“(però come vedere il tessuto se sono soltanto gli strappi che lo rendono manifesto: nessuno vede passare gli autobus, a meno che non ne stia aspettando uno, o che stia aspettando qualcuno che deve scendere, o che la R.A.T.P. lo incarichi di contarli…)”, Georges Perec
Questo piccolo reportage non vuole essere un’analisi tecnica tra costi e benefici del servizio di trasporto pubblico della città di Genova. Non vuole essere nemmeno un’analisi critica.
No, non ho le competenze per farlo e non è quello che mi ha spinto a prendere il primo bus alle sei del mattino, un giorno infrasettimanale di fine maggio (ma prima delle elezioni, vedremo perché), e scendere dal venticinquesimo e ultimo alle nove di sera.
Dall’alba al tramonto, non di un servizio, ma di un’osservazione.
Questo piccolo reportage vuole essere una collezione di suggestioni sociologiche, guidate da una forma di romanticismo delle piccole cose. Lo confesso subito: un’apologia del trasporto pubblico.
Ma perché un’apologia dell’autobus?
Perché c’è un generale disprezzo nei confronti degli autobus: “non passano mai”, “sono stipati”, “la gente non si lava”, “puzzano”, “sono sporchi”, “bisogna cambiarne tre per arrivare a destinazione”, “ci mettono un’ora”, “prendono fuoco”, “ci piove dentro”, “ci sono i borseggiatori”, “ci sono i drogati”, “ci sono gli ubriachi”, “ci sono gli stranieri”, “ci sono i poveri”.
Gli autobus sono veri e vere le critiche.
Su un autobus si può sentire la pancia della città, si può comprendere quali siano le esigenze delle persone ed è molto meglio che farlo davanti alla televisione.
Su un autobus si può guardare il panorama, leggere, parlare al telefono, controllare l’agenda, restare rapiti da bellezze umili e quotidiane, imparare a corteggiarle studiando le coincidenze orarie, i gusti musicali facendo attenzione a come tengono il ritmo, indovinare lo sport praticato dalla dimensione dei borsoni.
Sperare di non intravedere fedi o fedine.


Questa esperienza è quindi debitrice di tre elementi:
1. il desiderio di stare un giorno intero a osservare, potendomi concentrare solo sulle distrazioni;
2. l’intuizione di Georges Perec di “descrivere il resto: ciò di cui normalmente non si prende nota, ciò che non si osserva, ciò che non ha importanza: ciò che succede quando non succede niente, se non il tempo, le persone, le macchine e le nuvole”;
3. il “nulla” è qualcosa di descrivibile in sé, non è la semplice assenza di qualcosa, tanto che nell’antica India si usava una varietà di parole per indicare “nulla” in contesti diversi (come l’immensità dello spazio, l’etere o il vuoto).
Matematica dell’autobus, una premessa
Alcuni dati per contestualizzare questo reportage:
il 20 maggio 2025 sono stato dalle ore 6 alle ore 21 sugli autobus della città di Genova, da Voltri a Nervi, tutti i quartieri costieri, le periferie di Marassi, Quezzi, Bavari e Borgoratti, tutta la Val Polcevera fino a Pontedecimo, tutta la Val Bisagno fino a Prato.
Ovviamente il centro, Albaro, Castelletto, Oregina e Sampierdarena. Il Righi e la Foce.
23 autobus differenti e due metropolitane.



Su 25 mezzi ho incontrato 20 autisti e 5 autiste. Ho pagato 10 euro per un biglietto con validità 24 ore dal momento della timbratura.
Ho visto tre donne che leggevano un libro e un uomo che leggeva tre giornali. Ho incontrato due controllori.
Nessuno mi ha controllato il biglietto, forse per l’allerta gialla, forse perché ci sono le elezioni tra cinque giorni. A pensar male si fa peccato, ma spesso si azzecca, usava dire qualcuno che di elezioni ne ha vinte molte.
Le considerazioni formulate sulla base di questi dati non possono essere viste come un campione rappresentativo degli autobus di Genova, ovviamente. Ma se vorrete, potrete leggerle come una rappresentazione degli autobus di Genova.
Alcuni orari, numeri di autobus e altri riferimenti potrebbero essere stati modificati per tutelare la riservatezza delle persone che ho spiato senza pudore.
Geografia dell’autobus, fauna e flora
Viaggiare sugli autobus perdendosi nei traffici della città è un’esperienza simile a un safari urbano, dove agli animali della savana si sostituiscono gli animali della nostra stessa specie. Mi spiego meglio.
Quando si viaggia in autobus si possono incontrare diverse persone che si conoscono e che, magari, stanno passeggiando oppure guidando o magari facendo benzina.
Qualcuno lo si può vedere mentre beve una birra e pensa, guardando le macchine passare.
La cosa affascinante è che si tratta, di solito, di un’immagine grande una manciata di secondi, durante la quale si osserva qualcuno che conosciamo molto bene e non possiamo salutarlo o suonare il clacson per salutare: la vediamo allo stato brado, spesso senza maschera, triste o allegra senza dover scegliere quale indossare.
A volte si può scorgere un conoscente sullo stesso autobus ed è un mistero che si svela vedere come cambia l’espressione, dalla solitudine all’incontro di un volto amico (come un animale selvatico che inizia a muoversi quando incrocia il nostro sguardo).
Provateci. Anche con gli animali selvatici.
Provate anche a fare attenzione al traffico che si crea intorno al 45, al 37, al 40 o al 20, nelle ore di punta: gli autobus circondati dalle moto, a Genova, paiono quei grandi cetacei che si portano in giro i loro pesci satelliti. Quasi con indifferenza, certamente con il fascino di carovana di re.
Anche i suoni hanno un rapporto naturale con il traffico, sul quale ragioniamo sempre troppo poco: all’alba sono solo cinguettii, frusciare di rami, foglie vigorose che pogano tra loro.
Poi gli uomini iniziano ad affrettarsi, a dirsi “presto, presto, che è tardi”, a salire sugli autobus che incrementano la loro frequenza, a partire veloci ognuno sul proprio motore freddo. E fino al tramonto sono solo cigolii, cigolano le plastiche, le carrozzerie ammaccate, soffiano tutto il giorno motori che creano il vento carbon fossile della città.
Poi è tramonto, la luce torna ad appoggiarsi silenziosa come un lenzuolo usato su corpi estivi, e tornano le foglie e gli uccelli e qualche bestia a cercar la cena. Perché gli uomini diradano.
Infine, c’è una geografia floreale che è possibile osservare da un autobus:
è possibile notare, ad esempio, che le piante sono (letteralmente) la cartina al tornasole del clima della città.
In questa stagione basta guardare i gelsomini (quelli veri, pochi, e quelli finti, tutti) per farsi un’idea dei luoghi più soleggiati e caldi: ci sono cespugli completamente in fiore, alcuni solo per metà, altri ancora deserti di fiori ma nella via accanto.
Avviso a chi cerca casa: guardate i gelsomini. E gli oleandri, tra qualche settimana.
Economia dell’autobus, vagoni I e II classe
Un altro gioco che si può fare, stando una giornata intera sugli autobus, è cercare di riprodurre una sorta di mappa socio-economica della città osservando il profilo dei passeggeri.
Ad esempio: sul 40 (direzione Brignole) alle 6:18 si incontrano prevalentemente operai (tuta da lavoro e scarpe antinfortunistiche) e stranieri, mentre sul 36 (dir. Piazza Merani) delle 19:50 si incontrano persone prevalentemente italiane che tornano a casa; sul 17/ (dir. Nervi) delle 6:51 l’autobus è occupato prevalentemente da operai e giardinieri mentre i passeggeri della metropolitana che parte da Brin alle 12:15 sono prevalentemente persone nere e da Di Negro in poi aumentano i passeggeri bianchi; ci sono tre matti sugli autobus, due sul 13 (dir. Caricamento) delle 18:35 e una sull’1 (dir. Centro) delle 9:30, tutti teatrali e estremamente comici, infatti fanno riflettere.
Molte persone perbene e adulte, sul 15 (dir. Centro) delle 7:21, svuotano il bus in favore della stazione di Quinto.
Ancora, ci sono due ponti fondamentali a Genova: il ponte di Cornigliano e il ponte di Staglieno. Entrambi sui torrenti principali della città.
Questi due ponti sembrano segnare il confine naturale delle zone industriali, di depressione industriale, di depressione.
Da questi ponti in poi le distanze iniziano a diventare artificiali, sembrano percorsi di un tronco silenzioso, interrotto solo da qualche antico nodo urbano, laddove un’infrastruttura o una fabbrica (entrambe spesso inutilizzate) non hanno già desertificato gli abitati.
Questo silenzio si ripercuote dentro ai bus: la maggior parte dei passeggeri sta china a deificare il proprio schermo come antichi culti pagani, i veicoli devono mettere su le molle per poter sembrare due, i palazzi hanno sempre almeno un gemello e così sembrano due.
Sul 7 (dir. PonteX) delle 10:50 l’unica eccezione al silenzio degli schermi sono due giovani neo mamme con i loro piccoli in braccio: le uniche senza cuffie nelle orecchie.
Sul 47 (dir. Largo Merlo) delle 16:00 un ragazzo sale con una canna in bocca; una ragazza butta la spazzatura per terra, sotto al sedile, sul 356 (dir. Biscione) delle 16:30; poco dopo, dal 383 (dir. Monticelli) delle 17:00, vedo per la prima volta in vita mia (e per l’unica volta in tutto il giorno) la pubblicità della “Narcotici Anonimi” per il recupero delle persone tossicodipendenti.
Il cartellone è sul muro davanti alla mia scuola media.
Pochissime persone si fanno ancora il segno della croce quando passano davanti alle chiese, (forse) antico rito di commemorazione silenziosa dei propri morti. Quando questo avviene si tratta quasi sempre di donne anziane radicate nel quartiere. Non usano il cellulare.
Davanti al Cimitero di Staglieno nessuno si fa più il segno della croce, mentre io ne ho un ricordo nitido fino a quando sono stato ragazzo.
In tutto il giorno ho visto parlare degli sconosciuti tra loro solo sul 13 (dir. Caricamento) delle 18:35: si sono aggiornati reciprocamente sull’affaire retrocessione Sampdoria.
In tutto il giorno, ho visto tre persone con un libro in mano e una con il giornale.
Sugli autobus a lunga percorrenza, come il 18/ (dir. San Martino) delle 14:20, passano continuamente gli avvisi acustici relativi alla videosorveglianza, un cartello recita:
“…OCCHIO! Tutti i mezzi AMT sono dotati di molti occhi, quelli delle telecamere e quelli di tutti noi”; accanto, il cartello di sintesi del regolamento precisa “Non sono consentite riprese foto e video”.
Ho una gran voglia di fotografarli.


Tutto questo mi fa ipotizzare che la maggior parte delle persone che lavora negli uffici viaggia verso il centro ma vive prevalentemente a levante mentre chi lavora in fabbrica si sposta da monte verso ponente; la maggior parte delle persone che lavora nelle case altrui si sposta da ponente verso levante e il disagio socio-economico maggiore si manifesta nelle zone periferiche della città, diluendosi verso il centro.
Il radicamento di quartiere maggiore appartiene agli anziani mentre nessuno parla con gli estranei.
Ci sono delle persone che leggono, ce ne sono poche, ma ce ne sono. L’insicurezza e la solitudine sono curati con la stessa ricetta: fotocamere e schermi.
Le persone non si parlano, così aumentando la percezione di solitudine e di insicurezza.

Fisica dell’autobus, segni di vita
Ho notato che è possibile guardare gli autobus come i polmoni della nostra città, perché i giovani sono l’ossigeno di ogni luogo.
I giovani riempiono gli autobus fino al punto che non c’è più bisogno di tenersi, e poi si svuotano come in una spirometria davanti alle scuole.
Finalmente si respira ma è un’aria povera quella che resta, povera di vita, di sogni e di insicurezze vere: i ragazzi ripassano per la verifica, le ragazze ripassano per le interrogazioni, qualcuno è sceso alla fermata della scuola ma è subito risalito, forse perché la prima ora è meglio passarla tra le gambe dell’adolescenza.
I giovani si infastidiscono, si beccano per potersi avvicinare, toccare e sfiorarsi, in una tensione sessuale che fa bruciare i polmoni. E anche i compiti per il giorno dopo.
Due scolaresche sulla metro (dir. Brin) delle 12:15 sono rispettivamente dopamina e serotonina di questo sistema nervoso di trasporto quasi sempre parasimpatico.
Sono bellissimi questi ragazzi che sfogano le loro energie dopo la contenzione scolastica. Sono un urlo di libertà che noi adulti abbiamo imparato a reprimere, in cambio di cosa?
Sono una bulimia che si trasforma in vomito, perché non sanno riposare, perché non sanno digerire. Infatti sono simpatici.
Una ragazza, sull’85 (dir. Brignole) delle 15:30, fa notare all’autista che il numero del bus è sbagliato rispetto al percorso: l’autista dice che no, non è sbagliato, è l’85.
La ragazza mi guarda “Sono bella stordita, mi farò un canna in meno!”. Io rido, e quando scende le vorrei dire: “Non diminuire il numero!”, perché controlla e urla all’autista “C’è scritto 86! Non 85! Non sono pazza, cazzo!”.
L’autista corregge il numero del bus in silenzio.
Sono le 20:40 quando salgo sull’ultimo bus della giornata; è il 377c, perché ho trovato la funicolare del Righi chiusa e ho voglia di fare due passi. Scendo nel posto più alto del percorso ma non ho idea di quale strada prendere.
Guardo sulle mie note da quanto tempo aspettavo di fare ciò che ho appena terminato:
“17/06/2022: Reportage dell’autobus. Ho preso il bus e non scenderò”.
E appena sceso, mi sono perso.
Immagine di copertina:
Grafica wall:out magazine su foto di Mattia B.
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