Genova è adornata di monumenti in grado di rendere continuo e manifesto, per mezzo della mole e della collocazione dei soggetti raffigurati, l’eterno legame che unisce due materie da sempre comunicanti: arte e storia (abbiamo approfondito l’argomento Monumenti per il presente).
Risulta dunque inevitabile associare determinati spazi della città a specifiche opere: ogni passaggio attraverso la stazione ferroviaria di piazza Principe avviene sotto lo sguardo vigile del Colombo per il quale s’impegnò l’eclettico Michele Canzio, tutti gli approdi a Priaruggia si realizzano fiancheggiando il colossale Monumento ai Mille dell’energico Eugenio Baroni.
Non tutte le statue che costellano il capoluogo godono però di considerazione, stazza e ubicazioni tali da garantire loro una piena familiarità con la cittadinanza, che spesso involontariamente le frequenta.
Non alterando vigorosamente lo skyline urbano — come per esempio avviene a Milano in Cadorna con la realizzazione Ago, filo e nodo di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen — bensì piuttosto adeguandosi cromaticamente all’ambiente che le ospita, sono diverse infatti le perle nascoste (non per propria scelta) anche in alcuni degli angoli più trafficati della Superba.
Guido Rossa
Centralissima tra queste, essendo ubicata in largo XII ottobre, spicca infatti quella volenterosa di commemorare il coraggio di Guido Rossa, sindacalista vittima di un attentato di matrice brigatista nel gennaio del 1979 (articoli di wall:out Brigate Rosse).
Scolpita da Franco Repetto, genovese dalla singolare fortuna in Finlandia a cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, ha riscontrato interesse mediatico per il suo valore artistico solo recentemente grazie alla delicata mostra “Anche in una piccola cosa”, realizzata in Sala Liguria al primo piano di Palazzo Ducale. Esposizione, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele D’Autilia, capace di scorgere attraverso decine di scatti l’inedita e sensibile dimensione artistica di Rossa, che possiamo a questo punto ritrovare anche nelle armonie curvilinee che contraddistinguono la statua dedicatagli in centro città.
Cristoforo Colombo
Se il Colombo di Canzio, giganteggiando, non può passare inosservato, medesima sorte non premia quello decisamente più onirico scolpito da Sauro Cavallini.
Compressa in via Cecchi, tra un posteggio e due affollate corsie stradali, la sua Nave umana (elemento col quale nel 1992 decise di immortalare sia navigatore che equipaggio) pare infatti cercare in altezza lo spazio necessario per rievocare l’impresa.
Un tentativo che appare particolarmente suggestivo quando il cielo è terso, fatto che dona alla scena il blu di un mare che coperto dagli alti palazzi della Foce neppure si intravede.
I mutilati
In una dimensione più ariosa, lo spazio esterno di Casa del Mutilato, soggiorna invece drammatica un’altra opera del già menzionato Baroni; questa volta intento a rendere eterna la memoria di chi al conflitto è sopravvissuto ma solo sacrificando letteralmente parti di sé.
La scena scelta, unica sopravvissuta alla censura fascista del progetto originale, è contemporaneamente la più tenera e tragica immaginabile: uno sconvolto soldato, reso cieco della guerra, viene calmato da una madre tanto affettuosa quanto commossa, mentre un compagno d’armi è fisicamente impossibilitato a rincuorarlo a sufficienza.
L’orizzonte che quest’ultimo promette, infatti, oltre a non poter essere scrutato dall’amico, non è nemmeno indagabile dal pubblico. L’aver perso al fronte la mano sinistra annulla il suo tentativo di indicare un futuro diverso dal passato che li ha condannati.
Un avvenire inscrutabile dunque, che rimane tutt’oggi quantomai incerto, considerato il terrificante ritorno della guerra in Europa.
Padre Santo
Una storia diversa, decisamente più speranzosa, è racchiusa tra le pieghe dell’austero monumento a Padre Santo, eretto nel 1963 in piazza delle Grazie.
Realizzata da Guido Galletti, la statua mantiene acceso il ricordo degli atti caritatevoli compiuti in vita dal frate simbolo dei marinai e dello stesso centro storico, per il quale si prodigò senza sosta (fino a perdere lui stesso la propria vita) anche durante l’epidemia di colera che travolse l’Italia nella seconda metà dell’Ottocento.
Se oggi si volesse domandare un nuovo miracolo al protettore dei vicoli, la scelta ricadrebbe senz’altro sul renderli nuovamente vivi e vivaci quanto lo erano prima che il virus, questa volta dei nostri giorni, spegnesse il loro proverbiale calore.
L’arte pubblica, essendo sempre a disposizione di chi vuole fruirne, narra senza tregua vicende appartenenti a uno ieri nei fatti mai distante nel tempo.
Attualizzando le storie presentateci dagli artisti infatti si può donare una nuova vita alle stesse opere, traendone in questo modo lezioni senza scadenza. L’esempio di Guido Rossa incoraggia le campagne per la sicurezza sul posto di lavoro mentre il domani di pace a cui vorrebbe accennare il mutilato pare oggi distante quanto allora.
Se il centro storico non ha ancora ritrovato il fervore tanto caro a Padre Santo (articolo di wall:out Per una nuova movida), si può destinare almeno parte di questa energia inespressa nell’accogliere l’ultima Nave umana — stavolta proveniente da terra anziché da mare — quella ucraina.
Immagine di copertina:
Padre Santo – dettaglio (1963), Guido Galletti. Foto di Matteo L.
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