La bellezza dell’imperfezione: mostra fotografica itinerante. Palazzo Ducale dal 14 al 27 luglio 2025, Genova.

L’arte tra bellezza e denuncia. Ferrari, “ragazzi nella terra di mezzo, è un limite alle cure”

La mostra con cui i ragazzi dei reparti oncologici italiani hanno “portato i colori negli ospedali”, sarà allestita a palazzo Ducale dal 14 al 27 luglio.
20 Luglio 2025
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Da sempre, tra i più giovani, è diffusa questa regola tacita per cui l’aspetto esteriore sia tutto: la propria identità, il proprio essere (e non solo l’apparire), ma anche il proprio biglietto d’accesso alle relazioni sociali.

Spesso, però, ci si dimentica anche di un altro tipo di bellezza, ancora più importante, unica e rappresentativa: la bellezza dell’imperfezione. 

È questo il titolo della mostra fotografica itinerante, allestita a palazzo Ducale dal 14 al 27 luglio 2025.

“Credo che il nome scelto sia molto significativo – dichiara Andrea Ferrari, professore e dottore dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano – Da un lato racconta il bisogno dei ragazzi di sentirsi belli, di mantenere comunque tutta la normalità della vita di un adolescente, ma dall’altro anche di riconoscere il concetto di imperfezione”.

I protagonisti di questo progetto, per la prima volta nazionale, sono 108 adolescenti guariti o in cura per patologia oncologica presso i centri dell’associazione italiana di ematologia oncologia pediatrica (AIEOP).

Tra i partecipanti, anche i ragazzi del reparto oncologico dell’istituto Gaslini.

“L’idea, che nasce con i ragazzi di Milano – racconta Ferrari – era quella di offrire loro una modalità di espressione, un modo per raccontare il loro vissuto della malattia attraverso la fotografia” che, grazie allo smartphone, come spiega Alice Patriccioli, fotografa che ha collaborato al progetto, è ormai uno strumento artistico sempre a loro portata che fa della condivisione digitale il loro linguaggio.

“L’uso del mezzo fotografico pone i ragazzi in una dimensione di racconto, ma anche di ascolto, di scambio tra dentro e fuori di sé – continua Patriccioli – Con lo sguardo della fotografia è possibile appropriarsi di un linguaggio che va oltre le parole che, spesso, come in questo caso, sono insufficienti”.

La creatività come mezzo per raccontarsi senza più nascondersi

“Noi spingiamo tanto sul tema della normalità, in modo che i nostri ragazzi possano sentirsi come tutti i loro coetanei, però è anche vero che sono giovani costretti a vivere un percorso che non è normale, perché a 16 o 17 anni si ritrovano a fare la chemioterapia, a perdere i capelli, a essere ospedalizzati”.

Come afferma il dottor Ferrari, spesso, questi ragazzi tendono a tenersi dentro le emozioni negative e a crearsi delle barriere protettive. Queste, all’inizio, possono essere funzionali ma, a lungo andare si distruggono:

“è comunque un giovane che è arrabbiato e ha bisogno di positività e speranza”.

Per Ferrari, è molto importante che questi adolescenti raccontino quello che stanno vivendo, anche se, parlarne coi propri coetanei o coi familiari, spesso, può risultare difficile.

È qui che entrano in gioco l’arte e, in modo più generale, la creatività:

“durante questo percorso di cura, diventano un modo per far esprimere ai ragazzi quello che stanno vivendo, le loro paure, le loro ansie, le loro speranze, ma permettono anche di elaborare la malattia, contribuendo ad affrontare tutto in maniera più positiva, costruttiva e guardando al futuro”.

Ovviamente, la mostra non vuole sottovalutare il problema, “ammalarsi non è una passeggiata, affrontare una cosa come un tumore quando si frequentano ancora le scuole superiori è certamente una cosa pesante – precisa Ferrari –, ma si può riuscire a farlo con il sorriso”.

L’arte diventa, quindi, un modo per “portare in ospedale i colori”, per esprimere “un messaggio di vita”.

Non solo bellezza, ma anche un concetto di forza

“Io non so se riuscirei a fare quello che hanno deciso spontaneamente di fare questi ragazzi – racconta con sincerità Ferrari – Si sono messi in gioco, si sono fatti vedere senza capelli, con le protesi dopo un intervento di amputazione, ad esempio. E questo non è scontato, perché la malattia è vista ancora come una cosa che ci deve fare nascondere”.

Come racconta il dottore, c’è molto orgoglio da parte dei ragazzi che hanno deciso di diventare volti di questa battaglia.

“Chi ha partecipato – continua Ferrari – ha di per sé già elaborato l’idea di potersi far vedere senza vergognarsi: è straordinario pensare che siamo riusciti a trasformare un ragazzo malato, che precedentemente si nascondeva, in qualcuno che, invece, racconta con orgoglio la propria malattia, mostrandosi amputato, operato e senza i capelli”.

Come conferma Patriccioli, l’imbarazzo iniziale provato dai giovani è stato presto sostituito dalla consapevolezza di aver fatto qualcosa di importante per tanti altri ragazzi nella loro stessa situazione.

La terra di mezzo degli adolescenti: quando l’età ostacola le cure

Il messaggio principale è proprio questo: dimostrare che non ci si deve vergognare della malattia. Ma queste foto vogliono anche testimoniare che ci si può ammalare di tumore anche in adolescenza:

“e questa non è una cosa molto nota – spiega il dottor Ferrari –, perché viene associato prevalentemente a una malattia da persone adulte e, soprattutto, anziane”.

Questo pensiero, però, porta a trascurare i ragazzi: “spesso, la loro diagnosi arriva in ritardo e non ricevono le cure giuste perché non finiscono nei posti adatti a loro”.

Gli adolescenti si ritrovano in una “terra di mezzo”, come la definisce il dottore, tra l’oncologia pediatrica e l’oncologia dell’adulto.

“I ragazzi, a volte, corrono il rischio di non ricevere le migliori cure possibili – continua Ferrari – Questo perché esistono i protocolli per gli adulti e quelli per i bambini, ma non per gli adolescenti. Per esempio, se un ragazzo a cui è stato diagnosticato un tumore pediatrico ha 19 anni e il protocollo è aperto fino ai 18 anni, non potrà ricevere la cura. E ancora, se un quindicenne ha tumore tipico dell’adulto, non potrà ricevere la terapia in quanto non è ancora effettivamente un adulto”.

L’età costituisce una barriera che può limitare le possibilità di cura: “è un problema nei nostri sistemi italiani, ma anche internazionali”.

Secondo il dottore, “è indispensabile pensare a protocolli e percorsi di cura che non siano legati all’età del paziente, in quanto viene utilizzata meramente come criterio di organizzazione, ma alla malattia e al tipo di terapia che bisogna ricevere”.

Per far sì che ciò avvenga, è fondamentale creare una rete nazionale che faccia collaborare gli oncologi pediatrici con quelli dell’adulto:

“quando questi lavoreranno insieme, cosa che stiamo cercando di fare piano piano, allora si riuscirà a coprire questa “terra di mezzo” in modo adeguato”. 

L’idea di creare una rete nazionale è, quindi, molto importante, ed è per questo che il dottor Ferrari ha già in programma un’altra iniziativa in cui coinvolgerà di nuovo tutti i centri italiani.

“Non so se sarà sempre incentrata sulla fotografia, potremmo utilizzare la scrittura o altri mezzi di espressione. Chiederemo comunque ai ragazzi cosa vorranno fare per questo nuovo progetto”, conclude Ferrari. 

La storia di questi giovani, la loro forza e la loro bellezza è un modo per far conoscere le problematiche del sistema, ma anche per poter “iniziare a pensare al paziente come un ragazzo con la sua vita quotidiana e non come una malattia”.

Immagine di copertina:
Una delle foto esposte nella mostra. Foto di Lucia S.


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Lucia S.

Classe 2001, ha conseguito le lauree magistrali in Lingue, letterature e culture moderne e in Informazione ed editoria all’Università di Genova. Appassionata di disegno, scrittura e lettura, gestisce “20mila libri sotto i mari”, blog in cui parla di libri e attualità. Femminista, odia le ingiustizie e fa della scrittura un’arma per combatterle.

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