È ormai noto alle cronache il declino del settore della discoteca, una tendenza globale che diventa cronica nella realtà italiana. Un fenomeno riconducibile a tanti aspetti, come il crescente abusivismo, le trasformazioni nelle pratiche di consumo culturale, e più in generale un cambiamento intrinseco nel modo di essere sociali. Emergono a macchia d’olio festival elettronici, spesso connotati da una grande qualità progettuale, secondo un approccio sostenibile legato al territorio e alla promozione delle risorse naturali e architettoniche.
Ma cosa sta nel mezzo?
Analizzando il binomio (che spesso viene percepito come un vero e proprio antagonismo) che vede da una parte il club (che in Italia, vuoi o non vuoi, rimane fortemente legato all’accezione tradizionale di discoteca) e dall’altra il festival elettronico, emerge chiaramente un contrasto tra le logiche sottese ai due differenti servizi.
Il primo elemento di questo binomio pone le sue radici su una logica fortemente imprenditoriale e orientata al profitto, sia per le esigenze legate all’attività continuativa, sia per ovvi motivi di crescita del capitale privato dei proprietari. Logica che, nonostante la sua deriva commerciale, ha sempre consentito agli artisti e agli operatori locali di lavorare tutto l’anno.
Il secondo elemento, invece, si connota per una forte logica esperienziale, tenendo conto delle rinnovate esigenze del consumatore. E fin qui ci siamo. I festival in questione, diciamolo, puntano tutto sul fornire un’esperienza di qualità: cercano di farci vivere luoghi urbani e di interesse con line-up stellate, ci portano a riscoprire le bellezze naturalistiche del territorio, il tutto attraverso visioni progettuali di ampio respiro, sostenibili, che spesso danno spazio alla multidisciplinarità e alla sperimentazione artistica, alle peculiarità enogastronomiche, a momenti di dialogo e formazione.
Alcune volte (i casi più eccelsi e innovativi) sono sviluppati attraverso un approccio dal basso, con rispetto del tessuto sociale, in nome della cooperazione tra cittadini e della crescita delle attività commerciali locali. Ma spesso, la loro natura sporadica e puntiforme va a svilire una narrazione che li identifica come servizi di valorizzazione artistica e del territorio.
Con questo voglio sottolineare che è scorretto mettere in dubbio l’influenza positiva di questo genere di iniziative sullo sviluppo culturale, turistico e sul tessuto economico-sociale. Purtroppo, la loro natura one-shot non consente pienamente nè di coprire lo spazio di consumo lasciato vuoto dalla ormai appassita scena del club-discoteca, nè di nutrire le prospettive lavorative di tanti giovani artisti e operatori del settore.
Siamo convinti che quello spazio sia semplicemente sparito, vaporizzato, sostituito dal consumo mediale?
Sembra piuttosto che sia necessaria una nuova logica, che mette in relazione competenze progettuali innovative alle necessità imprenditoriali causate da una permanenza sul territorio.
L’approccio deve rimanere bottom-up, dando spazio alla cooperazione e alla costruzione di reti, ma deve concretizzarsi in un servizio perpetuo, presente, che non solo promuove, ma rilancia il tessuto socio-economico e artistico. Il tutto ovviamente con il favore delle amministrazioni locali.
È ormai necessario che gli innovatori si prendano cura della produzione artistica e culturale di coloro che lottano per emergere nel proprio contesto, cercando di favorire i rapporti con l’amministrazione, attraverso progetti di sviluppo e sostegno. L’impiego non convenzionale e innovativo delle risorse del territorio deve diventare una costante, non più un mero esempio di best practice.
Immagine di copertina:
Electropark Festival, Ommegraphie.
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