anche curato la mostra d’arte contemporanea al Castello D’Albertis, visitabile fino al 18 dicembre, che ospita artisti genovesi e non, italiani ed esteri. La particolarità è che all’esposizione sono state dedicate le sale del museo vero e proprio, anziché l’area esposizioni esterne, rendendo l’esperienza ancora più immersiva e coinvolgente (ve ne parleremo presto!).
Dopo poco più di un’ora di talk si giunge verso la fine.
Si sono alternate le voci di sei giovani appartenenti a cinque realtà associative diverse. Ciò che accomuna i volti e le intenzioni è la necessità di riportare sul territorio genovese un’esperienza vissuta all’esterno di questo ambiente, tentando di portare fertilità e movimento in un luogo nel quale spesso sembrano mancare stimoli. Le rispettive associazioni sono nate dall’esigenza di colmare un buco, dalla spinta alla riappropriazione di luoghi vecchi tramite nuove idee.
Tra le ultime battute della discussione, Edoardo Marangoni, moderatore, pone una domanda provocatoria: che cosa c’è e cosa invece manca a Genova
Le risposte che arrivano dalla tribuna degli speaker in qualche modo si assomigliano. MIXTA sottolinea la difficoltà nel trovare un proprio posto e nel dialogo con le istituzioni. Ma se questo manca, è fondamentale allora instaurare un dialogo con le persone.
Anche The Black Bag evidenzia le inefficienze amministrative e le problematiche che derivano da una burocrazia non snella: chi fa volontariato fatica a trovare il proprio spazio, perché costretto a lottare con le barriere delle istituzioni.
Se si riesce a costruire una rete di persone che condivide gli stessi intenti, sarà più facile portare avanti il progetto di rigenerazione e valorizzazione del territorio.
Nel caso di Forte Legame, la rigenerazione può essere attuata solamente a partire dalla spinta all’agire che scaturisce di fronte alla crisi e agli spazi vuoti che il territorio genovese offre. Ogni mancanza, ogni buco normativo è un potenziale nodo sul quale creare una rete. Che per essere tale deve mantenersi fluida e solidale con i nodi stessi di cui essa si compone.
E sull’ottimismo concorda anche CDWR, che lancia l’ultima bomba sul tavolo della discussione. Si infrange un tabù: si pone un parallelismo tra il lavoro in azienda e quello volontario.
Se in azienda si maneggia un capitale economico, nel terzo settore si lavora con il capitale umano. Che si fa forte di competenze spesso difficili da trovare e costose da formare. Questo lavoro di raduno delle competenze, possibile solo grazie alle reti, potrebbe essere alleggerito grazie alla strutturazione dal basso e alla messa a disposizione di strumenti e risorse dall’alto.
Questo potrebbe avvenire ad esempio creando degli hub territoriali o delle associazioni di secondo livello che creino dei gruppi di lavoro interassociativi, che operino in una direzione inter-progettuale. In modo che, unitamente al lavoro dal basso, venga anche stimolata una risposta anche dall’alto.
È giusto infervorarsi laddove ci siano inefficienze ed è anche giusto lavorare con entusiasmo negli spazi che si aprono (spontaneamente o con logoranti tentativi).
Concludiamo con un’immagine: i ragazzi che hanno rappresentato le quattro realtà associative dietro al microfono sono la generazione choosy, così apostrofata dalla ministra del lavoro Fornero nel 2012 (e chi se lo dimentica!). Sono gli sdraiati di Serra, giovani pigri e indolenti. Sono uomini e donne che in risposta a una città matrigna e avara hanno deciso di infrangere i pregiudizi lavorando dal basso, per gradoni ascendenti. Partendo dalle inefficienze e dalla mancanza di spazi fisici e astratti per poter esprimere le proprie idee e per poterle trasformare in atti concreti.
“E se le istituzioni non ci sono, non importa, facciamo le cose anche da soli.”
Immagine di copertina:
Code War 2021_Talk: presentazione del progetto, reti e cooperazione giovanile sul territorio (partecipano: CDWR, Wall:out, MIXTA, The Black Bag, Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo). Foto di Daniele Torriglia
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