Anche quest’anno, a sessant’anni dagli eventi del 30 giugno 1960, il corteo antifascista ha sfilato per le strade genovesi. Da Piazza Alimonda a Piazza De Ferrari, passando davanti alle sedi dell’INPS e della Regione, per ricordare i valori di cui le nostre istituzioni dovrebbero farsi portatrici.
Il governo Tambroni e il Movimento Sociale Italiano
Dopo la caduta del governo Segni II nel febbraio del ‘60, il presidente della Repubblica in carica, Giovanni Gronchi, affida a Fernando Tambroni, esponente democristiano e già ministro del Bilancio e del Tesoro, l’incarico di formare un nuovo governo. Fin da subito l’appoggio da parte dei deputati missini è fondamentale per la formazione di una maggioranza parlamentare e il governo, appoggiato principalmente dalla DC e dal MSI, ottiene la fiducia alla Camera il 4 aprile.
La componente democristiana tuttavia, considerando il governo in contrasto con le intenzioni e gli obiettivi politici della DC, chiede le dimissioni del premier che decide così di dimettersi.
Questi eventi provocano un forte malcontento tra gli esponenti del Movimento Sociale Italiano che cercano immediatamente di mettere in crisi molte delle amministrazioni locali e regionali che si reggevano grazie ai voti missini. Il primo passo è dunque quello di votare contro la legge di bilancio della giunta comunale genovese, provocando così una crisi istituzionale che viene infine colmata da un commissario prefettizio. Nel frattempo, il presidente della Repubblica, decidendo di respingere le dimissioni presentate da Tambroni, lo invita a presentare al Senato un nuovo governo, al quale viene nuovamente riconosciuta la fiducia soprattutto grazie all’appoggio dell’MSI.
Il 14 maggio il Movimento Sociale Italiano decide di convocare il sesto congresso nazionale a Genova, sotto la presidenza onoraria di Carlo Emanuele Basile, capo della Provincia di Genova tra il ’43 e il ’44, nonché gerarca fascista responsabile dei massacri della Benedicta, della Val Trebbia e del Turchino e fautore delle deportazioni di massa di più di 1600 uomini tra operai e portuali. Questa scelta viene fin da subito vista come una provocazione e mentre il dibattito cittadino si infervora, ANPI e CGIL, insieme a studenti e portuali, promuovono numerose iniziative per mobilitare il più possibile la cittadinanza contro la manifestazione dell’MSI.
Il 13 giugno la Camera del Lavoro invita i lavoratori ad impedire lo svolgimento del congresso e nei giorni successivi comizi e manifestazioni antifasciste vengono promosse in tutta la città.
Il Comizio di Sandro Pertini
Il 28 giugno circa trentamila persone partecipano al comizio tenuto da Sandro Pertini in Piazza della Vittoria. Il discorso – così potente ed appassionato da essere poi soprannominato “u brichettu”, il fiammifero, ad indicare la portata e la forza di parole che hanno incendiato gli animi genovesi dell’epoca – viene letto anche oggi durante i cortei del 30 giugno.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza. Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui
SANDRO PERTINI, GENOVA 28 GIUGNO 1960
Una città barricata
Il 29 giugno, la Camera del Lavoro indice per l’indomani uno sciopero generale in tutta la provincia. Nel frattempo, la battaglia contro il nemico fascista viene portata avanti a livello individuale dai singoli cittadini: ferrovieri e camerieri degli hotel in cui alloggiano i partecipanti del congresso, promuovono messaggi minacciosi ed inquietanti al fine di scoraggiare la partecipazione alla manifestazione, mentre i tassisti portano i clienti più “sospetti” in luoghi il più lontano possibile dalla destinazione richiesta.
I movimenti e le manifestazioni antifasciste di quei giorni allarmano le autorità locali che, a corto di fantasia, corazzano la città chiamando a raccolta le più alte cariche dell’Arma dei Carabinieri. Lo stesso Tambroni, per soddisfare la componente di maggioranza missina, favorisce la mobilitazione di reparti di forze dell’ordine in arrivo da altre regioni del Nord Italia. Vengono organizzati presidi e controlli delle Celeri nei pressi dell’ex Teatro Margherita, in via XX Settembre. In Piazza De Ferrari vengono sistemati cavalli di Frisia per limitare la circolazione ed impedire l’accesso alle vie adiacenti.
La mattina del 30 giugno centinaia di uomini in assetto antiguerriglia pattugliano le strade. Un corteo di circa centomila persone sfila pacificamente attraverso le principali vie della città. Partendo da Piazza della Nunziata si attraversano Via Garibaldi e Via XXV Aprile, per arrivare in Piazza della Vittoria, dove Bruno Pigna, segretario della Camera del Lavoro, tiene un Comizio.
Mentre i manifestanti lasciano la piazza, la retroguardia del corteo ritorna in Piazza De Ferrari e intona canti antifascisti e qualche coro contro le forze dell’ordine. La risposta non si fa aspettare e in poco tempo idranti e lacrimogeni entrano in azione. Partono le manganellate contro manifestanti e passanti ed in poco tempo la piazza diventa teatro di scontro tra polizia e civili. In breve si genera un’escalation di violenze da entrambe le parti, costringendo molti dei presenti a fuggire nei vicoli per chiedere riparo negli androni dei palazzi. I partecipanti alle manifestazioni di quei giorni ricordano le barricate alzate dalle forze dell’ordine per impedire l’accesso alle strade e alle piazze principali dove l’aria era già resa pesante dalle nubi lasciate dai lacrimogeni.
Di fronte a questa situazione, e al fine di evitare che la polizia aprisse il fuoco, l’ANPI prende contatti con la Questura per trovare un accordo per una tregua e le piazze vengono svuotate prima di sera.
Nel frattempo, la Camera del Lavoro decide di promulgare un secondo sciopero per il 2 luglio, lo stesso giorno in cui sarebbe dovuto iniziare il congresso del MSI. Per arginare la possibilità di ulteriori scontri, inizia un intenso dialogo tra le parti al fine di trovare una soluzione volta ad evitare incidenti e violenze. Un comitato in rappresentanza del Consiglio Federativo Ligure della Resistenza, guida le trattative con prefettura e questura che propongono agli antifascisti di variare il percorso del corteo in modo da scongiurare scontri diretti con i partecipanti al congresso in Via XX Settembre.
Il comitato antifascista non cede e nonostante la questura proponga all’MSI di spostare la sede del Congresso a Nervi, nessun compromesso viene raggiunto. Il diverbio arriva fino ai vertici delle nostre istituzioni, coinvolgendo il presidente del Consiglio e tutto il governo, e si conclude con la decisione, da parte del segretario missino Arturo Michelini, di rinunciare al congresso stesso.
Le giornate di luglio
Nei giorni successivi, Tambroni cercherà di usare il pugno di ferro per rincuorare i missini rimasti delusi dall’atteggiamento considerato “poco incisivo” adottato dal governo nelle giornate di Genova. Di fronte alla notizia che a Licata venga indetto uno sciopero, e di fronte all’occupazione della stazione da parte degli operai, la polizia reagisce aprendo il fuoco sui manifestanti ed uccidendo un venticinquenne.
Il 6 luglio, a Roma, alcuni parlamentari antifascisti, insieme a un gruppo di studenti, operai e ad anziani si dirige verso Porta San Paolo per portare omaggio alla lapide che ricorda i caduti del settembre del 1943. Seguono forti cariche a cavallo da parte della polizia. Nei giorni seguenti al Testaccio, così come a Reggio Emilia, la polizia porta avanti un vero e proprio rastrellamento fermando ed interrogando chiunque potesse destare sospetti.
Il 7 luglio, la Camera del Lavoro decide di indire uno sciopero e di tenere un comizio a Reggio Emilia che sfocia in un’altra giornata di violenti scontri durante i quali le forze dell’ordine non si risparmiano e aprono il fuoco contro i manifestanti lasciando a terra cinque cadaveri. La stessa dinamica si ripete il giorno seguente a Palermo: il bilancio è di due morti e circa 40 feriti.
Nonostante i tentativi del governo di rimanere in piedi, il 19 luglio 1960 Fernando Tambroni presenta le sue dimissioni. Finisce così l’esperienza di uno dei governi più reazionari della nostra Repubblica.
Genova. Luglio 1960 – Luglio 2001
Quei giorni di lotta del 1960, iniziati a Genova e proseguiti poi in tutta Italia, hanno avuto un’importanza fondamentale per la storia della Prima Repubblica. Molti dei partecipanti vedono in quella manifestazione un tentativo cosciente di sventare la restaurazione di un governo parafascista e di salvaguardare così la democrazia parlamentare. Probabilmente il governo Tambroni sarebbe caduto comunque da lì a poco, ma la necessità di difendere i valori di una città che aveva sacrificato moltissimo in nome della Resistenza, aveva riacceso gli animi di tutti. La memoria di un passato ancora troppo vicino ha fatto sì che una folla così eterogenea e di estrazione sociale variegata si sentisse tradita e messa in secondo piano dagli stessi governanti.
Nel ricordare quei giorni e soprattutto i violenti scontri nel resto d’Italia, sono spesso emersi molti parallelismi con la tragedia del G8 di Genova. L’articolo di Wall:Out “Il G8 di Genova. Quell’estate calda e quei missili a Sestri Ponente”, descrive chiaramente la portata della mobilitazione delle forze dell’ordine avvenuta durante quei giorni.
Nessun genovese può dimenticare le immagini delle strade e delle piazze messe a ferro fuoco. Le immagini della Diaz, della caserma di Bolzaneto e di Carlo Giuliani sdraiato sull’asfalto di Piazza Alimonda. Allo stesso tempo però, molti cittadini hanno deciso di non prendere parte alle giornate del Genoa Social Forum.
La forte pressione politica e psicologica che ha anticipato il G8, è stata studiata e mirata a disincentivare il più possibile la partecipazione alla contromanifestazione. Così come avvenne nel 1960, la militarizzazione di Genova, è stata funzionale a generare paura nella popolazione, che in molti casi ha preferito lasciare la città per evitare coinvolgimenti negli scontri. Le barricate alzate per delimitare la zona rossa, le stazioni completamente sbarrate e la limitazione dell’accesso agli ospedali sono state misure finalizzate ad allontanare il più possibile la cittadinanza dalla città e dai cortei di quei giorni.
Anche la forte componente giovanile accomuna i fatti accaduti a Genova prima nel 1960 e poi nel 2001.
Da una parte giovani con le magliette a strisce che si affacciavano per la prima volta alla politica e agli scontri di piazza, insieme agli operai e ai partigiani che avevano difeso la libertà della nostra città tra il ’43 e il ’45.
Dall’altra il movimento No-Global e il Genoa Social Forum che coinvolse moltissimi giovani ma anche adulti, provenienti da estrazioni sociali, culturali e religiose differenti e riuniti sotto al grido di “Pensare globale, agire locale”. Per la prima volta un corteo eterogeneo rivendicava diritti universali, equità ed autonomia in cui potevano confluire persone provenienti da tutto il mondo.
In entrambi casi inoltre, il fatto che la scelta della città ospitante e il congresso del MSI, e il G8, sia ricaduta proprio su Genova, è stata interpretata come una forte provocazione. Da un lato perché una città decorata a Medaglia d’oro per la Resistenza, non poteva ospitare il congresso del partito erede del PNF, dall’altro la conformazione e la morfologia della città, così come le sue caratteristiche sociali ed economiche, risultavano ben poco adatte ad ospitare un evento della portata del G8.
Il fatto che ancora oggi ci ostiniamo a voler ricordare quei valori che hanno portato in piazza centomila persone nel 1960, è fondamentale per portare avanti una memoria storica che viene sempre più spesso trascurata dalle nostre istituzioni. Ricordare il 30 giugno e le parole di Pertini, è fondamentale per permetterci di valutare con consapevolezza e responsabilità il presente.
Ai giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l’entusiasmo, la fierezza., il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa nulla sarà perduto in Italia. Noi anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi. Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con l’entusiasmo, la volontà la fede di sempre
Immagine di copertina:
Corteo antifascista sfila nelle vie del centro. Foto Wikimedia
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