Immagina di camminare fra le case colorate de La Boca, a Buenos Aires. L’umanità che si mescola sulle strade, il sole sudamericano che ti scalda le braccia, una musica allegra che esce fuori da una finestra al terzo piano. Poi, ti siedi sopra un muretto in mattoni e inizi ad azzannare la tua slerfa di focaccia. Rancho Banchero
Questo è ciò che può accadere realmente in Argentina, in uno dei quartieri più famosi della sua capitale.
Lì infatti, in via Almirante y Brown Suarez, si può trovare il Rancho Banchero, una pizzeria fondata da un emigrato genovese nel 1932. Si chiamava Juan Banchero, ed era il figlio di Augustìn, il quale già nel 1893 aveva aperto una panetteria storica in cui sfornare la fugassa alla genovese.
Il locale si trova nel cuore popolare della metropoli, non distante dalla Bombonera, uno degli stadi più romantici della storia del calcio. Prima e dopo le partite del Boca Juniors, il Rancho Banchero si riempie di clienti. La famiglia ha continuato a portare avanti la tradizione culinaria del posto fino ai giorni nostri, ed è ormai un elemento incastonato perfettamente nell’anima latino-americana di Buenos Aires.
L’amministrazione politica della città ha deciso di dichiararlo un Sito di interesse culturale per merito del “suo contributo alla cucina argentina”.
La buona nomea di cui gode il marchio gli ha permesso di aprire diversi punti vendita in zone strategiche della città, ampliando decisamente il bacino di utenza della clientela.
Sopra l’insegna blu del Rancho originario campeggia uno stemma con la croce di San Giorgio, che dovrebbe farci sentire un po’ più a casa mentre entriamo. La giovialità tipicamente latina e l’odore di pizza e fugazzette con mozzarella potrebbero fare il resto.
La storia della famiglia Banchero è simile a tanti altri percorsi intrapresi da emigranti italiani, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Prendendo in considerazione soltanto la Liguria, nel periodo che va dal 1876 al 1915 sono espatriate all’estero oltre duecentomila persone (dati Emigrati.it).
La congiuntura economica, le maggiori opportunità di lavoro lontani da casa e l’attrazione per l’ignoto, hanno spinto moltissime famiglie ad attraversare l’Atlantico per affacciarsi sulle Americhe e riiniziare una seconda vita. Del resto, in questo periodo circa 14 milioni di italiani decisero di preparare le valigie e affrontare il cosiddetto “viaggio della speranza”. Un fenomeno sociale enorme che ha investito l’intero Vecchio Continente, definito “Grande Emigrazione”, destinato a riscrivere i tessuti sociali di moltissimi paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti d’America.
In Argentina ancora oggi l’impronta italiana è fortissima, dovuta ai numerosissimi discendenti della prima ondata migratoria iniziata oltre cent’anni fa. Secondo alcune stime, la comunità degli italo-argentini arriva a superare le 600mila unità, più del 50% della popolazione totale del paese riconosce un qualche legame di discendenza con questa categoria.
Circa 150 anni fa il vastissimo paese sudamericano aveva la necessità di manodopera nelle sterminate terre coltivabili di cui disponeva; da qui nel 1853 venne inserito nella Costituzione un articolo, il numero 25, atto a regolare il flusso in entrata proveniente dall’altro lato dell’Oceano.
È rimasto senza modifiche fino ad oggi e recita:
Il Governo federale promuoverà l’immigrazione europea e non potrà ridurre, limitare né gravare d’imposte l’ingresso nel territorio argentino degli stranieri il cui scopo sia quello di lavorare la terra, migliorare le industrie e introdurre e insegnare le scienze e le lettere.
COSTITUZIONE ARGENTINA, ARTICOLO 25
La storia del Rancho Banchero racconta tutto questo. Una famiglia come tante che si fece coraggio salpando per terre lontane; un gruppo di persone che è riuscito a costruire una realtà gastronomica importante grazie alla fatica di anni di lavoro. Un cognome che ancora oggi ricorda le origini genovesi di questi scopritori dell’altro mondo.
E si, anche a undicimila chilometri dalla Lanterna, la fugassa, anche se non esattamente come la nostra, piace e ha il suo perché.
Immagine di copertina:
Sander Crombach
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