“Ci avevano avvertito, eravamo preparati: ci aspettavamo massimo 50 centimetri d’acqua.. Non avremmo mai immaginato che sarebbe potuto succedere quel che è successo”.
Ci accoglie con queste parole, in quel che rimane della sua casa, una signora residente a Sant’Agata Sul Santerno, un paesino in provincia di Ravenna devastato dall’alluvione.
“L’esondazione l’avevamo messa in conto, l’acqua sarebbe arrivata lentamente e avremmo potuto reagire in base alla gravità della situazione. Non eravamo troppo preoccupati, avevamo già spostato il possibile al piano superiore.
Purtroppo però, ciò che è successo quella notte è stato inimmaginabile.
Dopo che il fiume Santerno ha iniziato a esondare a causa delle violente piogge, hanno ceduto di colpo gli argini maltenuti e sottoposti a carichi impensabili. L’onda di piena ha investito tutto il paese, è stata devastante.
Mi sono svegliata alle tre di notte con l’acqua al pian terreno. Mentre guardavo il livello dell’acqua iniziavo a fare le prime valutazioni su cosa si fosse salvato e cosa invece avrei perso irrimediabilmente.
Poi abbiamo sentito un rumore atroce, faccio fatica a descrivervelo, mi vengono i brividi solo a pensarci. Sembrava il rumore di una bomba: era l’acqua della piena che sfondava la porta di ingresso ed entrava in casa con una violenza inaudita. La piena è entrata dalla porta di ingresso e non trovando sbocchi ha iniziato a salire le scale minacciando anche il primo piano. Io in quel momento ho pensato «se continua così ci muoio».
La forza della corrente aveva trascinato tutti i mobili della casa e li aveva accatastati sulle scale, il passaggio era completamente bloccato.
Per fortuna l’acqua è riuscita a sfondare pure la porta sul retro e ha iniziato a defluire.
Abbiamo avuto un fiume dentro casa praticamente per due giorni. L’acqua continuava a scorrere al piano terra a più di un metro d’altezza entrando dalla porta di ingresso e uscendo da quella sul retro. Siamo rimasti bloccati al primo piano per 27 ore senza cibo né acqua.
Tutto il paese era senza elettricità, a molti si è scaricato il cellulare e si sono trovati completamente isolati. Io per fortuna avevo dietro due powerbank, mi hanno salvato.
Mio padre di novant’anni, bloccato con me al primo piano, è cardiopatico e le sue medicine erano andate perse. Sono stati momenti terribili.
Adesso ci ritroviamo con metà casa distrutta, ho perso tutto, elettrodomestici, arredi, le foto di mia madre.. La casa non è più abitabile, non fosse per mio padre che vuole restare me ne sarei già andata da Sant’Agata, non ce la faccio a vedere casa mia in queste condizioni. Mi vergogno a prendere i pasti dai volontari e dalla Protezione Civile”.
Nel raccontarci di quei giorni, la signora ci fa fare il giro della casa.
Mentre ci mostra le stanze, sconvolte dal fango e dall’acqua, ciò che colpisce di più è la sua forza, la sua lucidità, a cui fa da sfondo una sensibilità toccante.
La piena e le esondazioni non hanno risparmiato quasi nessuno. Case, negozi, strade, campi, frutteti. A distanza di giorni dall’alluvione, ciò che rimane sono soprattutto le enormi cataste ai bordi delle strade di elettrodomestici, armadi, materassi e qualsiasi oggetto colpito dall’alluvione.
Al mercato dell’ortofrutta di Ravenna le insalate sono ancora sporche di fango, c’è chi si è ritrovato ettari ed ettari sommersi e il negozio in città allagato.
I vigneti in collina sono inagibili per le frane. C’è chi non può raggiungere i propri animali. L’annata era già compromessa dalla siccità, molti alberi non avevano dato frutti e ora muoiono oppressi dal fango.
Nonostante ciò, gli agricoltori sono tutti in piazza, ognuno con il proprio banco a vendere i propri prodotti.
Per le strade tra residenti, volontari e operatori della Protezione Civile si muove una regione messa a dura prova che vuole rialzarsi e vuole farlo il prima possibile.
A Lugo, uno dei comuni più colpiti, a due settimane dall’alluvione alcuni locali riaprono e si concludono a fatica le pulizie nelle case.
Nessuno cerca compassione, alcuni, per rabbia o orgoglio, non accettano nemmeno un aiuto: si respira, in ogni angolo di città, la forza di una popolazione e di una comunità che non vuole lasciarsi andare alla disperazione, ma si rimbocca le maniche e con una determinazione indescrivibile si fa testimone di una Romagna ferita che riparte.
Immagine di copertina:
Foto di Sadiq Nafee
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