Il 5 maggio del 1971 un ragazzo di ventidue anni, iscritto alla facoltà di matematica all’Università degli Studi di Palermo, sta seguendo le sue lezioni. Il 5 maggio del 1971 a Palermo, Pietro Scaglione, Procuratore Capo della Repubblica, dopo essersi recato a visitare la tomba della moglie Concetta Abate, viene ucciso con una raffica di proiettili insieme al suo autista e agente di custodia, Antonio Lorusso.
Il ragazzo di ventidue anni è Marcello Scaglione, ora volontario di Libera Genova presso il Presidio dedicato alla memoria di suo zio, Pietro Scaglione.
Marcello racconta che quando suo zio fu ucciso si pose delle domande
Su quali casi stesse lavorando. Perché proprio lui, in un momento in cui la mafia non aveva ancora attaccato apertamente lo Stato, in cui la parola mafia non era ancora utilizzata pubblicamente e si aveva ancora timore di pronunciarla a voce alta.
Fu logico pensare che fosse stata la mafia ad agire nei suoi confronti perché le sue indagini più recenti vertevano su grandi scomparse, come quella dei giornalisti Mario Francese e Mauro de Mauro, che diressero le ricerche nei giri corleonesi di Cosa Nostra.
Pietro Scaglione fu colui che per primo pensò che la mafia potesse essersi introdotta all’interno dello Stato.
Fu guidato anche da importanti inchieste come quella riguardante Salvo Lima e Vito Ciancimino, storici politici siciliani e amici degli ambienti mafiosi, che avevano fatto sì che l’evento passato alla storia come il “Sacco di Palermo” avvenisse senza destare troppi sospetti.
Grazie alle sue meticolose indagini, due mesi prima di essere ucciso, Scaglione era riuscito a ottenere persino una promozione a Procuratore Generale con destinazione Lecce; forse proprio perché nell’ambiente della magistratura si presupponeva che il suo lavoro nell’antimafia così al dettaglio avrebbe potuto provocargli brutte reazioni da parte della malavita, oppure per allontanarlo da Palermo il prima possibile.
Scaglione non ebbe il tempo di accettare l’incarico, come ben sappiamo.
Casi senza giustizia
Dal punto di vista giuridico, il caso di Pietro Scaglione è uno di quelli che fa parte dell’altissima percentuale che Don Ciotti – fondatore dell’associazione Libera Contro le Mafie – chiama “senza giustizia”, perché non c’è mai stato un processo: il metodo con il quale si conducevano le indagini in quegli anni non ha portato a trovare prove attendibili sul luogo né dichiarazioni di possibili testimoni.
Trent’anni dopo, negli anni Novanta, il processo si sarebbe dovuto svolgere a Genova.
Ben sette giudici si passarono di mano in mano i documenti del processo, ma non trovarono elementi provanti a carico dei potenziali esecutori del delitto: le prove raccolte non erano sufficienti per istruire un processo.
Ma abbiamo aperto questo articolo chiedendoci cosa c’entrasse il magistrato Scaglione con Genova: per ora poco e niente. La storia di Scaglione e di Genova si interseca profondamente il 21 marzo 2013, a bordo di un treno diretto a Firenze: quel giorno Marcello Scaglione, nipote di Pietro, stava andando alla Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti di tutte mafie. Sul treno incontrò fortuitamente le volontarie del Presidio Francesca Morvillo di Libera Genova, che lo convinsero a tesserarsi per la loro associazione.
A Firenze si trovò davanti a una platea di 150 mila persone, la stragrande maggioranza giovani, che avevano una gran voglia di ricordare e onorare tutte le persone che avevano perso la vita nella ricerca di un’Italia migliore. Marcello Scaglione si trovava assieme ad altri 600 familiari di vittime di mafia che conoscevano perfettamente il suo stesso dolore. Questo evento fu per lui segnante.
Osservando tutti quei ragazzi in silenzio durante la lettura dei nomi, Marcello Scaglione sentì nascere in lui una nuova forza, una nuova volontà di mettersi al servizio per raccontare la sua storia e quella di suo zio.
Oggi sono dieci anni che Marcello Scaglione lavora sul territorio ligure per raccontare alle ragazze e ai ragazzi delle scuole la sua storia, le sue memorie e i suoi ricordi dello zio, spiegando ai più piccoli che cosa sia e che cosa faccia la mafia. Marcello Scaglione ha deciso di vivere ogni giorno con spirito di missione per continuare a educare alla legalità, mantenendo viva la speranza che chi uccise Pietro Scaglione quel lontano 5 maggio 1971 possa essere arrestato.
Immagine di copertina:
Grafica wall:in media agency su foto di Pietro Scaglione
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