Non avete ancora visitato In a convex mirror, l’ultima mostra dell’artista Mariana Castillo Deball da Pinksummer? Allora vi consigliamo di andare a vederla, sia perché l’allestimento dello spazio non vi deluderà (all’altezza delle migliori performance della galleria!), sia perché troverete alcuni spunti di riflessione interessanti a proposito della cultura dei consumi e della mercificazione viste dalla lente dell’antropologia, e come solo una certa arte sa presentare.
L’allestimento mostra una serie di “oggetti non confortevoli”, come li definisce l’artista, che è molto sensibile alla tematiche decoloniali, cioè una serie di oggetti concepiti per essere svincolati dalle connotazioni che la nostra cultura euro-centrica tende ad attribuire loro: una serie di “cose”, che non hanno funzione pratica e che non sono esposte come reperti per narrare alcuna storia passata, sebbene la loro forma in qualche modo sembri suggerire entrambe le opzioni.
Il foglio di sala, evocativamente, recita:
«le cose hanno compiuto vari percorsi, incorporato molteplici strati di senso e, talvolta si ha a che fare, come nel caso della ceramica, con universali antropologici che disegnano geografie inattese al di là di ogni pretesa eurocentrica.»
Sono infatti di ceramica gli oggetti che osserviamo:
«una serie di ceramiche decorate a ingobbio deformate collegate l’una all’altra in un’installazione aerea con una corda di cotone nera come a creare un campo di forza.
Le ceramiche forse di memoria etnografica Zuni, si presentano forate, deprivate della funzione ricettiva di contenitore e pertanto da qualsivoglia valore d’uso o di scambio. Le ceramiche forate “kill hole” si usavano nei rituali di sepoltura nell’America Sud Occidentale, ma rimandano anche a un oggetto matematico, la bottiglia di Klein, su cui Mariana Castillo Deball ha lavorato in passato, avvicinandola alla classica piñata messicana, la pentolaccia, che pone fine al Carnevale e precede la Quaresima, usata dai monaci conquistatori per evangelizzare i nativi americani, attraverso i piccoli doni che la piñata riversava a terra.
Di fatto la bottiglia di Klein è una superficie non orientabile in cui l’interno si riversa all’esterno, che proietta al di là delle tre dimensioni euclidee, in una quarta dimensione che la realtà non ci lascia esperire, ma alla quale con il ragionamento, l’oggettività e la fantasia informata da una diversa narrazione è possibile aspirare.»
In mostra si può osservare, lungo le pareti, una serie di opere circolari di cera nera, incise con immagini distorte come viste in uno specchio convesso, e perciò a fuoco con il tema e il titolo della mostra. La superficie è nera e l’incisione toglie materiale alla superficie, rendendo l’immagine visibile solo da alcuni angoli, a seconda di come la luce si riflette su di essa.
Le scene raffigurate provengono da una serie di incisioni del XVI secolo di Diego Valadés, un frate francescano di cui Mariana Castillo Deball ha scoperto il lavoro durante i preparativi del suo intervento per il Padiglione Messicano alla Biennale di Venezia di quest’anno. Le immagini raffigurano personaggi che stanno parlando tra loro, ascoltando e scrivendo, ma ciò che esce fuori dalla loro bocca, orecchie e occhi sono strane creature come serpenti, scorpioni e altri insetti.
Una mostra che richiede attenzione, intuizione, e capacità di pensare al di fuori dei consueti schemi culturali. Mariana Castillo Deball sa guidare bene il visitatore in questo viaggio tra le culture e i preconcetti.
Quello che resta da fare è lasciarsi guidare.
Immagine di copertina:
In a convex mirror, Mariana Castillo Deball, exhibition view. Foto di Alice Moschin
Scrivi all’Autorə
Vuoi contattare l’Autorə per parlare dell’articolo?
Clicca sul pulsante qui a destra.