I rapporti di Legambiente e WWF per la Giornata mondiale contro la desertificazione – tenutasi venerdì 17 giugno – hanno registrato temperature 2° sopra la media. Secondo gli ultimi studi della Commissione UE, il numero di persone in Europa che vivono in aree considerate sotto stress idrico per almeno un mese all’anno, potrebbe passare dai 52 milioni attuali a 65 milioni, ossia il 15% della popolazione dell’Unione.
L’emergenza siccità e la scarsità di acqua sono due problemi con i quali dovremo imparare a convivere. Per questo prima di tutto serve rivedere gli usi e i consumi, puntando a una diminuzione di prelievi e un efficientamento degli usi.
Una siccità prolungata comporta danni diretti per usi civili, agricoli e industriali, ma anche perdita di biodiversità, minori rese delle colture agrarie e degli allevamenti zootecnici e perdita di equilibrio degli ecosistemi.
La drammatica situazione che stiamo vivendo in questo periodo di inizio estate è dovuta principalmente a uno degli inverni con meno precipitazioni della storia.
Niente neve sulle Alpi e il Po è colpito da una siccità gravissima. Quest’ultima è la peggiore degli ultimi 70 anni ed è ancor più grave per il fatto di essersi manifestata in anticipo, già sul finire dell’inverno, rispetto ad altri analoghi eventi straordinari degli ultimi 20 anni.
È facile comprendere come sia quantomai urgente l’abbattimento delle emissioni di gas serra, abbandonando una volta per tutte i combustibili fossili e, allo stesso tempo, rivedere tutte le concessioni idriche (agricole, industriali e civili), riducendole in funzione delle effettive disponibilità d’acqua. Quando non è gestita e prevista adeguatamente, la siccità è uno dei motori della desertificazione e del degrado del territorio, nonché tra le cause principali dell’aumento di fragilità degli ecosistemi e di instabilità sociale.
Esistono infatti, diverse idee e strategie per ottimizzare e ridurre lo spreco di acqua a livello industriale come:
- Smart Farming: metodo che utilizza le nuove tecnologie per ridurre il consumo di risorse in agricoltura;
- Agricoltura idroponica: tecnica di culture che riduce il consumo di acqua di circa il 70%;
- Piantagioni grasse come il fico d’India: queste piante prosperano in ambienti aridi vivendo con pochissima acqua immagazzinarla nei suoi tessuti, apportando benefici al terreno stesso;
- Agricoltura rigenerativa: consiste in estrema sintesi nel ricoprire le coltivazioni con la paglia per ridurre l’evaporazione e mantenere il terreno umido il più possibile;
- Città spugna: centri urbani in grado di raccogliere l’acqua piovana attraverso l’inserimento di aree verdi dedicate per migliorare i sistemi di drenaggio e prevenire le inondazioni.
Ma è davvero sufficiente innovare e risparmiare quando le abitudini alimentari non cambiano?
Quanto detto sopra è un apporto che, per quanto utile, risulta poco efficace se confrontato con i reali consumi d’acqua di altri settori, come allevamento e agricoltura.
Quando si parla di fabbisogni idrici per animali da reddito, è inevitabile soffermarsi sulla quantità di acqua necessaria per portare avanti l’industria dei prodotti animali. Basti pensare che per una vitella di un mese ci vogliono dai 5 ai 7,5 litri di acqua al giorno per sfamarla. Ovviamente, aumentando le dimensioni e l’età dell’animale, i fabbisogni crescono, fino ad arrivare ai 182-197 litri di acqua al giorno necessari per la sopravvivenza e la produzione di latte (la cui produzione si aggira intorno ai 45 kg/giorno) di una vacca in lattazione.
La Regione Piemonte e la Regione Lombardia contano circa 683 mila bovini da latte.
Facendo due calcoli, se si considera una vacca da latte con un consumo idrico giornaliero pari a quasi 200 litri e la si moltiplica per il numero di bovini delle due regioni si ottiene un consumo giornaliero di circa 136.600.000 litri al giorno.
Questi sono solo alcuni dei numeri che rendono chiaro come il problema non sia solo il rubinetto aperto mentre ti lavi i denti. La crisi degli allevamenti e il problema dei mangimi sta mettendo a dura prova tutta l’industria, senza contare che, in termini alimentari, si tratta di un cambio totalmente sfavorevole.
La produzione di carne e derivati richiede infatti un enorme quantità di acqua, ma produce molti pochi nutrienti: di fatto è un’attività che consuma più di quello che produce. Per produrre 150 grammi di un burger di manzo servono circa 2350 litri d’acqua, circa la quantità che un essere umano beve in 3 anni.
Un burger di soia, invece, ha un’impronta idrica pari a solo il 7% del suo equivalente di carne.
Immagine di copertina:
Foto di Oleksandr Sushko
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