Code War Project 2020

Ti racconto cos’è stato Code War Project 2020 da dietro le quinte

Quando certe collaborazioni vanno alla grande e quando il risultato è ben al di là delle aspettative nonostante il limite-covid, a Genova, è un piccolo miracolo: bisogna parlarne.
4 Novembre 2020
3 min
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Code War Project 2020 è stato ben più di un festival: è stato duro lavoro, collaborazione, immaginazione, tempo.

Per chi non ci è andato: esattamente un mese fa nel weekend tra il 25 e il 27 settembre l’Ex Ospedale di Quarto ha aperto i battenti per una tre giorni di musica elettronica, arte contemporanea e socializzazione in sicurezza.

Qui trovi il link alle performance artistiche e musicali.

La ricetta per il cocktail che fa miracoli sta tutta nella selezione degli ingredienti giusti. Una precisa combinazione di risorse, energia vitale e persone sveglie. 

Con la consapevolezza che non è stato il primo miracolo a Genova e la certezza che non sarà l’ultimo, da collaboratrice dietro le quinte sono entusiasta di affermare che è stata una cosa grande, e anche un po’ un colpo di scena.

Risorse, dicevamo, energia vitale e persone sveglie. Che in definitiva, poi, le prime due sono indirettamente implicate dall’ultima: le persone sveglie.

I ragazz* di Code War non sono tantissimi, anzi, sono poche teste. Ma quel che conta è che sono organizzati. Accidenti se sono organizzati!

Questo è un fatto su cui mi preme indirizzare la riflessione: una manciata di ragazzi più o meno venticinquenni che si organizzano, che collaborano insieme e si strutturano il lavoro. Prima questo, poi quello; tu ti occupi di quello, io di questo. Il tutto frutto di una collaborazione orizzontale, dove il lavoro funziona collettivamente e le direttive arrivano da una consultazione continua che trova la sua forza nelle competenze di ciascuno.

Così si va lontano, si dà valore e responsabilità al lavoro e al tempo di ciascuno. Scegliere il networking non è essere anarchici, e neppure ideologici. È scegliere un’alternativa pratica incredibilmente sovversiva, potente, dirompente.

Le condizioni non sempre incoraggiano questo tipo di gestione del lavoro, soprattutto a Genova (a ben guardare qui c’è un gravissimo problema, o meglio: il problema), ma vediamo sempre più esempi a dimostrazione che il mondo del lavoro ha bisogno di un’alternativa come questa, a partire dalle start-up e le piccole imprese giovanili.

Cos’è stato dunque il cocktail Code War Project 2020?

Metti una base di competenze made-in-code-war e di risorse erogate dal comune di Genova, aggiungi a dare corpo il fortissimo spazio dell’Ex ospedale Psichiatrico di Quarto, con tutte le persone che lo abitano e lo frequentano, aggiungi tutti i ragazzi e i volontari di Code War (il vero spirito), l’IMFI Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, Quarto Pianeta, Mixta che rende il tutto più frizzante (questa me lo sono concessa, ndr), tutti i fantastici artisti e i musicisti che accendono il gusto e lo rendono indimenticabile.

Cosa manca? Ormai di questi tempi non sono più avvezza agli aperitivi: manca il consumatore!

La partecipazione è stata di mille visitatori. Un gran numero che dimostra quanto la nostra città non è veramente assopita o vecchia come ci raccontiamo. Un gran numero che incoraggia, e che stupisce. Ci ricordiamo tutti come andavano le cose un mese fa? Tra un lockdown e l’altro, in tre giorni per fortuna miracolati dalle allerte metereologiche (a Genova abbiamo anche questo).

Tra i mille visitatori anche tante famiglie, oltre che tanti ragazzi giovani: tutti incuriositi e divertiti

La buona riuscita di un festival come questo la si può misurare in quanti mesi, settimane, ore, sono state necessarie affinché la collaborazione di tutto lo staff riuscisse bene e giungesse ben oliata all’evento. La si può misurare nell’impegno delle relazioni: avete idea di quante persone hanno interagito tra loro, discusso, contrattato, preso decisioni, per realizzare un festival fruibile da 1000 persone?

Posso azzardare una stima di massima, ma non esagererei se vi dicessi almeno duecento. Il Service per l’attrezzatura musicale, i performer, i collaboratori degli artisti, la stampa, i fornitori della strumentazione, tutti i volontari,  i fornitori dei materiali che passano in secondo piano: dal cibo al gel igienizzante e alla carta igienica nei bagni. L’impegno nelle relazioni, poi, non è solo telefonare: è scrivere, è riassumere, è consultarsi e ri-consultarsi. E ancora scrivere, confrontare, avvisare. È vedersi, misurare le situazioni insieme. È presenziare, è anche rimproverare, e far notare.

Stavo dimenticando l’aspetto meramente pratico: anche qui, realizzare un festival è un continuo spostare cose avanti e indietro, è andare a recuperare materiale in giro per Genova e per l’Italia, è sollevare, inchiodare, appiccicare, spazzare. È anche aspettare, e fare tardi. È allenamento, è correre, è cercare oggetti nascosti. Insomma, è tante cose..

Vorrei anche raccontarvi dei giorni di allestimento, degli oscuranti dei vetri e di quanto è stato incredibilmente stressante riuscire a reperirli. Delle telefonate, dei trasporti, del parlare inglese e delle belle parole con gli artisti della mostra. Delle performance, dell’ansia, dei pranzi insieme e dei lunghi discorsi. Della fratellanza, delle mascherine, dei buoni per i panini. Ma è proverbiale: questa, è un’altra storia.

Immagine di copertina:
Code War Project 2020. Foto di Simone D’Urzo


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Membro del duo curatoriale Mixta con il quale si occupa di progetti artistici che siano attivatori sociali. Ha curato mostre, rassegne e festival negli spazi pubblici, nelle periferie e nei luoghi istituzionali della città di Genova. È anche fondatrice e CEO di Wanda, associazione per la trasformazione culturale, che accorcia le distanze tra le nuove generazioni e la cultura.

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